Cass. civ. Sez. V, Sent., 30-06-2011, n. 14339 Accertamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 24 novembre 2001 veniva notificato alla NEDA s.p.a. un avviso di accertamento relativo alla dichiarazione IRPEG – ILOR per l’anno di imposta 1997. L’accertamento, basato su una verifica fiscale compiuta dalla Guardia di Finanza, rilevava la omessa dichiarazione di redditi fondiari relativi a terreni e fabbricati non strumentali, la deduzione di costi non inerenti e la omessa dichiarazione di ricavi non contabilizzati, la dichiarazione di elementi negativi del reddito non documentati o non deducibili e, in particolare, gli accantonamenti eccessivi al fondo svalutazione crediti, gli interessi sul saldo del prezzo di acquisto del terreno non strumentale, i canoni per locale ad uso foresteria, gli interessi passivi corrisposti dalla Mediofactoring, le consulenze commerciali.

La C.T.P. di Milano accoglieva l’opposizione quanto alla mancata dichiarazione di redditi fondiari e ricavi non contabilizzati e quanto alla deduzione di costi non inerenti e la respingeva quanto ai crediti perchè ceduti in base a contratti di factoring stipulati dalla Neda e ai costi non documentati.

Sia l’Agenzia delle Entrate che la Neda proponevano appello ma la C.T.R. della Lombardia confermava la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione la s.p.a. Neda in liquidazione affidandosi a due motivi di ricorso.

Si difende con controricorso l’Agenzia delle Entrate che propone/a sua volta.ricorso incidentale basato su sette motivi di impugnazione.
Motivi della decisione

Preliminarmente i due ricorsi vanno riuniti.

Con il primo motivo di ricorso principale si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 71 (ora art. 106 del T.U.I.R.) e vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia. La ricorrente rileva che erroneamente la C.T.R. non ha tenuto conto del carattere della cessione dei crediti (ancora iscritti all’attivo del bilancio) e cioè quello di una semplice cessione per l’incasso senza trasferimento del rischio. Il motivo è fondato. Non può condividersi infatti nè dal punto di vista dell’interpretazione della normativa di cui al T.U.I.R., nè dal punto di vista motivazionale, con riferimento alla fattispecie concreta, la ragione per cui la C.T.R. ha escluso la legittimità dell’iscrizione a bilancio dei crediti ceduti pro solvendo e conseguentemente l’accantonamento al fondo svalutazione crediti della somma di L. 119.463.766. Secondo la C.T.R. i crediti ceduti in factoring debbono essere considerati usciti dalla sfera economica e patrimoniale del cedente atteso che la loro retrocessione, dovuta a mancato – pagamento deve considerarsi solo eventuale. La giurisprudenza di questa Corte (a partire da Cass. Civ. sez. 5^ n. 2133 del 14 febbraio 2002) ha ripetutamente affermato, in tema di crediti ceduti pro solvendo che la deduzione degli accantonamenti iscritti nel fondo rischi su crediti, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 66, si applica ai crediti ceduti se, e nella misura in cui, essi, nonostante la cessione, determinino una situazione di rischio per il cedente. D’altra parte è fuori discussione, in base alla disciplina degli artt. 2423 bis e 2423 c.c., che del rischio di inadempimento relativo ai crediti ceduti pro solvendo deve tenersi conto nella redazione del bilancio, con la conseguenza che essi devono essere calcolati ed esposti separatamente da quelli derivanti dai crediti non ceduti e dei crediti ceduti pro soluto. La pretesa dell’amministrazione finanziaria di escludere la deducibilità dei crediti ceduti è fondata solo nei limiti in cui i crediti ceduti non comportino un rischio di inadempimento, secondo le regole aziendalistiche di calcolo della corrispondente svalutazione dei crediti. In particolare il calcolo dei rischi su crediti deve essere effettuato secondo le norme tecniche della scienza aziendalistica, applicando regole analoghe a quelle analitiche e/o sintetiche, che si applicano per le analisi e per le stime della svalutazione dei crediti.

Con il secondo motivo di ricorso principale si deduce la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 (ora art. 109) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5) a società ricorrente lamenta che la C.T.R. ha confermato, senza alcuna motivazione, la statuizione della C.T.P. relativa al rigetto dell’opposizione alla ripresa a tassazione della somma di L. 1.811.233.248, operata per elementi negativi di reddito non deducibili e non documentati nonostante la richiesta esibizione in sede di verifica. Deduce la ricorrente che la indisponibilità momentanea della documentazione e la mancanza di collaborazione dei militari della Guardia di Finanza non possono costituire motivo di preclusione a presentare la documentazione in sede contenziosa.

Il motivo è fondato. La C.T.R. ha deciso sulla preclusione probatoria secondo una linea interpretativa contraria alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Civ. S.U. n. 45 del 25 febbraio 2000) secondo cui, a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, perchè la dichiarazione, resa dal contribuente nel corso di un accesso, di non possedere libri, registri, scritture e documenti (compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sia obbligatoria) richiestigli in esibizione determini la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione a suo favore ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, occorre:

la sua non veridicità o, più in generale, il suo concretarsi – in quanto diretta ad impedire l’ispezione del documento -in un sostanziale rifiuto di esibizione, accertabile con qualunque mezzo di prova e anche attraverso presunzioni; la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa; il dolo, costituito dalla volontà contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento. Pertanto non integrano i presupposti applicativi della preclusione le dichiarazioni (il cui contenuto corrisponda al vero) dell’indisponibilità del documento, non solo se questa sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore, ma anche se imputabile a colpa, quale ad esempio la negligenza e imperizia nella custodia e conservazione.

Con il primo motivo di ricorso incidentale si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 40 e 57 e la illogica, contraddittoria, insufficiente motivazione. L’Agenzia fa rilevare che i terreni non strumentali concorrono a formare l’imponibile senza che sia necessario provare la loro utilizzazione a fini agrari. L’Agenzia rileva che la stessa C.T.R. ha fatto contraddittoriamente riferimento alla circostanza per cui le opere previste non furono realizzate.

Il motivo è fondato. La C.T.R. ha contraddittoriamente affermato che il terreno non è stato destinato, nell’anno cui si riferisce l’accertamento, alla realizzazione e all’utilizzazione di uffici e magazzini strumentali all’attività di impresa ma, allo stesso tempo, ha escluso la legittimità della ripresa a tassazione del reddito fondiario rilevando che non risulta che il terreno sia stato utilizzato cosicchè il carattere agrario del terreno non può rilevare, secondo la C.T.R., in assenza di una prova dello sfruttamento della terra. Tali affermazioni sono in palese contrasto con gli artt. 40 e 57 del T.U.I.R. che escludono la tassabilità dei redditi fondiari degli immobili strumentali all’attività di impresa mentre escludono che la tassabilità dei redditi fondiari relativi ai beni non strumentali di proprietà dell’impresa sia condizionata allo sfruttamento a fini agrari.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53, D.P.R. n. 441 del 1997, art. 1 e artt. 2697, 2727 e 2729 c.c.. Relativamente alla contestata omessa contabilizzazione di ricavi conseguenti alla cessione di imballaggi l’Agenzia fa rilevare che, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R. la presunzione di cessione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53, esclude la necessità di provare la non esistenza fisica delle merci nei locali aziendali mentre il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, si riferisce ai costi di acquisizione specifici dei beni.

Il motivo deve essere respinto in quanto non coglie la ratto decidendo consistente non in una erronea alterazione dell’onere probatorio ma nel rilievo della carenza di presupposti su cui fondare la presunzione di cessione senza fatturazione degli imballaggi. In questa logica la C.T.R. ha registrato la mancata effettuazione di una constatazione diretta della situazione di magazzino dato che il recupero a tassazione si basava, come ha affermato l’amministrazione finanziaria nel ricorso, proprio sul confronto fra imballaggi acquistati nel corso dell’anno e risultanze della contabilità di magazzino. Sotto questo aspetto la motivazione della C.T.R. appare intesa a sottolineare la insussistenza dei presupposti per la contestazione di una presunzione di cessione rilevando che il raffronto fra acquisti e contabilità di magazzino non è un dato sufficiente dato che la società contribuente si è avvalsa della possibilità di escludere dalla contabilità di magazzino beni di trascurabile rilievo percentuale. Nella stessa logica la C.T.R. ha rimarcato come l’imballaggio non sia soggetto autonomo di imposizione nei rapporti fra le parti dell’operazione principale. Il ricorso sotto questo profilo manca di autosufficienza in quanto non da atto della contestazione, sia in sede di accertamento che di giudizio, circa l’insussistenza dei presupposti che potevano consentire alla società contribuente di escludere gli imballaggi dalla contabilità di magazzino.

Con il terzo motivo di ricorso incidentale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 75, comma 1 e 2, del T.U.I.R. (nel testo vigente ratione temporis). Illogicità e insufficienza della motivazione. L’Agenzia deduce che la C.T.R. ha annullato illegittimamente la ripresa a tassazione della somma di L. 1.590.000 percepita dalla società quale rateo di interessi attivi di competenza dell’esercizio 1997. La decisione della C.T.R. si basa sulla circostanza dell’emissione della fattura da parte della società contribuente in epoca successiva al bilancio di esercizio 1997 sicchè la voce doveva essere contabilizzata, come correttamente aveva fatto la contribuente, come ricavo dell’esercizio 1998. Secondo la ricorrente la decisione della C.T.R. contrasta con il disposto dell’art. 75, comma 1 e comma 2, lett. b) secondo cui i corrispettivi periodici dei contratti di mutuo si considerano conseguiti alla data di maturazione. La doglianza dell’amministrazione finanziaria è fondata, essendo chiara nella normativa del testo sulle imposte sui redditi che gli interessi attivi costituenti corrispettivo dei contratti di mutuo si considerano conseguiti alla loro data di maturazione.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 75, comma 5, del T.U.I.R. (nel testo in vigore ratione temporis) nonchè dell’art. 2697 c.c.. La ricorrente incidentale lamenta che la C.T.R. ha posto a suo carico l’onere di provare la non esclusiva destinazione degli immobili utilizzati come foresteria al personale dell’azienda, pur avendo la società, in persona del suo rappresentante legale, dichiarato che gli immobili venivano utilizzati dai dipendenti soltanto in via saltuaria e non continuativa. Il motivo è fondato in quanto la C.T.R. con una motivazione apodittica (l’appello dell’ufficio si fonda su una presunzione priva di riscontri) ha sostanzialmente invertito l’onere della prova gravante sulla società contribuente quanto alla inerenza dei costi sostenuti per canoni di locazione e non ha comunque valutato la rilevanza della dichiarazione dell’amministratore.

Con il quinto motivo di ricorso incidentale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 75, comma 5, del T.U.I.R. e degli artt. 2389, 1418, 1343, 1344 c.c. e la omessa o insufficiente motivazione.

L’Agenzia rileva che, vertendosi in ipotesi di deduzione dei costi di consulenze commerciali ritenute non inerenti, la società avrebbe dovuto provare che si trattava di consulenze inerenti a incombenze non di competenza degli amministratori. Il motivo appare infondato dato che, in realtà, la contestazione dell’amministrazione finanziaria si incentra sul merito della valutazione compiuta dalla C.T.R., circa l’autonomia delle prestazioni professionali, fornite attraverso le consulenze, rispetto ai compiti propri degli amministratori. Si tratta di una valutazione di merito che la C.T.R. ha compiuto sulla scorta di una motivazione che sottolinea il contenuto organizzativo – commerciale delle consulenze e lo ritiene pertanto estraneo ai compiti di amministrazione della società.

Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 1 e comma 2, lett. b), nel testo in vigore ratione temporis e la illogicità e insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia. Lamenta la ricorrente che gli interessi passivi riferibili a prestazioni di factoring di competenza del 1996 andavano dedotti in quell’anno e non nel 1997 (in cui era avvenuta la fatturazione da parte del factor).

Il motivo è fondato perchè vige in materia il già ricordato art. 75 del T.U.I.R. che regola la disciplina della dichiarazione secondo il principio di competenza sempre che gli interessi passivi non fossero determinabili alla data della maturazione. Circostanza che doveva essere dedotta e provata dalla contribuente.

Con il settimo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 1 e comma 2, lett. b) e art. 66, comma 2, nel testo in vigore ratione tempori e la illogicità e insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia. La ricorrente lamenta che la C.T.R. abbia ritenuto corretta la deduzione nella dichiarazione relativa al 1997, come sopravvenienze passive, delle differenze fra premi e promozioni contabilizzati nell’esercizio di competenza dalla NEDA come ricavi e somme effettivamente percepite dalla NEDA. Secondo la ricorrente tale modus operandi della contribuente non può essere condiviso perchè le sopravvenienze passive sono deducibili se sono in correlazione a componenti reddituali che abbiano influenzato il reddito in esercizi precedenti e che abbiano fatto registrare variazioni in diminuzione in dipendenza di eventi non prevedibili nell’esercizio di competenza.

Non sono invece deducibili nell’ipotesi in cui dipendano da errori e/o dimenticanze compiute dal contribuente nell’esercizio di competenza.

Il motivo è fondato in quanto non possono considerarsi sopravvenienze passive ai sensi dell’art. 66, comma 2, del T.U.I.R. le differenze relative agli effettivi ricavi percepiti rispetto a quelli dichiarati in esercizio precedente imputabili al contribuente invece che alla verificazione di eventi imprevedibili che hanno inciso sulla produzione del reddito.

Il ricorso incidentale e i motivi primo, terzo quarto, sesto e settimo del ricorso incidentale vanno pertanto accolti con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia che deciderà anche in merito alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale e il primo, terzo, quarto, sesto, settimo motivo del ricorso incidentale, rigetta il secondo e quinto motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia ad altra sezione della C.T.R. della Lombardia che deciderà anche sulle spese processuali del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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