Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-03-2011) 06-04-2011, n. 13739 Impugnazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la impugnata ordinanza la Corte di Appello di Brescia, giudicando a seguito di annullamento con rinvio dalla Corte Suprema di cassazione, ha rigettato la domanda presentata da B.G. di riparazione di errore giudiziario.

Il B. era stato condannato con sentenza del Tribunale di Busto Arsizio in data 29.5.2000 alla pena di anni sei di reclusione, quale colpevole del reato di violenza sessuale aggravata e di violenza privata in danno di suo figlio, all’epoca dei fatti minore degli anni tre.

La pronuncia di condanna veniva confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza dell’1.7.2002 e diveniva irrevocabile a seguito del rigetto del ricorso per cassazione proposto dal B..

In data 31.8.2004 i difensori del B. presentavano domanda di revisione della sentenza di condanna.

La domanda veniva accolta dalla Corte di Appello di Brescia che, con sentenza in data 24.1.2005, revocava la pronuncia di condanna e assolveva il B. ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, per insussistenza del fatto. Tale sentenza diventava definitiva a seguito del rigetto da parte di questa Corte dei ricorsi proposti dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Brescia e dalla parte civile.

Sulla base dei citati precedenti giudiziari il B. aveva presentato domanda di riparazione dell’errore giudiziario, facendo rilevare che, in dipendenza della decisione di condanna, poi revocata, aveva subito la detenzione in carcere dal 25.7.2003 al 30.9.2004 e, dopo l’instaurazione del procedimento di revisione, gli arresti domiciliari dall’1.10.2004 al 25.1.2005. Deduceva inoltre che nel corso del procedimento penale si era sempre difeso dalle accuse;

aveva portato elementi difensivi a discolpa, per cui non era ascrivibile ai suoi comportamenti alcun profilo di responsabilità in ordine alla formazione del giudizio di colpevolezza.

La domanda veniva accolta dalla Corte di Appello di Brescia, che, con provvedimento in data 4.5.2007, riconosceva in favore dell’istante la somma di Euro 568.157,00 a titolo di riparazione dell’errore giudiziario.

Avverso tale ordinanza proponeva ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, deducendo che il ricorrente aveva dato causa con il suo comportamento all’errore giudiziario, in quanto la richiesta di revisione era stata accolta per effetto di dichiarazioni di testi assunti in quel procedimento ed alla cui escussione l’imputato aveva, invece, rinunciato nel giudizio di merito, benchè fossero stati ammessi da quel giudice.

Con sentenza in data 6.3.2009 questa Suprema Corte annullava l’ordinanza impugnata rilevando che il giudice della riparazione non risultava avere esaminato e valutato le emergenze processuali, con particolare riferimento a quelle messe in luce dal ricorrente Ministero, da prendere in considerazione per delibare la ricorrenza o meno di elementi attestanti il grado di negligenza in cui è incorso il B. e l’incidenza causale sulla determinazione dell’errore giudiziario.

Con il provvedimento reiettivo della richiesta di riparazione il giudice del rinvio ha ritenuto sussistente la colpa grave del B. nell’aver determinato l’errore giudiziario, osservando, in sintesi, che l’imputato avrebbe potuto chiedere le prove indicate nel giudizio di revisione con l’appello anche sollecitando l’esercizio dei poteri officiosi da parte del giudice del gravame.

Sul punto si è osservato che la rilevanza della prova testimoniale, prodotta nel giudizio di revisione e sulla quale risulta fondato l’accoglimento della domanda, non poteva non essere conosciuta ex ante dall’imputato, trattandosi della sorella B.F.; inoltre che, se poteva ritenersi non caratterizzata da colpa grave la rinuncia alla deposizione della predetta teste nel giudizio di primo grado, non poteva ritenersi giustificata la mancata riproposizione della richiesta di prova in sede di appello dopo la grave condanna subita.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore del B., che la denuncia per violazione di norme processuali e vizi di motivazione.

Con il primo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 643 c.p.p..

Si deduce che la difesa dell’imputato non è rimasta affatto inerte nel giudizio di appello, avendo chiesto la riapertura dell’istruzione dibattimentale finalizzata alla audizione di due testi e tale richiesta è stata respinta dalla Corte territoriale.

Si osserva che nel giudizio di primo grado erano stati indicati quali testi dalla difesa, oltre alla sorella del B., poi sentita in sede di revisione, anche la madre ed un’altra sorella dell’imputato.

In tale fisse del giudizio si era proceduto alla audizione di queste ultime, sollecitando l’esercizio dei poteri del giudice ex art. 507 c.p.p., ma questi aveva ammesso solo la madre e l’altra sorella dell’imputato, B.G..

Nel prosieguo del ricorso, ripercorrendo la vicenda fattuale di cui il B. era stato imputato, si deduce, in sintesi, che la sentenza emessa nel giudizio di revisione non è affatto fondata esclusivamente sulla deposizione della sorella del condannato, escussa quale teste, ma anche su ulteriori elementi di prova, nonchè la rivalutazione di quelle già acquisite nel precedente giudizio, tra cui la revisione critica della deposizione della consulente dott.ssa V. sulla base degli apporti della prof. M..

Con il secondo mezzo di annullamento si denunciano vizi di motivazione dell’ordinanza.

Con il motivo di gravame si denuncia come illogico avere individuato quale elemento di colpa dell’imputato il fatto di non aver sollecitato la richiesta di audizione della sorella in sede di appello, trattandosi di condotta negligente che eventualmente doveva essere ascritta al difensore tecnico. Si deduce che la particolare rilevanza della deposizione della sorella dell’imputato, B. F., tramite la quale doveva escludersi la possibilità che l’imputato avesse commesso i fatti attribuitigli, era emersa soprattutto a seguito della lettura delle argomentazioni su cui risultava fondata la sentenza di appello. Si contesta inoltre che la consulenza della Prof. M., prodotta nel giudizio di revisione, costituisse solo un supporto alla testimonianza della sorella dell’imputato, in quanto la Prof. M. aveva soprattutto evidenziato la inattendibilità della consulenza effettuata dalla dott.sa V. sulla parte lesa.

Si deduce, infine, che la motivazione dell’ordinanza risulta anche carente nella valutazione del grado di negligenza ascrivibile al B.; negligenza che, per escludere il diritto al beneficio ex art. 643 c.p.p., deve essere grave.

Con memoria difensiva depositata il 25.1.2011 l’Avvocatura dello Stato per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze ha concluso per la manifesta infondatezza del ricorso.

Il ricorso è fondato per quanto di ragione.

Giova premettere che la pronuncia di annullamento con rinvio emessa da questa Suprema Corte non contiene l’enunciazione di un principio di diritto, cui doveva attenersi la Corte territoriale, essendo stato disposto l’annullamento per un vizio di motivazione afferente all’omesso esame e valutazione delle emergenze processuali evidenziate dal ricorrente Ministero dell’Economia e delle Finanze, delle quali doveva essere giudicata l’incidenza causale nella determinazione dell’errore giudiziario e il grado di colpa ravvisatole a carico del B..

Deve essere, poi, ricordato che secondo i principi di diritto già affermati da questa Corte in materia di riparazione dell’errore giudiziario la colpa ostativa al diritto alla riparazione deve essere tale da avere non solo concorso alla determinazione dell’errore giudiziario, ma da costituirne la causa principale ed assorbente (cfr. sez. 4, 24.9.1998 n. 2569 del 1999, Strazzeri, RV 213141), a differenza di quanto previsto in materia di diritto alla riparazione per ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p.. (sez. 4, 4.2.2010 n. 9213, Giuliana, RV 246803).

Deve essere, poi, osservato che, sul piano soggettivo, a parte il dolo, la colpa grave deve concretarsi in una condotta caratterizzata da noncuranza, negligenza, incuria, indifferenza per quanto dai propri atti possa derivare sul piano penale, dal sostanziale disinteresse per le vicende del processo, si che la sopravvenuta sentenza di condanna possa ritenersi evento prevedibile dalla generalità delle persone di ordinaria esperienza, (sez. 4, 27.11.1992 n. 1366 del 1993, Malcuori, RV 193220).

Va, infine, osservato che non possono porsi a carico della persona ingiustamente condannata a titolo di colpa e tanto meno di colpa grave, salvo situazioni particolari, le inefficienze o eventuali errori della difesa tecnica, che non siano riconducibili direttamente alla condotta dell’imputato. Tanto premesso, osserva la Corte che il giudice di rinvio ha valutato la condotta del B., attribuendo ad essa i connotati della colpa grave, in base al rilievo che nel giudizio di merito non è stata chiesta al giudice di appello l’ammissione della prova, costituita dall’esame della sorella dell’imputato, prova già esclusa dal giudice di primo grado, per essere stata fondata su detta prova la sentenza di revisione.

Orbene, il giudizio sul punto appare improntato ad una sorta di automatismo, nel quale risulta carente da un lato la valutazione della efficienza causale della condotta dell’imputato nella determinazione dell’errore giudiziario, dovendosi tener conto all’uopo anche delle eventuali carenze dell’istruzione dibattimentale non ascrivibili a colpa della parte, e dall’altro, soprattutto, risulta carente la individuazione del grado di colpa attribuibile al B., ai fini della sua qualificazione come grave, tenendosi conto che non possono ricondursi alla colpa dell’imputato eventuali errori o carenze della sua difesa tecnica.

L’ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio per un nuovo esame che tenga conto di tali principi di diritto.
P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Brescia, cui demanda la liquidazione delle spese di questo grado tra le parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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