Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-03-2011) 06-04-2011, n. 13735 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la impugnata ordinanza la Corte di Appello di Firenze, giudicando a seguito di annullamento con rinvio dalla Corte Suprema di cassazione, ha liquidato in favore di O.A.A. la complessiva somma di Euro 40.000,00 a titolo di riparazione per la custodia cautelare in carcere cui era stato sottoposto dal 4.8.2003 al 9.1.2004 e per quella domiciliare dal 9.1.2004 al 12.5.2004, quale imputato del reato di omicidio; reato dal quale era stato assolto, per non aver commesso il fatto, dalla Corte di Assise di Appello di Firenze con sentenza del 15.12.2005, divenuta irrevocabile.

Con la pronuncia di assoluzione il giudice di appello aveva ritenuto credibile l’alibi fornito dall’istante ai Carabinieri, come persona informata dei fatti, ai quali aveva riferito che la notte dell’omicidio si trovava a lavorare in un panificio distante e con un turno lavorativo tale da rendere impossibile la sua presenza sul luogo del fatto, anche se il delitto risultava essere stato commesso con l’auto di cui l’ O. aveva la disponibilità.

Con la sentenza di questa Corte, che aveva annullato con rinvio il provvedimento reiettivo della richiesta di indennizzo, si era osservato che le contraddizioni ed il parziale mendacio ravvisate dai giudici di merito nelle dichiarazioni difensive dell’istante, integranti un’ipotesi di colpa, non risultavano avere avuto influenza sulla prima ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale del riesame in data 18.7.2001, a seguito di appello del P.M., in quanto basata su dati oggettivi.

Sicchè l’equa riparazione era dovuta per la fase iniziale della custodia cautelare.

Per la protrazione della detenzione veniva, invece, rimessa al giudice di merito la valutazione complessiva della gravità della colpa, tenendo conto "della contestuale e sicuramente sinergica rilevante omissione di tipo investigativo che avrebbe consentito nell’immediatezza di verificare la veridicità delle dichiarazioni rese ai Carabinieri" dall’ O..

Avverso l’ordinanza del giudice di rinvio che ha accolto la richiesta di indennizzo proposta dall’ O. ha proposto ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Con il primo mezzo di annullamento l’Avvocatura dello Stato denuncia violazione ed errata applicazione dell’art. 314 c.p.p. e la mancata acquisizione di una prova decisiva.

Si osserva che il provvedimento genetico della misura cautelare non è costituito dall’ordinanza del Tribunale del riesame in data 18.7.2001, essendo la stessa stata annullata dalla Corte di cassazione, bensì dalla successiva ordinanza in data 31.5.2002, emessa in sede di giudizio di rinvio, della quale era stata chiesta l’acquisizione alla Corte territoriale; richiesta respinta dalla Corte in base al rilievo che tale provvedimento poteva essere ricostruito tramite il riferimento ad essa contenuto nella prima ordinanza della medesima Corte, nella quale risultava attestato che il Tribunale del riesame aveva fatto espresso riferimento alla reticenza ed alla incongruenza delle dichiarazioni della persona sottoposta alle indagini.

Si denuncia, quindi, la mancata assunzione di una prova decisiva e vizi di motivazione dell’ordinanza per essere stato fondato il diritto all’equa riparazione su un provvedimento diverso da quello genetico della misura cautelare.

Con i successivi motivi di gravame viene censurata la quantificazione dell’indennizzo da parte della Corte territoriale:

1) per non avere l’ordinanza applicato il principio di diritto stabilito in sede di annullamento, secondo il quale, ai fini della liquidazione, doveva tenersi conto della condotta colposa dell’ O. e della sua efficienza causale quanto meno in relazione al permanere della custodia cautelare;

2) Mancata applicazione dell’art. 1227 c.c. secondo il cui disposto l’ammontare del risarcimento deve essere diminuito nel caso di concorso del creditore nella causazione del danno;

3) violazione di legge, in quanto la somma liquidata a titolo di indennizzo supera l’importo derivante dalla applicazione del criterio aritmetico, in base al quale viene individuato un tetto massimo giornaliero dell’indennizzo, onnicomprensivo e, perciò, suscettibile di variazioni solo in diminuzione e non in aumento.

Con memoria pervenuta il 4.3.2011 la difesa dell’ O. ha sostenuto l’infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto.

Il ricorso non è fondato.

Va rilevato in ordine al primo motivo di gravame che la sentenza di questa Suprema Corte, con la quale è stata annullata l’ordinanza reiettiva della richiesta di equa riparazione, ha espressamente affermato che per la fase iniziale della custodia cautelare, fondata sul provvedimento genetico della misura, "il giudice del rinvio dovrà riconoscere il diritto alla riparazione liquidando il relativo indennizzo".

Sicchè l’acquisizione dell’ordinanza indicata dalla Avvocatura dello Stato doveva ritenersi inconferente ai fini della decisione sul punto, essendo vincolato il giudice di rinvio da quanto affermato da questa Corte, ai sensi dell’art. 627 c.p.p., comma 3, in ordine alla spettanza del diritto all’equa riparazione.

Peraltro, come rilevato nelle richieste del P.G. presso questa Corte, la mancata acquisizione dell’ordinanza del 31.5.2005 non ha, in ogni caso, avuto alcuna incidenza sostanziale sul giudizio espresso dalla Corte territoriale, pur tenendosi conto del fatto che la citata ordinanza faceva riferimento alla reticenza ed alla incongruenza delle dichiarazioni della persona sottoposta alle indagini.

Il giudice di rinvio, infatti, nel valutare complessivamente la colpa degli inquirenti e quella dell’istante, come prescritto dal giudice di legittimità, ha concluso testualmente nel senso che la colpa del ricorrente risulta "di gran lunga soccombente rispetto a quella degli stessi organi di indagine che non provvidero, nei tempi allora consentiti dal modesto lasso di tempo trascorso, ad acquisire di ufficio i nomi delle persone che lavoravano nella notte tra il 5 e il 6 luglio 2000 nel panificio dove asseriva di aver lavorato l’indagato e a sentirli nell’immediatezza dei fatti".

Tale motivazione si palesa fondata su criteri di assoluto rigore logico, in quanto un approfondimento immediato dell’alibi fornito dall’indagato dopo solo quindici giorni dal fatto avrebbe impedito l’emissione del provvedimento restrittivo.

Sicchè, anche la esclusione della incidenza della colpa attribuibile all’indagato, con riferimento al mantenimento della misura cautelare, si palesa corretta, dovendosi peraltro tener conto sul punto che il legittimo esercizio del diritto di difesa rende in taluni casi irrilevante l’eventuale silenzio dell’indagato e talora anche il mendacio.

Anche gli ulteriori motivi di gravame sono infondati.

L’iter motivazionale sul quale è fondata l’ordinanza impugnata sostanzialmente ha escluso qualunque incidenza della colpa dell’interessato ai fini della liquidazione dell’indennizzo;

indennizzo che è stato correttamente calcolato in applicazione del cosiddetto criterio aritmetico, cui è stato aggiunto un piccolo importo (Euro 2.340,00) per lo strepitus fori e le conseguenze morali derivanti dallo stato di detenzione, con valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità. In ordine alla questione di diritto dedotta dal ricorrente circa i criteri di calcolo dell’indennizzo va infine rilevato che secondo l’assolutamente prevalente indirizzo interpretativo di questa Corte, ormai consolidato, "In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, nel liquidare l’indennità il giudice è vincolato esclusivamente al tetto massimo normativamente stabilito, che non può essere superato, ma non anche al parametro aritmetico fondato su tale limite, individuato dalla giurisprudenza per determinare la somma dovuta per ogni giorno di detenzione sofferto. Infatti tale meccanismo offre solo una base di calcolo, che deve essere maggiorata o diminuita con riguardo alle contingenze proprie del caso concreto, pur restando ferma la natura indennitaria e non risarcitoria dell’istituto." (sez. 4^, 13.5.2008 n. 23119, Taccagni, RV 240302; sez. 4^ 6.10.2009 n. 40906, Mazzarotto, RV 245369) (sez. 4^, 21.6.2005 n. 30317, Bruzzano, RV 232025; sez. un. 13.1.1995 n. 1, Min. Tesoro in proc. Castellani, RV 201035).

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente Ministero al pagamento delle spese processuali, nonchè di quelle sostenute nel grado dall’ O.A..
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente Ministero al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione di quelle sostenute nel grado da O.A.A., che liquida in Euro 1.000,00, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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