Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-01-2011) 05-04-2011, n. 13660

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

cone.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per Cassazione G.G. avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce in data 25 marzo 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado, affermativa della sua responsabilità in ordine ai reati di falsità ideologica continuata, corruzione pure continuata e falsità materiale commessi dal (OMISSIS).

Il G., responsabile dell’Ufficio protesti della camera di commercio di Brindisi, è stato ritenuto responsabile della falsa attestazione, sul registro informatico, circa la cancellazione di protesti e riabilitazione del soggetto protestato; di avere altresì ricevuto somme di denaro dall’imprenditore M. quali compenso per la commissione di atti contrari ai doveri di ufficio (ossia cancellazione di titoli protestati, emessi dal M., senza che ricorressero i presupposti); di avere infine formato, mediante fotomontaggio, un falso provvedimento dirigenziale fatto apparire falsamente a firma del segretario generale, dott. C..

Deduce:

1) la inosservanza degli artt. 97 e 106 c.p.p., in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. c).

Alla udienza del 9 ottobre 2007, dinanzi al Tribunale, assente il difensore di fiducia del G., era stato nominato quale difensore di ufficio prontamente reperibile (art. 97 c.p.p., comma 4) uno dei difensori di fiducia del M., coimputato e in situazione processuale da comportare la incompatibilità, dal punto di vista difensivo, della propria posizione con quella del ricorrente.

Tale incompatibilità si era concretizzata quando era stato assunto il teste Ca., principale accusatore del G., che non solo non era stato sottoposto ad esame dal difensore di ufficio del ricorrente; in più era accaduto che, col consenso di tale difensore, fossero state acquisite precedenti dichiarazioni del teste ed una relazione a sua firma. L’incompatibilità avrebbe dovuto desumersi anche soltanto dal ricoprire M. e G., rispettivamente le posizioni di corruttore e corrotto, potendo il primo, scaricare sul secondo ipotesi di richieste concussive. Ad ogni buon conto il M. aveva tenuto una posizione processuale che suonava come accusa di reità.

Alla udienza dell’8 gennaio 2008, poi, avendo il difensore di fiducia rinunciato al mandato, avrebbe dovuto essere sostituito da un nuovo difensore, anche di ufficio, ma non rispondente alle caratteristiche di quello individuato ex art. 97 c.p.p., comma 4, come era invece accaduto.

Alla udienza in questione si era conclusa la istruttoria dibattimentale e di fatto era stato precluso al nuovo difensore anche di avanzare eventuale istanza ex art. 507 c.p.p.;

2) la violazione di legge e vizio di motivazione.

Era stato rappresentato nei motivi di appello che non solo il G. ma anche altri nell’Ufficio usufruivano dell’user id e della password per entrare nel sistema informatico: in particolare ne aveva usufruito chi aveva sostituito il G. nei lunghi periodi di assenza per malattia.

La Corte, pur dando per assodato tale fatto, lo aveva ritenuto ininfluente osservando che gli altri possessori di chiavi informatiche erano coloro che avevano accusato il G.:

circostanza tuttavia seriamente equivoca tenuto conto dei pessimi rapporti fra il ricorrenti e i superiori che lo avevano accusato.

Per tale ragione era stata rappresentata in appello la necessità di escutere nuovamente il teste Ca. per accertare, o con perizia o con altro tipo di informazioni, quale operatore avesse avuto effettivamente accesso al servizio informatico;

3) il vizio di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche. Il ricorso è fondato.

La prima parte del primo motivo di ricorso costituisce la mera riproposizione del corrispondente motivo di appello, esaurientemente affrontato dalla Corte di merito che ha fornito una soluzione ineccepibile.

E’ condiviso del resto anche dalla difesa il principio di diritto enunciato reiterata mente dalla giurisprudenza in materia e cioè quello secondo cui l’incompatibilità che, a norma dell’art. 106 c.p.p., comma 1, vieta l’affidamento della difesa di più imputati a un unico difensore, è causa di nullità della decisione soltanto se il contrasto di interessi tra coimputati è effettivo, nel senso cioè che sussista un conflitto che renda impossibile la proposizione di tesi difensive tra loro logicamente conciliabili e una posizione processuale che renda concretamente inefficiente e improduttiva la comune difesa. Ancora, la Corte di merito ha correttamente ricordato altra massima relativa alla giurisprudenza costante in materia e cioè quella secondo cui non è sufficiente a integrare l’incompatibilità del difensore la diversità di posizioni giuridiche o di linee di difesa tra più imputati, ma occorre che la versione difensiva di uno di essi sia assolutamente inconciliabile con la versione fornita dagli altri assistiti, così da determinare un contrasto radicale e insuperabile, tale da rendere impossibile, per il difensore, sostenere tesi logicamente inconciliabili tra loro (Rv. 245038 massime precedenti Conformi: N. 2547 del 1999 Rv. 214931, N. 5918 del 2006 Rv. 233497).

Nella specie la Corte d’appello ha escluso, con motivazione logica e esaustiva, che tale conflitto si sia verificato concretamente dando atto, in primo luogo, che il procedimento aveva avuto avvio sulla base delle dichiarazioni del Segretario Generale C.; in secondo luogo che la difesa non aveva indicato alcun passaggio della istruttoria dibattimentale che dimostrasse la concretezza del detto conflitto; in terzo luogo che il M., lungi dal muovere accuse nei confronti dell’imputato, aveva scelto una linea processuale che prevedeva la ammissione dell’affidamento di pratiche al G., ma sulla base di documentazione del tutto regolare. Lo steso M. aveva anche escluso qualsiasi scopo corruttivo.

A tali incontrovertibili argomentazioni la difesa oppone circostanze del tutto irrilevanti, come la astratta posizione di corrotto e corruttore propria dei due imputati affidati alla medesima difesa, oppure la "possibilità" che il corruttore potesse scaricare sul corrotto ipotesi di richieste concussive, senza però tenere conto che la rappresentazione del conflitto di posizioni processuali deve fondarsi su elementi concreti e rigorosi e non astratti o potenziali, negli esatti termini, cioè, cui ha fatto ricorso la Corte di merito.

Fondato è invece il secondo profilo di nullità, eccepito, secondo la prospettazione del ricorrente, in relazione al pregiudizio ai diritti difensivi dipendente dalla mancanza di nomina di un difensore di ufficio, diverso da quello ex art. 97 c.p.p., comma 4, all’imputato rimasto privo di difensore di fiducia per rinuncia, da parte di questi, al mandato.

Al riguardo la giurisprudenza della Cassazione ha osservato che, a garanzia del principio di continuità della difesa, che si riflette anche nel principio di effettività della stessa, l’intervento del sostituto del difensore ha natura episodica ed è quindi consentito nei soli casi di impedimento temporaneo del difensore di fiducia o di quello di ufficio. Pertanto, quando l’impedimento del difensore ha carattere definitivo, come nel caso di rinunzia al mandato, se l’imputato non provvede alla nomina di un difensore di fiducia, il giudice ha l’obbligo di nominare un difensore di ufficio, pena la sanzione di nullità assoluta e insanabile nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza (Sez. 4, Sentenza n. 10215 del 13/01/2005 Ud. (dep. 16/03/2005) Rv. 231603; analogamente Rv. 235399).

Da ricordare è poi l’orientamento giurisprudenziale che, in linea col disposto dell’art. 179 c.p.p., esclude la ravvisabilità della nullità in questione quando la assenza del difensore – a seguito della rinuncia la mandato – si verifichi in concomitanza dell’espletamento di un atto per il quale non ne era obbligatoria la presenza (Rv. 247879).

Nel caso di specie ricorre la prima delle situazioni descritte e non anche la seconda.

Si desume dagli atti processuali e dalla stessa sentenza impugnata, che alla udienza dell’8 gennaio 2008 è stata formalizzata la rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia del ricorrente e il Tribunale ha nominato al medesimo altro difensore – nelle vesti del legale del M. – quale mero "sostituto" ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4.

Si è dunque configurata la nullità assoluta e insanabile dovuta alla assenza del difensore legittimo dell’imputato in un caso nel quale ne era obbligatoria la presenza, essendosi svolta, alla detta udienza, attività di assunzione di testimoni che, per quanto addotti dalla difesa del M., erano senz’altro soggetti all’esame anche nell’interesse del ricorrente.

Restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.

La nullità assoluta prodottasi nel giudizio di primo grado e non dichiarata dal giudice dell’appello, va rilevata nella presente sede con contestuale annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, ed annullamento altresì della sentenza di primo grado, cui fa seguito il rinvio degli atti al Tribunale per la rinnovazione del giudizio.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e, con rinvio ad altra sezione del Tribunale di Brindisi, per nuovo giudizio, quella di primo grado in data 1 aprile 2008.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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