Cass. civ. Sez. V, Sent., 30-06-2011, n. 14335 Accertamento Oneri deducibili Redditi d’impresa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Le società Cartiere del Garda e Bertelfin deliberavano la loro fusione per incorporazione con effetti dalle ore 18.00 del 31 dicembre 1989. La società incorporante, Bertelfin, nella dichiarazione dei redditi concernente specificamente il periodo fra la fusione e la fine dell’anno, deduceva una quota pari ad un quinto del totale delle spese e delle perdite della incorporata, Cartiere del Garda s.p.a., di cui assumeva la denominazione.

L’Amministrazione finanziaria recuperava a tassazione tali variazioni in diminuzione. Ne insorgeva un contenzioso definito con la sentenza della Corte di Cassazione n. 12283/2001 in base alla quale la incorporazione veniva ritenuta efficace a partire dal 1 gennaio 1990 con conseguente preclusione per l’incorporante a far valere nella propria dichiarazione le spese e le perdite sostenute dall’incorporata nell’anno 1989. Ne conseguiva la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale e, con decisione sul merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, il rigetto della domanda proposta dalla S.p.a. Cartiere del Garda con il ricorso avverso l’avviso di accertamento.

Con istanza del 2 maggio 2002 la s.p.a. Cartiere del Garda chiedeva il rimborso delle imposte non dovute corrisposte nel periodo 1990- 1994, a seguito della riliquidazione conseguente alla rettifica della dichiarazione dei redditi per il 1989.

L’Ufficio di Riva del Garda dell’Agenzia delle Entrate rigettava l’istanza opponendo ad essa l’irretrattabilità delle dichiarazioni per gli anni sopra indicati, essendo nel frattempo maturata la decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento.

La società contribuente proponeva ricorso avverso tale diniego rilevando che il diritto al rimborso trovava fondamento nella pronuncia della Corte di Cassazione n. 12283/2001 e conseguentemente era dalla data del suo deposito che poteva cominciare a decorrere il termine decadenziale ancora in corso al momento della proposizione del ricorso.

L’Amministrazione finanziaria si costituiva eccependo la decadenza D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38.

La Commissione tributaria di primo grado di Trento accoglieva il ricorso della società Cartiere del Garda.

La Commissione tributaria di secondo grado di Trento ha accolto l’appello dell’Amministrazione finanziaria.

Ricorre per cassazione Cartiere del Garda s.p.a affidandosi a tre motivi di impugnazione e depositando memoria ex art. 378 c.p.c..

Si difende con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, e la omessa e insufficiente motivazione. La ricorrente lamenta il mancato rilievo del difetto di specificazione dei motivi di appello. il motivo è infondato sia per quanto riguarda la deduzione di violazione di legge sia per quanto riguarda la deduzione di insufficienza della motivazione (che appare in palese contrasto logico con quella di omissione della motivazione). Sebbene sia pacifico che la Amministrazione appellante abbia in larga misura riproposto nell’atto di appello le considerazioni testualmente svolte nella memoria di costituzione in primo grado ciò non comporta affatto una valutazione automatica di genericità e non specificità dei motivi di appello (cfr. Cass. civ. n. 11781 del 7 giugno 2005 e Cass. civ. n. 17960 del 24 agosto 2007). Nel caso in esame, al contrario, l’appello dell’uffizio, il cui tenore letterale è stato lealmente riprodotto nel ricorso della contribuente, si distingue per un inusuale livello di specificità e precisione, mentre i suoi requisiti di ammissibilità debbono essere valutati non in base alla funzione dell’atto e non in base all’originalità della sua forma rappresentativa. E’ comunque risolutivo l’esame dell’appello sotto il profilo della possibilità di individuare in esso, con chiarezza, le statuizioni investite dal mezzo di impugnazione e le ragioni di critica mosse dall’appellante. Tale valutazione è stata compiuta esplicitamente dalla C.T.R. nella sua motivazione in cui si da atto della idoneità dell’appello a integrare il requisito di una specifica contestazione delle ragioni e dell’iter logico-giuridico della decisione di primo grado. Valutazione questa che – ai fini del controllo della logicità del procedimento interpretativo consentito in sede di legittimità (cfr. Cass. civ. n. 2217 del 1 febbraio 2007) – deve ritenersi del tutto condivisibile in quanto la impugnazione della sentenza di primo grado è formulata in modo da indirizzare l’attività decisionale della C.T.R. sui tre punti che l’appellante prospetta come risolutivi della controversia e che la C.T.R. ha preso in esame e cioè: a) l’inapplicabilità dell’art. 76 T.U.I.R., nel senso dell’inesistenza, nel caso in esame, di un dovere di rettifica da parte dell’Amministrazione finanziaria, b) l’inesistenza di una ipotesi di doppia imposizione, c) la soggezione della richiesta di rettifica al termine decadenziale di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 52, art. 67, comma 7, art. 71, comma 2, art. 74, comma 2, art. 95 T.U.I.R. ( D.P.R. n. 917 del 1986) e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38. La ricorrente lamenta la mancata rilevazione di una doppia imposizione o comunque del pagamento, negli anni dal 1990 al 1994, di una imposta calcolata su un reddito imponibile dichiarato in misura superiore a quella effettiva.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 76, comma 6, del T.U.I.R. ( D.P.R. n. 917 del 1986).

Secondo la ricorrente in base ad una interpretazione sistematicamente coerente con l’art. 127 del T.U.I.R. (divieto della doppia imposizione) nonchè in base a una interpretazione costituzionalmente conforme ( artt. 3, 53 e 97 Cost.), l’art. 76, comma 6 del T.U.I.R. deve essere interpretato nel senso che la riliquidazione delle imposte, per gli anni successivi a quello oggetto di rettifica, deve essere effettuata dagli uffici anche nel caso di rettifiche sulla competenza dei costi deducibili.

La deduzione è manifestamente erronea con riferimento alla fattispecie in esame. In primo luogo deve essere precisato che la sentenza della Corte di cassazione n. 12283 del 2001 non ha il contenuto ad essa ascritto dal ricorso (pag. 2 e 14) bensì quello sintetizzato nella precedente narrativa. La sentenza suddetta non ha mai affermato, cioè, che i costi della incorporata dichiarati dalla incorporante e ritenuti dalla Corte indeducibili per l’incorporante potevano da quest’ultima essere dedotti negli anni 1990-1994 o in altro momento. La questione esaminata dalla Corte non era di imputazione temporale ma di imputazione soggettiva: la corte ha dichiarato infatti che, trattandosi di costi della incorporata precedenti all’incorporazione non potevano come tali essere dedotti dall’incorporante.

Nella fattispecie in esame l’art. 76 non ha alcun rilievo. La rettifica suddetta, infatti, non ha alcuna possibilità di proiezione in futuro, non trattandosi di rettifica dipendente da una diversa valutazione di una posta permanente o ricorrente, ma solo del disconoscimento di una spesa o di un costo in quanto non sopportato dalla dichiarante (vi è solo da osservare che la proiezione nel futuro di tale rettifica, oltre che essere illogica, andrebbe a danno della attuale ricorrente). Come si è detto non si trattava neppure di una questione di imputazione temporale del costo secondo il criterio della competenza o della cassa.

E’ quindi inconferente il richiamo a Cass. civ. 5^ sezione, n. 6331 del 10 marzo 2008 secondo cui in caso di violazione delle regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, non si determina una doppia imposizione, posto che quest’ultima è evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta. Nel caso di specie non si è verificata alcuna doppia imposizione e del resto nè il ricorso nè la sentenza di primo grado specificano quale sia l’imposizione pagata due volte.

Deve comunque essere osservato che la decadenza prevista dalla legge per i rimborsi delle imposte indebitamente pagate è compatibile in generale con il divieto di doppia imposizione, posto che in tali ipotesi il doppio pagamento non dipende dalla legge impositiva ma dall’errore o dall’inerzia del contribuente.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 15.000, oltre ad Euro 200 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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