Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-12-2010) 06-04-2011, n. 13708 Cause di non punibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ni del PG Dott. MAZZOTTA Gabriele che ha chiesto il rigetto.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 31.5.2010, emessa ex art. 425 c.p.p. il Gip del tribunale di Udine ha dichiarato non doversi procedere,per mancanza dell’elemento psicologico, nei confronti di Gi.Ir. e F.F., in ordine ai reati, rispettivamente di diffamazione, ex art. 595 c.p., commi 2 e 3 e L. n. 47 del 1948, art. 13, e di omesso controllo, ex art. 57 c.p..

L’accusa riguarda la pubblicazione, nel giornale on line "Friulinews S.It", della notizia che il pubblico ministero aveva formulato la richiesta di rinvio a giudizio dell’avv. G.B., notizia rivelatasi falsa, in quanto il pubblico ministero aveva provveduto alla notifica dell’avviso di conclusioni delle indagini.

Il giudice ha ritenuto che la inesatta notizia sia frutto di un confuso e contraddittorio utilizzo della terminologia processuale, che non appartiene al bagaglio culturale della giornalista e che non costituisce la volontaria affermazione di un fatto lesivo della reputazione del querelante. Tale argomento è tratto dal confronto tra il titolo dell’articolo (in cui si parla di rinvio a giudizio) e il testo che riferisce della precedente richiesta del pubblico ministero.

Trattasi quindi di una lettura erronea di una notizia ottenuta dalla giornalista da chi aveva conoscenza diretta dell’evento, non suscettibile di un controllo da parte della medesima, in quanto priva di titolo per accedere alla lettura degli atti processuali.

Il giudice conclude che deve escludersi il dolo, che nel delitto di diffamazione consiste nella cosciente volontà di comunicare a terzi notizie con la consapevolezza della loro attitudine lesiva dell’altrui reputazione.

Per altro verso, il giudice ritiene che l’errore riguarda in modo marginale il contenuto del fatto concernente la vicenda processuale del G., in quanto la notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. preclude all’esercizio dell’azione penale.

Il difensore della persona offesa ha presentato ricorso per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

Secondo il ricorrente, la giornalista aveva piena conoscenza della terminologia tecnica e ha avuto la volontà di diffamare il G., in quanto tra le tre espressioni (avviso della conclusione delle indagini, richiesta di rinvio a giudizio, rinvio a giudizio) ha utilizzato queste ultime due che sono le più lesive della sua reputazione.

La motivazione è inoltre illogica, laddove afferma che all’avviso deve necessariamente seguire l’esercizio dell’azione penale e quindi l’errore riguarda in modo marginale il contenuto dell’atto emesso dal pubblico ministero.

Il difensore degli imputati ha depositato il 9.12.2010, una memoria difensiva, oltre il termine previsto dall’art. 611 c.p.p..

Il ricorso merita accoglimento, per ragioni parzialmente conformi alle censure formulate dalla difesa della persona offesa.

La motivazione della sentenza contrasta in maniera del tutto ingiustificata l’orientamento interpretativo sedimentato nella giurisprudenza della S.C. in tema del requisito della verità rilevante ai fini del riconoscimento dell’esimente dell’esercizio del diritto di informazione, inquadrato nel diritto di manifestazione del pensiero.

L’esimente richiamata nel presente procedimento è quella rientrante nell’esercizio del diritto di informare i cittadini sull’andamento degli accertamenti giudiziali a carico di altri consociati, cioè il diritto di cronaca giudiziaria. E’ interesse dei cittadini essere informati su eventuali violazioni di norme penale e civili, conoscere e controllare l’andamento degli accertamenti e la reazione degli organi dello stato dinanzi all’illegalità, onde potere effettuare consapevoli valutazioni sullo stato delle istituzioni e sul livello di legalità caratterizzante governanti e governati, in un determinato momento storico.

Secondo un condivisibile orientamento interpretativo, il diritto di cronaca giornalistica, giudiziaria o di altra natura, rientra nella più vasta categoria dei diritti pubblici soggettivi, relativi alla libertà di manifestazione del pensiero e al diritto dei cittadini di essere informati, onde poter effettuare scelte consapevoli nell’ambito della vita associata. Ove i limiti del diritto di cronaca siano rispettati, la diffusione di notizie lesive del credito sociale dell’indagato, secondo il consolidato orientamento interpretativo, perde il suo carattere di antigiuridicità.

Va comunque precisato che la reputazione del soggetto coinvolto in indagini e accertamenti penali non è tutelata rispetto all’indicazione di fatti lesivi, a condizione che questi siano in correlazione con l’andamento del procedimento.

E’ quindi in stridente contrasto con il diritto/dovere di narrare fatti già accaduti, senza indulgere a narrazioni e valutazioni "a futura memoria", l’opera del giornalista che confonda cronaca su eventi accaduti e prognosi o anticipazione su eventi a venire. In tal modo, egli, in maniera autonoma, prospetta e prefigura l’evoluzione e l’esito di indagini in chiave colpevolista, a fronte di indagini ufficiali non ancora concluse e comunque non sviluppate nella fase e nel senso narrati.

Nel caso in esame, il procedimento a carico del querelante era giunto alla conclusione delle indagini preliminari e alla notifica del relativo avviso all’indagato ex art. 415 bis c.p.p..

E’ utile a questo punto rilevare i tratti di questo adempimento e la differenza rispetto alla richiesta di rinvio a giudizio..

La ratto dell’istituto introdotto con la L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 17, comma 1, persegue una duplice finalità: a) tutelare l’interesse della persona sottoposta alle indagini a veder definita positivamente la propria posizione prima dell’esercizio dell’azione penale, in attuazione del diritto di difesa previsto dall’art. 24 Cost.; b) assicurare la completezza delle indagini preliminari e il raggiungimento di un quadro probatorio idoneo alla scelta, da parte dell’indagato, della più efficace strategia processuale.

L’informativa ha un contenuto composito, che si sostanzia nell’enunciazione del fatto e delle norme di legge ritenute violate, secondo un addebito caratterizzato dalla provvisorietà, che potrà evolvere verso l’approdo definitivo, in seguito alle controdeduzioni difensive, espletate attraverso memorie, documenti, richiesta di ulteriori atti di indagine, dichiarazioni spontanee e in sede di interrogatorio. In tal modo può instaurarsi un contraddittorio, all’esito del quale il rappresentante della pubblica accusa può eventualmente essere indotto a mutare le proprie determinazioni. In caso di assenza di valide controdeduzioni difensive e nel caso del raggiungimento di consistente spessore delle risultanze a carico dell’indagato, il p.m. legittimamente presenta la richiesta di rinvio a giudizio, a cui può seguire l’emanazione del decreto di citazione da parte del Gup. Nel caso in esame, la giornalista è giunta per saltum a queste due ultime soluzioni (nel titolo compare il rinvio a giudizio, nel testo è indicata la richiesta di rinvio a giudizio), dando per immediatamente superato l’addebito provvisorio e raggiunto quello definitivo, con immediata ripercussione negativa della notizia sul credito sociale del G., al di là di quanto effettivamente accaduto nell’evolversi delle indagini preliminari. Quindi non è configurabile la marginalità della notizia, alla luce della sottolineata diversità, sotto il profilo della posizione dell’indagato e del correlato discredito sociale, dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari, rispetto alla richiesta di rinvio a giudizio.

E’ quindi da escludere il corretto esercizio del diritto di cronaca, istituzionalmente riconosciuto a fini informativi di fatti già accaduti: il giornalista ha indicato lo svolgimento e la conclusione delle indagini preliminari, nel senso immediatamente favorevole alla tesi di accusa, mentre il rappresentante dell’accusa, all’epoca dell’articolo, non si era pronunciato (solo successivamente si è pronunciato in tal senso).

Nè questa anticipazione dell’evolversi delle indagini preliminare,contenuta nell’articolo della giornalista, può essere giustificata da un inevitabile errore dell’autrice, che, ricevuta la notizia da fonte attendibile, ma in modo irrituale, non è stata in grado di sottoporla a diligente controllo.

Secondo un consolidato e condivisibile orientamento interpretativo, l’esercizio legittimo del diritto di cronaca, anche sotto il profilo putativo, non può essere disgiunto dall’uso legittimo delle fonti e l’uso può essere definito legittimo, non solo quando la fonte sia lecita, ma anche quando il giornalista abbia offerto la prova del suo impegno nel controllare il fatto narrato. Non sussiste quindi, l’esimente sotto il profilo putativo, allorchè sia addotta l’impossibilità di realizzare questo controllo, a causa dell’inaccessibilità delle fonti di verifica, coincidenti con gli organi e gli atti dell’indagine giudiziaria: questa inaccessibilità, lungi dal comportare l’esonero dall’obbligo di controllo, implica la non pubblicabilità della notizia incontrollabile. Il giornalista che intenda comunque pubblicare una notizia non certa, accetta il rischio che essa non corrisponda al vero e che l’antigiuridicità della condotta diffamatoria rimanga senza giustificazione (sez. 5, n. 15986 del 4.3.05, rv 232131; id, n. 31957 del 22.06.01, in Cass. pen. 2002, 3764).

Deve quindi concludersi che gli elementi acquisiti non risultano insufficienti a sostenere l’accusa nei confronti di Gi.

I..

Quanto al F.F., la sua posizione in relazione all’articolo della Gi. – ferma restando l’esigenza di verificare la validità, nel caso in esame, dell’orientamento interpretativo, secondo cui il vigente sistema penale non prevede la punibilità, a norma dell’art. 57 c.p. del direttore responsabile di un giornale on line (sez. 5, n. 35511, del 16.7.2010) – questa va analizzata, sotto il profilo della configurabilità di una diversa qualificazione giuridica, ex art. 110 c.p., alla luce delle risultanze processuali sopra evidenziate.

La sentenza va quindi annullata con rinvio al tribunale di Udine per nuovo esame, in relazione alla sostenibilità dell’accusa nei confronti della Gi., in ordine al reato di diffamazione ex art. 595 c.p., commi 2 e 3, nonchè per nuovo esame sulla sostenibilità dell’accusa nei confronti del F., in ordine al concorso nel medesimo reato. In caso di non configurabilità di tale ultima ipotesi, il nuovo esame riguarderà l’applicabilità del condivisibile orientamento interpretativo segnato dalla citata sentenza n. 33511/10.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Udine.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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