Cass. civ. Sez. V, Sent., 30-06-2011, n. 14336 Accertamento Redditi d’impresa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel 1999 fra le s.p.a. NEDA e Società Generale Distribuzione (S.G.D.) interveniva una cessione di ramo d’azienda il cui valore veniva dichiarato in cifra negativa pari a lire 47.925.128.943, in ragione delle passività gravanti sull’azienda cedente.

Con avviso di accertamento del 14 marzo 2001 l’Ufficio del registro di Milano rettificava il valore dichiarato elevandolo a lire 50.819.924.165. L’Ufficio attribuiva valore di 35.000.000.000 di lire all’avviamento, pari alla media aritmetica fra valore calcolato con il metodo dell’investimento sostitutivo attualizzato e con il metodo della capitalizzazione della redditività operativa storica.

Disconosceva una quota pari al 20% delle passività per riequilibrare la percentuale di queste ultime (94%) rispetto al valore dell’attivo ceduto (74%).

Proponevano opposizione all’accertamento le due società contraenti deducendo che il valore dell’avviamento era stato indicato in lire 14.070.000.000, da ritenersi congruo a fronte degli ultimi tre esercizi chiusi in perdita, e che il criterio seguito dall’amministrazione finanziaria per disconoscere una quota delle passività era arbitrario e smentito comunque dalla reale consistenza di attività e passività pari rispettivamente all’87% e all’88% del totale, sicchè vi era coincidenza fra le due grandezze. In particolare le società ricorrenti consideravano come non ceduti alla S.G.D. un terreno, non strumentale al ramo di aziendaòe partecipazioni in altre società che dovevano considerarsi prive di valore perchè tali società, costituendosi fideiussori, avevano garantito con tutti i loro beni alla S.G.D. il pagamento del prezzo negativo di cessione dell’azienda della NEDA. La C.T.P. accoglieva il ricorso.

Tale decisione è stata confermata dalla C.T.R. che ha sottolineato la dipendenza del valore dell’avviamento dall’accertamento di un reddito di impresa.

Ricorre per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze insieme all’Agenzia delle Entrate affidandosi a due motivi di impugnazione.

Si difende con controricorso la Società Generale Distribuzione ed eccepisce l’inammissibilità del ricorso perchè notificato tardivamente.
Motivi della decisione

L’eccezione di tardività del ricorso è infondata. Il ricorso risulta consegnato all’Ufficiale giudiziario per la sua notifica alla data del 27 marzo 200 6 e quindi nel termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza della C.T.R..

Contrariamente all’assunto di parte controricorrente deve ritenersi provata la consegna del ricorso all’ufficiale giudiziario alla data del 27 marzo 2006 in quanto sul ricorso è stato apposto il timbro dell’ufficiale giudiziario con la data del 27 marzo 2006.

L’apposizione del timbro è idonea a provare la consegna tempestiva del ricorso sia pure in mancanza della sottoscrizione dell’ufficiale giudiziario che ha provveduto alla notifica del ricorso a mezzo del servizio postale il giorno successivo 28 marzo del 2006.

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., (infrapetizione), art. 111 Cost., e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, (omissione totale di motivazione) in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. L’Amministrazione ricorrente rileva che la C.T.R. ha manifestamente limitato l’oggetto del contendere in appello a una sola parte (quella relativa alla determinazione dell’avviamento) mentre ha omesso qualsiasi motivazione circa l’altro motivo di impugnazione (quello concernente l’esclusione dalle passività deducibili della quota eccedente il rapporto proporzionale tra il valore di bilancio dell’azienda ceduta e il totale dell’attivo patrimoniale esposto in bilancio dalla società cedente).

Il motivo appare palesemente fondato dato che la C.T.R. ha espressamente delimitato l’oggetto della controversia in appello a due questioni e cioè l’ammissibilità dell’appello relativo al valore dell’avviamento e l’eventuale rideterminazione di tale valore, escludendo con ciò la necessità di prendere in esame l’altra parte dell’impugnazione concernente la questione delle passività deducibili.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 4, D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, comma 4, nonchè degli artt. 2424 e 2426 c.c., (nel testo originario), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti di fatto decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. L’Amministrazione ricorrente rileva che la C.T.R., se pure sia partita da una corretta definizione dell’avviamento come capacità dell’azienda di produrre reddito in relazione alla sua specifica posizione di mercato, non ha tratto da essa conseguenze giuridicamente e logicamente corrette. In primo luogo ha infatti errato, secondo la ricorrente, a identificare avviamento e produzione attuale di un risultato positivo di esercizio. In tal modo ha disconosciuto il carattere attribuito all’avviamento dagli artt. 2424 e 2426 c.c., di posta attiva dello stato patrimoniale, di bene immobilizzato nel patrimonio aziendale.

In secondo luogo ha errato la C.T.R. nel suo riferimento al D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, comma 4, che è disposizione normativa estranea alla disciplina degli accertamenti in rettifica. E, in ogni caso, tale disposizione prevede che il valore dell’avviamento è determinato sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi di imposta moltiplicata per tre.

Nella specie quindi si sarebbe dovuto tenere conto del volume dei ricavi realizzati e non del risultato economico di gestione. Inoltre la ricorrente amministrazione contesta che il criterio seguito nell’accertamento (investimento sostitutivo attualizzato dell’attivo ceduto, raffrontato con la capitalizzazione della redditività operativa storica) possa essere qualificato, come ha fatto la C.T.R., come un mero criterio matematico astratto mentre invece esso si basa sull’utilizzazione di dati specifici quali il valore dell’attivo ceduto. Infine la ricorrente lamenta l’insufficienza e contraddittorieta della motivazione laddove la C.T.R. dopo aver affermato che non vi è valore di avviamento quando non vi è reddito positivo ha ritenuto congruo il valore dichiarato di lire 14.070.969.898.

Il motivo deve ritenersi fondato sotto tutti i profili esposti. E’ infatti errato ritenere che l’avviamento sia direttamente e risolutivamente collegato all’esistenza di un utile di esercizio negli ultimi tre periodi di imposta. Il dato rilevante è infatti quello dei ricavi ottenuti dall’azienda. Inoltre la motivazione della C.T.R. non ha di fatto preso in considerazione la valutazione che ha portato all’accertamento e ha concluso con un giudizio di congruità del valore dichiarato non sorretto da alcuna motivazione specifica.

Tale non potendosi considerare quella che ha escluso il valore di avviamento in assenza di utili di esercizio perchè logicamente in contrasto con lo stesso giudizio di congruità. Il ricorso va pertanto accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia che deciderà anche in merito alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della C.T.R. della Lombardia che deciderà anche sulle spese processuali del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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