T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 31-03-2011, n. 858Annullamento d’ufficio o revoca dell’atto amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 8 settembre 2009 e depositato il 23 settembre successivo, la ricorrente ha chiesto l’accertamento del suo diritto al risarcimento dei danni patiti per effetto del provvedimento prot. n. 70 del 4 febbraio 2003, assunto dalla S. S.p.a. ed annullato con sentenza di questo Tribunale n. 4185 dell’8 settembre 2004, e la conseguente condanna della S. S.p.a. al risarcimento dei predetti danni, anche ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1034 del 1971 e dell’art. 2043 c.c.

A sostegno del gravame viene evidenziato come il provvedimento che avrebbe cagionato i danni alla ricorrente sarebbe stato riconosciuto illegittimo e quindi annullato con sentenza di questo Tribunale n. 4185 dell’8 settembre 2004. Pertanto la colpa in capo alla resistente sarebbe presunta e non potrebbero essere addotti elementi per qualificare come scusabile il comportamento posto in essere dalla stessa in occasione dell’adozione dell’atto, poi annullato, e generatore dei danni richiesti in questa sede. Del resto, lo stesso Tribunale nell’annullare l’atto impugnato avrebbe ritenuto evidente l’errore commesso in sede di adozione dello stesso, visto che si era erroneamente ritenuto che il sig. M.Q. avesse ancora la disponibilità delle quote sociali, quando si sarebbe potuto agevolmente verificare l’avvenuto sequestro giudiziario delle stesse e la contestuale nomina di un Amministratore giudiziario. Pertanto, in presenza di tutte le circostanze del caso, non sussisterebbe la scusabilità dell’errore commesso dalla resistente.

Quanto all’entità del danno provocato, andrebbe considerato innanzitutto il mancato guadagno, ossia il lucro cessante, nel periodo di forzata chiusura – aprile, maggio e giugno 2003 – dei punti vendita in concessione, dimostrabile attraverso la relazione di stima del perito di parte e attraverso tutta la documentazione di carattere contabile e quantificabile in complessivi Euro 1.005.008,21.

Con riferimento ai costi affrontati, ossia al danno emergente, andrebbero computate le retribuzioni dei quattro dipendenti della ricorrente, rimasti totalmente inattivi nel periodo di chiusura forzata, per un importo pari ad Euro 26.551,92.

Infine vi sarebbe anche un ulteriore danno all’immagine legato al discredito ricevuto dalla ricorrente per aver subito un periodo di forzata chiusura, oltretutto attraverso un improvvido accostamento tra la stessa e la criminalità organizzata. L’ammontare di questa tipologia di danno sarebbe di Euro 2.000.000.

Si è costituita in giudizio la S. S.p.a., che, in via preliminare ha chiesto la dichiarazione di parziale inammissibilità del ricorso, in quanto il risarcimento era già stato chiesto in un diverso giudizio da parte di un socio e, nel merito, ne ha chiesto il rigetto.

In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della controversia le parti hanno depositato documentazione e memorie a sostegno delle rispettive pretese.

Alla pubblica udienza del 17 gennaio 2011, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

2. Con il presente gravame la parte ricorrente chiede di essere risarcita per i danni subiti in occasione della sospensione della propria attività di vendita all’ingrosso presso due punti vendita siti nel mercato ittico di Via Lombroso n. 95, a Milano, avvenuta nel trimestre aprilegiugno 2003, in seguito all’emanazione del provvedimento prot. n. 70 del 4 febbraio 2003, assunto dalla S. S.p.a., successivamente annullato con sentenza di questo Tribunale n. 4185 dell’8 settembre 2004.

2.1. A fondamento della domanda di risarcimento del danno – proposta in via autonoma rispetto a quella di annullamento, antecedentemente incardinata davanti a questa stessa Sezione, da cui è scaturita la sentenza n. 4185 dell’8 settembre 2008 che ha annullato l’atto impugnato – viene addotta, oltre all’illegittimità dell’atto impugnato, già accertata con efficacia di giudicato da questa Sezione, la colpa della società resistente, dalla quale discende l’obbligo di risarcire i predetti danni, ripartiti nelle diverse voci (da un punto di vista patrimoniale, il danno emergente e il lucro cessante, e nell’ambito non patrimoniale, il danno all’immagine).

2.2. In questa sede, pertanto, si dovrà in prima battuta verificare la sussistenza della colpa in capo alla resistente, nella sua qualità di soggetto gestore dei Mercati Annonari all’Ingrosso di Milano e quindi di intestataria del potere di concedere in assegnazione i punti vendita situati nello stesso (cfr. artt. 4 e 21 della legge regionale n. 12 del 1975).

2.3. In relazione a tale aspetto deve essere preliminarmente precisato che il Collegio non ritiene applicabile alla materia oggetto della presente controversia la giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui la normativa comunitaria non consente di subordinare "il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata" (Corte di Giustizia CE – sentenza 30 settembre 2010, n. C314/09). Difatti, trattandosi di un caso di imputazione a titolo di responsabilità oggettiva, si pone quale eccezione alla regola generale contenuta nell’art. 2043 c.c. che presuppone quale ordinario criterio di imputabilità il dolo o la colpa (in senso contrario, tuttavia, T.A.R. Sicilia, Palermo, II, 26 gennaio 2011, n. 146).

Difatti, l’introduzione di fattispecie di responsabilità oggettiva, pur essendo ammessa e largamente diffusa nell’ambito civilistico, dovrebbe sempre presupporre una scelta legislativa che, attraverso valutazioni di carattere sistemico, determini il criterio regolatore in ordine alla ripartizione dei costi tra i consociati nell’ambito dei danni arrecati nell’esercizio di determinate attività, soprattutto se connotate da un particolare rischio o valore sociale. Nelle specie, l’attività svolta dalla pubblica Amministrazione, essendo caratterizzata dalle finalità di perseguimento e tutela dell’interesse pubblico, non potrebbe essere considerata alla stregua di quelle attività che devono essere scoraggiate oppure devono essere assistite da particolari cautele, in ragione della loro pericolosità oppure per lo squilibrio che creano a favore del soggetto che le pone in essere in rapporto ai destinatari della stessa.

Sulla scorta delle suesposte considerazioni, si deve ammettere la possibilità per l’Amministrazione di dimostrare – fatta eccezione per il settore degli appalti pubblici – il carattere non colpevole della sua condotta in sede di richiesta di risarcimento del danno da parte di un soggetto privato presunto danneggiato.

2.4. La questione che ha dato origine al provvedimento della S., poi annullato da questa Sezione del Tribunale nel 2004 e che avrebbe provocato i danni, il cui risarcimento sarebbe stato richiesto dalla ricorrente, consiste nell’annullamento dell’atto di concessione di vendita all’ingrosso presso due punti vendita siti nel mercato ittico di Via Lombroso n. 95, a Milano a causa delle ritenute false dichiarazioni della M. s.r.l.

L’atto con cui è stata annullata la concessione di vendita è stato adottato il 4 febbraio 2003, prot. 70, e si è fondato sulla circostanza che la società, odierna ricorrente, avrebbe omesso di riferire, in data 22 agosto 2000, dell’esistenza di un procedimento penale a carico di uno dei soci, il sig. M.Q., sfociato poi in un sequestro giudiziario della sua quota di partecipazione. L’omissione sarebbe stata accompagnata dalla produzione di certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti relativi al socio indagato, dai quali non risultava alcun procedimento o precedente penale a carico dello stesso, pur essendo intervenuta la richiesta di rinvio a giudizio dello stesso in data 20 luglio 2000, unitamente all’emissione a suo carico di misure cautelari nel mese di novembre 1999: in particolare, in data 17 novembre 1999, con ordinanza n. 338, il G.I.P. di Catania aveva disposto il sequestro preventivo delle quote in possesso del socio indagato e nominato contestualmente l’Amministratore giudiziario delle stesse. Sulla scorta di tale ultima circostanza questo Tribunale ha ritenuto illegittimo l’atto di annullamento della concessione di vendita, in quanto, al momento dell’adozione dell’atto impugnato, il socio indagato non avrebbe potuto interferire in alcun modo sulla vita della società ricorrente, non avendo più alcun potere di amministrare la sua quota.

Se da un punto di vista oggettivo il sequestro delle azioni ha determinato la pronuncia di illegittimità del provvedimento di annullamento della concessione dei punti vendita, da un punto di vista dell’individuazione della colpa dell’apparato agente assume un rilievo non secondario la circostanza che la ricorrente M. s.r.l. in data 22 agosto 2000 ha trasmesso alla S. il suo certificato di iscrizione alla C.C.I.A.A., unitamente al suo assetto proprietario e n. 7 certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti di tutti i soci e del legale rappresentante (all. 3 della resistente).

Il certificato di iscrizione alla C.C.I.A.A. è datato 31 luglio 2000 – anche se i dati risultano aggiornati al 30 giugno 1999 – ed indica tra i soci il sig. M.Q., con una quota di Lire 102.000.000. Tra i certificati del casellario giudiziale, quello relativo al sig. Q. (cognome) M. (nome) attesta che non risulta nulla a suo carico; ugualmente il certificato dei carichi pendenti attesta l’inesistenza di procedimenti penali pendenti, sempre a carico del sig. Q.M..

Appare evidente, come sottolineato anche dalla difesa della S., che la documentazione trasmessa dalla ricorrente ha tratto in inganno la resistente che, confidando nella veridicità e nell’attualità delle dichiarazioni in ordine all’assetto proprietario e alla fedina penale dei soci e dell’amministratore, ha proceduto all’assegnazione dei punti vendita n. 29 e n. 31 all’interno del mercato ittico a favore della M. s.r.l. (all. 2 della resistente).

Di conseguenza, il provvedimento emanato – pur essendo stato riconosciuto illegittimo e annullato da questo Tribunale – non può ritenersi adottato con colpa da parte dell’Amministrazione che è stata indotta in errore dalla stessa ricorrente, avendo quest’ultima fornito notizie non veritiere sull’assetto societario e sulla incensuratezza dei soci. Anzi, appare particolarmente rilevante la circostanza che i certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti riportino le generalità del socio M.Q. in ordine inverso, ossia con il cognome Q. e il nome M.: risulta evidente che, in tal modo, il sistema non avrebbe potuto segnalare alcun precedente a carico della effettiva persona fisica.

In tale fattispecie, relativamente alla sussistenza della colpa dell’Amministrazione, ricorre sicuramente l’istituto dell’errore scusabile atteso che, "in sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile per contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma, per la complessità del fatto ovvero per l’influenza di altri soggetti" (Consiglio di Stato, V, 13 aprile 2010, n. 2029; 20 luglio 2009, n. 4527).

Difatti il comportamento della ricorrente deve ritenersi certamente influente ai fini della decisione assunta dalla S. e quindi determina l’esclusione della colpa di quest’ultima nel momento in cui ha proceduto dell’adozione del provvedimento che avrebbe cagionato il danno alla stessa ricorrente.

3. Sulla base della suesposte considerazioni il ricorso deve essere rigettato.

4. In conseguenza di ciò non appare necessario verificare se la domanda di risarcimento proposta in questa sede possa ritenersi quale reiterazione, anche parziale, di quella già proposta in sede di ricorso originario – finalizzato anche ad ottenere la riforma dell’atto di annullamento della concessione – rigettata con la già citata sentenza di questa Sezione n. 4185 dell’8 settembre 2004.

5. In relazione alla complessità della controversia, le spese possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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