Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-01-2011) 05-04-2011, n. 13654

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Giudice di Pace di Cremona in data 20.12.2007, con la quale S.M. C. veniva condannata alla pena di Euro 350 di multa ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile per il reato di Ingiuria commesso in (OMISSIS) in danno di A.G. rivolgendogli le espressioni "coglione, rompicoglioni, testa di cazzo".

Il ricorrente lamenta:

1. violazione di legge e mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione sull’esclusione della scriminante della provocazione;

2. violazione di legge e mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato;

3. mancata assunzione di prova decisiva costituita dalla deposizione del teste D.S.;

4. violazione di legge e mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione sulla determinazione della pena.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, relativo all’esclusione della scriminante della provocazione, è inammissibile.

Con la sentenza impugnata, premesso che la parte offesa A. G. riferiva che la S. lo insultava per non aver aderito alla richiesta della donna di tagliare un albero di albicocco posto nel giardino dell’ A., circostanza confermata dal teste G.D., e che l’imputata ammetteva di essersi adirata per il rifiuto dell’ A. di tagliare o potare l’albero, i cui rami invadevano la proprietà dell’imputata, dopo che a seguito di una grandinata un pino era caduto sulla di lei autovettura, si osservava che nel comportamento dell’ A. non era ravvisarle alcun fatto ingiusto, considerato che la precedente caduta del pino, peraltro addotta soltanto dall’imputata, non dimostrava che anche l’albicocco creasse una situazione di pericolo, che la stessa S. dichiarava come la caduta del pino non avesse provocato conseguenze e l’ A. avesse promesso di provvedere al definitivo taglio dell’albero di pino il giorno seguente, che il G. riferiva come l’albero di albicocco fosse sano e che comunque la risposta negativa alla richiesta della S. di tagliare quest’ultimo albero non impediva all’imputata di provvedere direttamente alla rimozione dei rami sporgenti protesi sulla sua proprietà, come consentito dall’art. 896 cod. civ.; e si aggiungeva come fosse in ogni caso da escludersi che la S. avesse agito in stato di ira, dato che il G. riferiva che la stessa insultava l’ A. alla semplice risposta negativa di questi sulla richiesta di tagliare l’albero e che nel rivolgere detta richiesta l’imputata sì trovava già in stato di alterazione, fra l’altro ordinando direttamente al G. di eseguire l’operazione.

La ricorrente rileva che la motivazione è contraddittoria laddove da una parte esclude l’esistenza di un fatto ingiusto dell’ A. e dall’altro ammette la possibilità per la S. di operare ai sensi dell’art. 896 cod. civ.; è illogica e contraria al dato normativo nel riferimento alla mancanza di conseguenze lesive della caduta dell’albero di pino, considerato che il fatto ingiusto rilevante ai fini dell’art. 599 cod. pen. non richiede necessariamente la causazione di un danno e che nella specie si era creata anche per l’intervento della grandinata una situazione di oggettivo ed imminente pericolo, la quale oltretutto non consentiva alla S. di chiedere un parere legale sulla possibilità di recidere direttamente i rami sporgenti; ed è altrettanto illogica nel non riconoscere la sussistenza dello stato di ira quale derivante già dalla caduta del pino ed acuito dal diniego, da parte dell’ A., del taglio dell’albicocco, vissuto dalla S. come mancato rispetto dell’impegno di rimuovere il pino.

La lamentata contraddittorietà della motivazione è tuttavia palesemente insussistente. Considerato invero che nella stessa prospettazione della ricorrente il fatto asseritamente ingiusto della persona offesa, che avrebbe cagionato lo stato di ira dell’imputata, si individua non nella situazione pericolosa rappresentata dallo sporgere dei rami degli alberi nella proprietà della S., ma nel rifiuto da parte dell’ A. di porvi rimedio mediante il taglio dei rami stessi, il riferimento della sentenza impugnata alla facoltà della S. di provvedere direttamente a siffatta operazione veniva addotto, con un’argomentazione priva di incongruenze logiche, quale elemento a sostegno dell’esclusione dell’ingiustizia del predetto rifiuto, e comunque dell’idoneità dello stesso a produrre uno stato di ira, in quanto superabile con una diretta azione di autotutela ad opera dell’imputata.

Con pari evidenza non è ravvisabile la ritenuta carenza motivazionale sulla possibilità di ravvisare l’ingiustizia del comportamento della persona offesa anche in una condotta produttiva di mero pericolo; la motivazione oggetto di gravame, come precedentemente esposta, esclude infatti esplicitamente, con argomentazione anch’essa esente da manifeste illogicità, la ravvisabilità di una situazione di concreto pericolo nella prominenza dei rami dell’albero di albicocco, dei quali la S. chiedeva il taglio.

Per il resto, l’esposizione che precede evidenzia come la ricorrente si limiti a proporre una diversa lettura degli elementi già considerati dal giudice di merito, il quale, con una motivazione articolata ed immune da censure valutabili in questa sede, ne traeva una coerente conclusione in termini di insussistenza dell’invocata scriminate. Il ricorso è pertanto, per questo aspetto, manifestamente infondato.

2. Il secondo motivo di ricorso, relativo alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, è anch’esso inammissibile.

Con la sentenza impugnata si osservava che per l’integrazione della fattispecie criminosa è sufficiente il dolo generico e non è pertanto richiesta la sussistenza dell’animus iniuriandi, peraltro rivelato nel caso di specie dalla varietà degli epiteti profferiti.

La ricorrente rileva che la concitazione del contesto in cui si poneva la condotta escludeva la sussistenza dell’animus iniurandi e che le circostanze del caso evidenziavano come la condotta della S. costituisse uno sfogo in termini volgari ma non motivati dall’intento di ledere l’altrui dignità, e peraltro tendenzialmente riconosciuti come di uso generalizzato in determinate situazioni. Il richiamo della sentenza impugnata alla mancanza, fra i requisiti essenziali del reato contesterei la specifica finalità ingiuriosa è assolutamente corretto. L’elemento psicologico del delitto di ingiuria ha invero natura di dolo generico; e tanto non solo esclude la necessità dell’animus iniurandi, ma consente al dolo di assumere anche forma eventuale, essendo pertanto sufficiente la consapevolezza, in capo all’agente, di utilizzare espressioni socialmente interpretabili come offensive (Sez. 5, n. 7597 dell’11.5.1999, imp. Beri Riboli, Rv. 213631). Siffatto significato non può che essere riconosciuto per i termini adoperati nella specie dall’imputata; la quale pertanto coscientemente realizzava una condotta dalla stessa immediatamente percepibile come lesiva dell’onore e del decoro della persona offesa, al di là del motivo contingente che la induceva a tale comportamento. Anche sotto questo profilo il ricorso è pertanto manifestamente infondato.

3. Inammissibile è altresì il terzo motivo di ricorso, relativo alla mancata assunzione della deposizione del teste D.S..

Con la sentenza impugnata, premesso che la citazione del D., figlio dell’imputata, era stata autorizzata ma che il teste non era comparso nè in primo nè in secondo grado, si osservava che comunque il teste G., sentito anche nel corso del giudizio di appello, riferiva che al fatto non era presente alcuna persona.

La ricorrente rileva che quest’ultima dichiarazione del G. è irrilevante in quanto lo stesso, trovandosi al momento del fatto sulla proprietà dell’ A., aveva un campo visivo limitato, e che comunque l’audizione del D. era stata richiesta sui fatti pregressi ed avrebbe potuto chiarire i rapporti sussistenti fra le parti e le ragioni della lite.

Anche in questo caso la ricorrente oppone una propria valutazione sulla rilevanza della deposizione richiesta a quella coerentemente esposta in motivazione dal giudice di merito, fondata senza manifeste disconnessioni logiche sia sulla renitenza precedentemente mostrata dal teste che su elementi indicativi dell’irrilevanza della deposizione dello stesso nella definizione dei termini dell’episodio.

Sotto questo profilo il ricorso è quindi generico e comunque manifestamente infondato.

4. Inammissibile è infine il quarto motivo di ricorso, relativo alla determinazione della pena.

Con la sentenza impugnata si osservava che la pena inflitta non era eccessiva, in quanto individuata nella sanzione pecuniaria in misura non particolarmente elevata e adeguata alla pluralità di epiteti ingiuriosi rivolti in presenza del teste G..

La ricorrente si duole che non si sia tenuto conto, nella determinazione della pena, dello stato di ira e della concitazione della S..

Conformemente ai principi in materia, la motivazione della sentenza impugnata era adeguatamente articolata sugli elementi ritenuti nella specie determinanti per il giudizio (sez. 6^, n. 35346 del 12.6.2008, imp. Bonarrigo rv. 241189), quali la pluralità dei termini offensivi e la presenza di altra persona; tanto implicando una valutazione di irrilevanza in senso contrario di altri dati, fra cui evidentemente quello evidenziato dal ricorrente. Il ricorso è pertanto sul punto generico e reiterativi di questioni già affrontate con la decisione oggetto di gravame; e deve quindi in conclusione essere dichiarato inammissibile, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *