Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-01-2011) 05-04-2011, n. 13679 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione M.G. avverso il decreto in data 21 maggio 2010 con il quale la Corte di appello di Catanzaro, a seguito di annullamento da parte della prima sezione della Corte di cassazione (sent. luglio 2006), ha confermato l’omologo provvedimento del Tribunale di Vibo Valentia, in data 8 novembre 2004, di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di PS, con obbligo di soggiorno nel comune di (OMISSIS), per anni due e mesi sei.

La Cassazione aveva annullato il precedente provvedimento della Corte catanzarese evidenziando la necessità di una adeguata motivazione sulla attualità della pericolosità del proposto: questi, infatti, era stato ritenuto pericoloso sulla base di eventi risalenti agli anni ottanta e ad un procedimento della seconda metà degli anni novanta, concluso invero con assoluzione ma non autonomamente valutato ai fini che qui interessano.

Deduce la violazione della L. n. 1423 del 1956, art. 1 e segg..

Il giudice del rinvio non si sarebbe adeguato al dictum della Cassazione sulla necessità di esplicitare il carattere eventualmente attuale della pericolosità del proposto.

In particolare non si era considerato che per le contestazioni inerenti la legge sulle sostanze stupefacenti la Corte di assise di appello di Reggio Calabria aveva assolto il ricorrente.

In più la Corte aveva omesso di motivare in merito al dato delle presunte frequentazioni con pregiudicati, contestata dalla difesa che aveva eccepito un fatto di omonimia.

Il PG presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.

Il ricorso è infondato.

Non risulta posto in discussione dalla precedente sentenza di annullamento della Cassazione, l’affermazione dei giudici del merito, peraltro del tutto condivisibile e corretta, secondo cui la valutazione sulla attualità della pericolosità è stata effettuata sia dal primo giudice che da quello della impugnazione, con riferimento al momento della decisione del Tribunale, poi confermata da quella che oggi si impugna.

Ed infatti, osserva la giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure di prevenzione, che il requisito della attualità della pericolosità, in analogia con la valutazione delle esigenze cautelari nel giudizio cautelare, deve essere accertato nel giudizio di impugnazione non in relazione al momento in cui questo ha luogo, ma a quello originario in cui è stata applicata la misura.

Il giudizio in esame infatti si svolge secondo i principi generali che disciplinano le impugnazioni per cui il fatto oggetto di valutazione è il medesimo di quello posto a base della decisione del primo giudice (Rv. 215833).

Orbene, la Corte ha prodotto una motivazione che la difesa critica ma che non si espone più alla unica censura per la quale è previsto il ricorso per cassazione in materia di misure di prevenzione e cioè quella della violazione di legge, come esattamente ricordato dal Procuratore Generale.

E’ appena il caso infatti di ribadire che, in tema di misure di prevenzione, la riserva del sindacato di legittimità alla violazione di legge non consente di dedurre il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), sicchè il controllo del provvedimento consiste solo nella verifica della rispondenza degli elementi esaminati (se necessario acquisiti ex officio dal giudice) ai parametri legali, imposti per l’applicazione delle singole misure e vincolanti, in assenza della quale ricorre la violazione di legge sub specie di motivazione apparente (Rv. 247514; massime precedenti Conformi: N. 34021 del 2003 Rv. 226331, N. 15107 del 2004 Rv. 229305, N. 35044 del 2007 Rv. 237277).

E il principio non contrasta certo con quanto richiesto nella sentenza di annullamento con rinvio dalla prima sezione di questa Corte, avendo tale Collegio rilevato a carico del precedente decreto, una motivazione del tutto assente sul tema, tale da integrare, all’epoca si, la violazione di legge ( art. 125 c.p.p.).

Ebbene, nel provvedimento oggi nuovamente impugnato, la Corte di appello ha in primo luogo dato atto, quanto al processo in materia di stupefacenti per il quale il proposto ha riportato condanna in primo grado, che lo stesso non è stato ribaltato in appello con assoluzione ma con annullamento dovuto a incompetenza territoriale.

Ha anche evidenziato che la tesi della difesa, secondo cui sarebbe invece intervenuta assoluzione in appello, non aveva trovato conferma in alcuna acquisizione processuale di cui la difesa stessa si fosse fatta carico.

La Corte ha anche utilizzato non solo le citazioni di precedenti per fatti di rilevanza penale risalenti agli anni 80 ma ha valorizzato carichi pendenti per violazioni inerenti la misura di prevenzione, nel periodo 1999-2002.

Infine la Corte d’appello ha posto in evidenza come la sentenza assolutoria prodotta dalla difesa con riferimento al processo c.d.

Dinasty non era destinata a produrre alcun effetto non essendo stati, quei fatti, valutati ai fini della misura di prevenzione.

Come è evidente si tratta di una motivazione non certo assente o apparente e niente affatto inadempiente – come invece vorrebbe il ricorrente – al principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento con rinvio. Essa si sottrae dunque alla censura mossale per violazione di legge.

Invero, in essa sono stati evidenziati anche elementi ulteriori rispetto a quelli invalidati dalla Corte di cassazione, evidentemente reputati assorbenti, i primi, anche rispetto ai rilievi della difesa su presunti errori nell’accertamento delle frequentazioni del proposto; ed in più è stata rimarcata la rilevanza dei fatti oggetto del procedimento penale in materia di stupefacenti, diverso da quello c.d. Dinasty, dall’esito contestato dalla difesa, ma senza fornire prove adeguate.

Ne consegue che non può trovare accoglimento il ricorso proposto, il quale, pur basato formalmente sulla deduzione della violazione di legge, nella sostanza consiste in una censura alla adeguatezza della motivazione esibita dalla Corte d’appello, censura come detto non consentita.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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