Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-01-2011) 05-04-2011, n. 13649 Diritti connessi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propongono ricorso per cassazione C.L. e Q.L. avverso la sentenza della Corte di appello di Roma in data 5 maggio 2009 con la quale è stata confermata quella di primo grado (resa nel 2007), affermativa della loro responsabilità in ordine al reato di falso ideologico in atto pubblico ( art. 479 c.p.). In particolare i due ricorrenti, vigili urbani, erano stati ritenuti responsabili di avere, il 31 maggio 2001, redatto, in concorso, un verbale di sequestro (e conseguente annotazione di PG) ideologicamente falso perchè attestante la imposizione, appunto, del vincolo reale ad una serie di CD riprodotti illegalmente e posti in vendita da soggetto che si affermava essere rimasto ignoto e datosi alla fuga al momento del controllo della PG. Era stato invece accertato, secondo la ricostruzione accreditata dai giudici del merito, che il soggetto controllato dai vigili era tale S.T., il quale non si era affatto dato alla fuga,ma aveva anzi sostenuto una discussione con i vigili, subendo il sequestro non accompagnato dalla redazione di un verbale rituale e denunciando poi l’accaduto a personale della Polizia, con l’effetto di divenire così coimputato dei denunciati relativamente alla ulteriore imputazione di detenzione per la vendita di CD sprovvisti del timbro SIAE, reato da esso stesso confessato all’atto della denuncia. Era infatti accaduto che, a seguito dell’intervento della Polizia, il S. fosse accusato a sua volta del reato L. n. 633 del 1941, ex art. 171 (capo C) e condannato alla pena della reclusione e della multa con la stessa sentenza del 2007 indicata in premessa.

I giudici affermavano che la prova a carico dei prevenuti fosse da ravvisare nelle credibili dichiarazioni accusatorie di T., riscontrate da quelle di altro teste, tale D..

Deduce la difesa di C..

1) il vizio di motivazione in relazione alla attendibilità delle dichiarazioni del T.. I giudici avevano ritenuto credibile il dichiarante nonostante che le sue accuse fossero state raccolte a verbale senza l’ausilio di un interprete, essendo il T. non conoscitore della lingua italiana. Tale ultima conclusione era legittimata dal rilievo che in dibattimento era stato assistito da interprete. Le osservazioni della Corte d’appello per superare tale contrasto di emergenze non soddisfacevano;

2) lo stesso vizio di motivazione con riferimento alla testimonianza di D.S..

La Corte aveva escluso che fossero ravvisagli ragioni di animosità del D. nei riguardi dei ricorrenti, non analizzando in maniera adeguata il fatto che il primo era un vigile anch’egli, però in posizione irregolare perchè, nonostante la funzione esercitata, era cogestore assieme alla sorella, di un bar che era stato oggetto di controllo e di sanzioni amministrative ad opera di vigili, colleghi del D. stesso.

Tutti tali elementi erano stati indebitamente sottovalutati dalla Corte la quale, pur facendo uso delle dichiarazioni del D. quali riscontro a quelle del chiamante in reità (ex art. 192 c.p.p., comma 3) aveva anche ignorato il probabile movente della deposizione del D. contro i colleghi: e cioè il fine di tutelare sè stesso da possibili denunzie per avere consentito al senegalese di esporre, nei pressi del suo bar, merce di illegittima fattura e provenienza;

3) la violazione dell’art. 192 c.p.p. e il vizio di motivazione.

La Corte si era sottratta al dovere di verificare che le dichiarazioni di T.S. e di D. fossero genuine ed autonome l’una dall’altra, essendosi adombrata nei motivi di appello la ipotesi che fosse stato il D. ad indurre il T. ad effettuare una denuncia per irregolarità che altrimenti lo straniero non sarebbe stato certo in grado di apprezzare autonomamente;

4) il vizio di motivazione sull’elemento psicologico del reato.

Deduce la difesa di Q..

1) la inutilizzabilità delle dichiarazioni di T.S..

Costui era stato sentito nel processo di primo grado come coimputato degli odierni ricorrenti; poi, però, i giudici avevano utilizzato le sue dichiarazioni anche a carico di Q. e C. mentre, per far ciò, avrebbero dovuto assumerlo come imputato di reato connesso o collegato e come testimone: in particolare, con gli avvertimenti ex art. 64 c.p.p. (arg. ex art. 210 c.p.p., n. 6) e soprattutto con la formula del previo giuramento.

In ragione di tale errore commesso dal giudice di primo grado, la Corte d’appello avrebbe dovuto nuovamente acquisire, con le dovute forme, le dichiarazioni del T., previa rinnovazione della istruttoria: con l’ulteriore conseguenza che, essendo nelle more divenuta definitiva la condanna a carico dello straniero, gli si dovevano applicare i precetti previsti dall’art. 197 bis c.p.p.;

2) la inesistenza di riscontri esterni alle dichiarazioni di T..

Costui, durante l’interrogatorio del 19 marzo 2004, aveva affermato che, non essendo in possesso di documenti all’atto del controllo da parte dei vigili, aveva preferito non essere in altro modo identificato ed essere lasciato libero senza ricevere copia del verbale.

A fronte della tesi del ricorrente che aveva sostenuto di non avere potuto identificare il senegalese, datosi alla fuga, le dichiarazioni del teste D. e di altro teste ( L.) non avevano costituito elemento di riscontro alla versione del T.. Infatti era emerso, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di merito, che il D. non era stato sempre presente ai fatti ma si era allontanato per un breve lasso di tempo: quanto era bastato perchè il T. dapprima si fosse allontanato all’arrivo dei vigili e poi fosse tornato indietro lamentandosi con D. stesso del mancato verbale.

In sostanza, ad avviso del difensore, si sarebbe sostanziato uno o più travisamenti di risultati di prova posto che lo straniero dal canto suo aveva ammesso di essersi allontanato non avendo documenti da esibire ai verbalizzanti e il D. non avrebbe osservato in maniera continuativa la scena dei fatti, omettendo di riferire in ordine ad un iniziale effettivo allontanamento del T. dai vigili;

3) il vizio di motivazione sull’elemento psicologico del reato.

In realtà, come ammesso anche dalla giurisprudenza di legittimità, si sarebbe dovuto osservare che la condotta dei vigili era stata frutto, al più, di leggerezza, mentre tutte le indagini si erano mosse nella prospettiva, poi risultata del tutto infondata, che i vigili avessero agito per appropriarsi di parte dei CD oggetto del falso verbale di sequestro.

I ricorsi sono infondati e tale situazione processuale, diversa da quella della inammissibilità del gravame che impedisce la instaurazione di un valido rapporto processuale, non ha precluso il decorrere del termine prescrizionale, maturato il 17 agosto 2009, anche in considerazione dei periodi di sospensione.

Il primo motivo enunciato dal difensore di C. illustra un vizio di logicità della motivazione che è configurabile solo ragionando astrattamente, mentre è da escludere alla luce degli elementi di fatto valorizzati dalla Corte di merito.

Se è vero infatti (v. SSUU Jakani del 2000) che la nomina dell’interprete all’imputato presuppone l’accertamento dell’ignoranza della lingua italiana da parte del medesimo, è anche vero che, alla stregua della stessa giurisprudenza di legittimità, la situazione dell’imputato straniero che mostri, in qualsiasi maniera, di rendersi conto del significato degli atti compiuti con il suo intervento o a lui indirizzati e non rimanga completamente inerte ma, al contrario, assuma personalmente iniziative rivelatrici della sua capacità di difendersi adeguatamente è rimessa al prudente apprezzamento de giudice il quale, nel dubbio sulla effettiva significatività di tali emergenze, ben può provvedere alla nomina dell’interprete. Da una simile opzione, che è a garanzia del corretto esercizio dei diritti dell’imputato, non può, a contrario, desumersi la prova che l’imputato, quando comunque si è espresso con la formulazione di una denuncia a carico di terzi, fosse necessariamente etero-diretto perchè incapace di esprimersi autonomamente. Infinite sono le sfumature della comunicazione e della comprensione e correttamente il giudice del merito ha ritenuto che la modalità di comunicazione da parte del T. all’atto della denuncia orale alla Polizia fossero state tali – per le circostanze verificate e le attestazioni dei protagonisti del fatto – da non far dubitare della genuinità e spontaneità della denuncia stessa.

Si tratta in altri termini di una vantazione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice del merito che, nella specie, ha fornito una spiegazione del tutto plausibile in ordine alle ragioni della ritenuta veridicità e genuinità dell’atteggiamento tenuto del senegalese nella immediatezze del sequestro subito. Non vi è luogo dunque ad ulteriore censura da parte di questo giudice della legittimità al riguardo.

Il secondo e terzo motivo sono invece inammissibili in quanto, il primo, si sostanzia nella sollecitazione ad una diversa valutazione dei risultato di prova, mentre il secondo introduce una doglianza non articolata nei motivi di appello nella sua specificità.

Quanto al primo motivo la difesa introduce peraltro, del tutto genericamente, elementi di fatto (pregresse sanzioni amministrative subite dal D. ad opera dei vigili appartenenti al medesimo ufficio del ricorrente) che questa Corte non può apprezzare in via autonoma e diretta, avendolo già fatto, e del tutto compiutamente, i giudici del merito.

Si rinviene infatti nella sentenza (pag. 5) la affermazione che simili sanzioni amministrative non avevano mai riguardato l’azione dei ricorrenti nei confronti del bar gestito dal D. sicchè la tesi della animosità del teste non poggiava su alcuna base concreta.

Anche il motivo di ricorso sulla motivazione riguardante l’elemento psicologico del reato è stato redatto in maniera del tutto generica.

La Corte d’appello ha spiegato correttamente che il dolo del reato di falso consiste nella coscienza e volontà di attestare un fatto che si sa non vero, come nella specie è accaduto, mentre a nulla rileva, per quanto qui di interesse, se il movente dell’azione sia stato un possibile vantaggio patrimoniale o la fretta di concludere la operazione di polizia, evenienza, quest’ultima, che non varrebbe certo ad integrare alcuna ipotesi di negligenza o di leggerezza a carico dei pubblici ufficiali. Come si ricava dalla lettura delle sentenza in materia (v. ad es. Sez. 5, Sentenza n. 27770 del 18/05/2004 Ud. (dep. 21/06/2004) Rv. 228711), infatti, la detta "leggerezza" atta ad escludere la dolosità della condotta di falso è ravvisata in casi estremi, quanto mai vicini alla nozione della innocuità o della inutilità della azione ovvero alla incompleta conoscenza e/o errata interpretazione di disposizioni normative o, ancora, alla negligente applicazione di una prassi amministrativa:

evenienze nessuna delle quali ricorre o comunque è indicata dalla difesa come presente nel caso di specie.

Infondato è anche il ricorso presentato nell’interesse di Q..

Da respingere è il primo motivo di ricorso.

L’art. 210 c.p.p., comma 6 evocato dalla difesa nulla ha a che vedere con le modalità di assunzione di T.S. al dibattimento.

Secondo quanto attestato in sentenza infatti il senegalese, imputato di reato collegato a quello dei ricorrenti, è stato giudicato nello stesso processo cui anche i ricorrenti sono stati sottoposti.

Non ricorrevano dunque i presupposti per l’applicazione dell’articolo citato il quale regola le modalità di assunzione della persona imputata di reato connesso o collegato, "nei confronti della quale si procede o si è proceduto separatamente" e sempre che, nel secondo caso, "non abbia reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato".

In altri termini gli avvertimenti e le garanzie imposte dall’art. 210 c.p.p. mirano alla attendibilità del dichiarante ma nella prospettiva che egli debba essere reso conscio delle conseguenze delle dichiarazioni anche con riferimento alla propria posizione processuale nel separato processo: evenienza diversa da quella della contestuale celebrazione di un unico processo cumulativo, all’interno del quale debbono essere rispettate le sole norme sull’esame dell’imputato, come garantito dal codice.

Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso.

La parte riporta brani delle deposizioni sia di T.S. che di D. assumendone il travisamento.

E’ noto però, da un lato, che non basta citare brani o parti della prova testimoniale che si assume travisata.

Come più volte evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui con il ricorso per cassazione venga dedotta la manifesta illogicità della motivazione, secondo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), che in ragione delle modifiche apportate dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 consente il riferimento agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", è necessario che dalla esposizione del ricorrente emerga il fumus della illogicità del provvedimento impugnato, che sia ricollegabile ad un atto del processo specificamente indicato. Ne consegue che è inammissibile il ricorso, che pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, di guisa da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (Rv. 234115). D’altra parte, limitandosi la difesa a citare passaggi delle prove dichiarative, è incorsa nella illustrazione di un motivo inammissibile perchè versato in fatto, non essendo consentito alla Corte di legittimità di apprezzare direttamente circostanze demandate all’esclusivo vaglio, anche selettivo, del giudice del merito. Questi, invero, nella specie ha dato conto in maniera plausibile del pensiero espresso dal senegalese, ritenuto attendibile, e in ragione di ciò non può dedursi con il ricorso per cassazione un asserito vizio della motivazione esibita dal giudice del merito che si risolva però nella sollecitazione ad una valutazione autonoma, da parte della Cassazione, sul risultato di prova.

Inammissibile, per le ragioni espresse sopra a proposito dell’analogo motivo di ricorso illustrato a favore di C., è anche l’ultimo motivo di ricorso del Q..
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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