Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-01-2011) 05-04-2011, n. 13653

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione a mezzo di procuratore speciale P.E., parte civile nel processo celebrato a carico di D.F.C. in ordine alla imputazione di diffamazione in danno dello stesso P. e della sorella di lui, fatto commesso mediante invio di una lettera il (OMISSIS).

La D.F. era stata tratta a giudizio per rispondere della diffamazione consistita nell’affermare nella detta missiva, inviata a vari condomini, all’amministratore del condominio e al sindaco, di avere problemi di igiene sulle superficie esterne del suo appartamento, a causa delle deiezioni di piccioni che si appoggiavano alla sovrastante proprietà immobiliare, appartenente per l’appunto al P. e prima ancora a sua sorella, in seguito deceduta.

Tale ultimo soggetto veniva definito nella lettera "degna sorella".

In ordine a tale affermazione però il giudice di prime cure e in seguito il Tribunale rilevavano la assenza di qualsivoglia offensività e assolvevano perchè il fatto non sussiste.

La parte civile aveva dapprima appellato agli effetti civili e, con ricorso in esame, chiede che venga riformata la sentenza agli stessi effetti.

Deduce 1) la violazione di legge ( art. 596 c.p.).

Tale norma preclude la exceptio veritatis, mentre i giudici erano giunti a ritenere non rilevante la offesa proprio inquadrandola in un contesto più ampio di lamentele per le deiezioni dei piccioni, senza considerare che la espressione era lesiva in sè della altrui reputazione;

2) il vizio di motivazione.

Il Tribunale aveva premesso che il vocabolo "degna" può avere una accezione tanto positiva quanto negativa, ma poi del tutto apoditticamente aveva negato che nella specie fosse stata utilizzata proprio nel secondo senso e cioè quello spregiativo.

In secondo luogo era da escludere anche il requisito della verità del fatto circostanziale preso in esame dai giudici del merito posto che il problema dei Piccioni non riguardava il condomino P. ma tutto il condominio, come riferito dall’amministratore.

In data 11 giugno 2010 è stata depositata una memoria nell’interesse della imputata D.F., volta a sollecitare il rigetto del ricorso della parte civile.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo di ricorso è del tutto eccentrico rispetto ai termini della motivazione impugnata la quale fa leva esclusivamente sul rilievo della assenza di offensività nella espressione "degna sorella".

E cioè da escludere che il giudice sia incorso nella violazione dell’art. 596 c.p. poichè la decisione adottata ed impugnata non si basa sulla efficacia scriminante della "verità" del fatto offensivo attribuito alla persona offesa. Essa si arresta ancor prima di valorizzare un possibile dato scriminante, sul presupposto cioè che non vi sia stata condotta lesiva della altrui reputazione rispetto alla quale verificare la operatività di eventi capaci di escluderne la punibilità.

In altri termini nella analisi compiuta, il giudice ha valorizzato dati circostanziali soltanto per contestualizzare la espressione ed interpretarla secondo il senso comune ed in base al significato attribuitole dalla lingua italiana, al fine cioè di verificare quale possa essere stata la sua valenza.

Ed ha concluso, con giudizio di merito insindacabile da parte di questa Corte – che così replica anche al secondo motivo di ricorso – sostenendo del tutto plausibilmente che la espressione "degna sorella" in sè non reca alcuna esplicita valenza offensiva e, calata nel contesto che aveva ispirato la missiva, ha assunto il significato di critica per la situazione di deficienza igienica che, a torto o a ragione, la imputata aveva dovuto subire.

E’ d’altro canto da evidenziare che l’aggettivo "degno", per quanto calato in una lettera chiaramente espressiva di un disagio che la autrice non riusciva a far cessare, e per quanto possa aver lasciato intendere la attribuzione di responsabilità anche solo indirette per il disagio stesso a carico dei soggetti menzionati, non riesce a rendere il senso di una espressione in sè lesiva della altrui reputazione per la sua assoluta ambivalenza e per la assenza di un costrutto logico della frase che consenta al lettore di percepire realmente il senso di una comprensibile offesa al soggetto evocato.

Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 1000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di Euro 1000.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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