Cons. Stato Sez. V, Sent., 31-03-2011, n. 1972

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il C.C.D.M. S.r.l. è titolare dell’autorizzazione commerciale per la realizzazione di una grande struttura di vendita, appartenente alla tipologia G2/A (settore alimentare o misto), rilasciata, in data 6 giugno 2003, dal Comune di Maida.

Il C.C.D.M. S.r.l. ha impugnato davanti al Tar Calabria la nota del Comune di Feroleto Antico del 15 aprile 2008, con la quale, in sede di conferenza di servizi, si è espresso un complessivo parere favorevole in relazione alla richiesta di autorizzazione commerciale presentata da E.E. s.r.l. e S. s.r.l. per l’apertura di una grande struttura di vendita; la determinazione n. 78 del 9 giugno 2008 e la deliberazione del consiglio comunale del predetto Comune n. 22 del 21 giugno 2008, con le quali è stata approvata la variante urbanistica dell’area trasformandola da agricola a zona D5, nonché altri atti connessi.

Con sentenza n. 140/09 il Tar Calabria ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di legittimazione attiva, essendo la società ricorrente titolare di una autorizzazione per una grande struttura di vendita di tipologia G2A (settore alimentare o misto), diversa da quella oggetto della autorizzazione impugnata (non alimentare o misto).

Il C.C.D.M. S.r.l. ha proposto ricorso in appello avverso la suddetta sentenza per i motivi che verranno di seguito esaminati.

Il Comune di Feroleto Antico, la Regione Calabria, E.E. s.r.l. e S. s.r.l. si sono costituiti in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

Il comune di Gizzeria è intervenuto ad adiuvandum dell’appellante, chiedendo l’accoglimento del suo ricorso.

Con ordinanza n. 2469/2009 questa Sezione ha accolto la richiesta di sospensione dell’efficacia dell’impugnata sentenza.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’oggetto del presente giudizio è costituito dalla contestazione da parte di C.C.D.M. S.r.l. della autorizzazione commerciale rilasciata a E.E. s.r.l. e S. s.r.l. per l’apertura di una grande struttura di vendita nel Comune di Feroleto Antico.

Il giudice di primo grado ha dichiarato il ricorso inammissibile per il difetto di legittimazione attiva, in considerazione della diversa tipologia tra l’autorizzazione impugnata e quella della ricorrente.

3. In via preliminare, deve essere dichiarata l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum proposto dal comune di Gizzeria, non avendo quest’ultimo un interesse qualificato ad opporsi ad una autorizzazione commerciale rilasciata da altro comune.

Sempre in via preliminare, si rileva che permane l’interesse alla decisione del ricorso in appello in quanto: a) l’omessa impugnazione dell’autorizzazione n. 1/08 non costituisce elemento preclusivo all’esame del ricorso che riguarda gli atti presupposti, la cui eventuale illegittimità travolgerebbe l’atto meramente consequenziale; b) il nuovo regolamento regionale n. 1/2010 non conferma il contingentamento delle autorizzazioni in questione, come chiarito oltre.

4. L’appellante deduce che il suo ricorso di primo grado è stato erroneamente dichiarato dal Tar inammissibile sulla base di una tesi formalistica e ripropone le censure formulate avverso l’autorizzazione e la variante urbanistica.

In effetti, deve condividersi la tesi dell’appellante circa l’ammissibilità del suo ricorso, in quanto la sussistenza della legittimazione va verificata sulla base del dato sostanziale costituito dalla tipologia delle autorizzazioni, e non sul mero elemento formale della differente classificazione.

Le due autorizzazioni si distinguono per il solo fatto che quella della ricorrente è mista e consente la vendita anche alimentare, mentre l’autorizzazione impugnata non prevede tale vendita.

Di conseguenza, si tratta di due grandi strutture coincidenti per la parte non alimentare e da qui deriva l’interesse della ricorrente ad opporsi all’autorizzazione, rilasciata – secondo la sua prospettazione – in modo illegittimo ad una concorrente.

5. Il ricorso deve, tuttavia, essere respinto nel merito.

La questione principale attiene senza dubbio alla legittimità del contingentamento delle autorizzazioni, stabilito con la delibera regionale n. 409/2000, la cui violazione da parte dei provvedimenti impugnati è dedotta dall’appellante.

La censura è priva di fondamento.

Si ricorda che la Regione Calabria, con la deliberazione n. 409 del 2000, nel suddividere il territorio regionale in diciassette aree sovra comunali, ha previsto che per l’area n. 10, appartenente al distretto di Lamezia Terme, si potessero consentire unicamente, "come parametri massimi", una grande struttura di vendita di tipo mista (G/A) ed una grande struttura di vendita alimentare (G/B). L’applicazione della delibera condurrebbe a ritenere illegittima l’autorizzazione qui in contestazione, essendo stata già, per la predetta zona e per il medesimo settore, rilasciata l’autorizzazione alla ricorrente nel 2003.

Si deve però tenere conto della successiva entrata in vigore del decretolegge n. 223 del 2006, il cui art. 3 ha stabilito, tra l’altro, che – al fine di "di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale" – le attività commerciali, come individuate dal d.lgs. n. 114 del 1998, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: (….) il rispetto di distanze minime obbligatorie tra attività commerciali appartenenti alla medesima tipologia di esercizio; (…) il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale".

La delibera regionale si pone in contrasto con il d.l. n. 223/06, avendo chiaramente perseguito proprio la finalità di contingentare le autorizzazioni ripartendo le quote di mercato.

Il d.l. n. 223/06 ha introdotto un principio generale a tutela della concorrenza, che garantisce la piena libertà di iniziativa economica e contrasta l’introduzione di limiti e contingentamenti dei titoli abilitativi necessari per l’esercizio di determinate attività commerciali, tra cui rientra quella in questione.

Come già affermato dalla Sezione con la decisione n. 2808/2009, tendenzialmente i criteri limitativi di ordine quantitativo in tema di apertura di nuovi esercizi commerciali si pongono in contrasto con la lettura che dell’art. 3 della legge n. 248 del 2006 ha offerto la Corte costituzionale con la sent. n. 430 del 2007, nel solco di una giurisprudenza più volte confermata (n. 80 del 2006, n. 242 del 2005).

Limitazioni all’apertura di nuovi esercizi commerciali sono astrattamente possibili purché non si fondino su quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite, ossia, in altri termini, sull’apprezzamento autoritativo dell’adeguatezza dell’offerta alla presunta entità della domanda. I principi del Trattato e del nostro ordinamento costituzionale impongono che i poteri pubblici non interferiscano sul libero gioco della concorrenza, astenendosi dallo stabilire inderogabilmente il numero massimo degli esercenti da autorizzare in una determinata area.

Peraltro, un contingentamento delle autorizzazioni implica di per sé un contrasto con l’art. 3 del d.l. n. 223/06, essendo onere dell’amministrazione, o in questo caso dell’appellante, dimostrare che il limite sia stato posto per ragioni e finalità compatibili con il citato d.l..

Tale dimostrazione manca del tutto nel caso di specie ed anzi nella relazione alla deliberazione n. 409/2000 si fa espresso riferimento ad una suddivisione del territorio in aree "configurabili ciascuna come unico bacino di utenza" a conferma del fatto che il mercato è stato segmentato con finalità anticoncorrenziali al fine di predeterminare con atto dirigistico l’equilibrio tra domanda e offerta, che invece dovrebbe essere lasciato al libero gioco della concorrenza e con il concreto effetto di impedire l’ingresso nel mercato di nuovi operatori (effetto che si verificherebbe, dando applicazione nel caso di specie alla delibera regionale).

L’accertamento del contrasto tra la delibera n. 409/2000 e il d.l. n. 223/06 determina l’inapplicabilità dei limiti fissati dalle regioni e la conseguente legittimità dell’autorizzazione rilasciata in favore della società controinteressata.

Si è, quindi, in presenza di un atto legittimo alla data della sua adozione, ma contrastante con sopravvenute disposizioni normative.

Essendovi dubbi sulla configurabilità di un vizio di "illegittimità sopravvenuta", è preferibile ritenere che in questi casi si possa considerare inefficace un atto ad efficacia prolungata, emanato sulla base di un fondamento normativo, poi mutato o si possa comunque procedere alla sua disapplicazione, se trattasi di atto di natura regolamentare.

Nel caso di specie, l’atto deve ritenersi di natura regolamentare, tenuto conto dei caratteri di astrattezza e innovatività delle sue previsioni i cui destinatari non sono individuabili nè a priori, nè a posteriori (peraltro, la natura regolamentare è confermata dal sopravvenuto regolamento n. 1/2020, che disciplina la stessa materia).

Con riguardo all’appena citato regolamento n. 1/2010, va evidenziato come lo stesso si limiti a stabilire l’inefficacia delle norme e dei regolamenti regionali in contrasto con la direttiva comunitaria 2006/123/CE (c.d. direttiva servizi) e con il regolamento stesso, rimettendo dunque all’interprete l’individuazione dei contrasti, che va confermata nel senso sopra indicato in quanto i principi di tutela della concorrenza di cui al d.l. n. 223/06 sono stati attuati anche dalla direttiva servizi (v., in particolare, l’art. 14 della direttiva e l’art. 18 del regolamento regionale, che prevale sull’art. 6, che comporta solo l’obbligo di modifica di norme comunque inefficaci).

Deve, quindi ritenersi inapplicabile il limite di autorizzazioni fissato dalla delibera regionale n. 409/2000 e non possono quindi essere accolte quelle censure contenenti motivi di illegittimità degli atti impugnati, connessi direttamente o indirettamente con la questione del contingentamento: oltre al vizio della violazione della delibera n. 409/00, i motivi della ubicazione dell’esercizio commerciale ad una distanza minima da quello oggetto dell’autorizzazione rilasciata alla ricorrente, della caratteristica di zona "satura" dell’area in questione e dello sviamento di potere per non aver tenuto conto delle precedenti autorizzazioni.

6. Con riguardo alla dedotta assenza del parere della regione Calabria, è sufficiente rilevare come la Regione abbia partecipato alla conferenza dei servizi e non abbia espresso in tale sede alcuna posizione ostativa alla conclusione del procedimento (tale dovendo essere interpretata la posizione espressa in sede di conferenza).

7. Sono in parte infondate e in parte inammissibili le censure relative alla variante urbanistica.

In primo luogo, la conclusione della conferenza di servizi non si pone in contraddizione e contrasto con le caratteristiche urbanistiche dell’area in questione, essendo nella sostanza l’esito della conferenza stato subordinato al completamento (poi avvenuto) della procedura di variante urbanistica.

Il richiamato parere negativo espresso dalla regione nella conferenza di servizi, relativa alla variante urbanistica, è stato correttamente ritenuto non conferente perché incentrato su considerazioni essenzialmente collegate alla questione del contingentamento e della distanza da altra struttura analoga, che non hanno alcuna valenza urbanistica.

Tali ragioni sono inidonee a determinare un arresto procedimentale, non avendo le Regione espresso alcun puntuale contestazione dei profili urbanistici, se non con considerazioni non pertinenti o generiche.

Peraltro, il rilievo secondo cui la zona sarebbe satura e non sarebbe possibile realizzare la struttura in considerazione della distanza da quella esistente è privo di fondamento sulla base delle argomentazioni esposte in precedenza.

L’eccezione circa le aree libere è stata dedotta in modo generico senza alcuna reale contestazione delle certificazioni del Comune e sempre generico è il richiamo all’impatto sul territorio.

E’ anche inammissibile la censura diretta a contestare la procedura semplificata seguita per la variante urbanistica, che è stata proposta per la prima volta in appello; infatti, con il ricorso di primo grado C.M. si era limitato a dedurre per la questione urbanistica il motivo inerente il parere regionale e aveva anche proposto una censura di eccesso di potere per travisamento dei fatti, riferita al procedimento di autorizzazione dell’esercizio commerciale, e non a quello urbanistico.

In ogni caso, la censura proposta in primo grado atteneva all’esistenza nei pressi dello stadio Due Mari di altra zona con destinazione D6, mentre in appello si passa inammissibilmente a contestare per la prima volta il calcolo delle volumetrie effettuato dal Comune.

8. In conclusione, pronunciando sul ricorso in appello, in riforma dell’impugnata sentenza, il ricordo di primo grado deve essere respinto nel merito.

Le parti soccombenti (appellante e comune di Gizzeria) devono essere condannate alla rifusione delle spese di giudizio nella misura indicata in dispositivo in favore del comune di Feroleto Antico e di E.E. s.r.l. e S. s.r.l., mentre ricorrono i presupposti per la compensazione delle spese con la Regione.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), pronunciando sul ricorso in appello indicato in epigrafe, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il ricorso proposto in primo grado.

Dichiara inammissibile l’intervento ad adiuvandum proposto dal comune di Gizzeria.

Condanna in solido il C.C.D.M. s.r.l. e il comune di Gizzeria alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate nella somma di Euro 7.000,00 in favore di E.E. s.r.l. e di S. s.r.l. e di Euro 3.000,00 in favore del comune di Feroleto Antico, compensando le spese con la regione Calabria.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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