Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-12-2010) 06-04-2011, n. 13702 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 10.11.09, la corte di appello di Catania,in parziale riforma della sentenza 3.6.08 del tribunale della stessa sede, esclusa l’aggravante ex art. 13 1.47/48, ha ridotto,previo riconoscimento delle attenuanti generiche,a Euro 800 la pena inflitta al direttore responsabile del quotidiano "La Repubblica", in ordine al reato ex art. 57 c.p.. Ha confermato nel resto l’impugnata sentenza, con la quale il giornalista B.E. era stato condannato, previo riconoscimento delle attenuanti equivalenti, alla pena di Euro 1000 di multa, ed entrambi erano stati condannati al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore della parte civile, in relazione a un articolo pubblicato sul quotidiano il 31.5.03, supplemento cronaca di Palermo, ritenuto lesivo della reputazione di R.A., sindaco del comune di Terrasini, indicato come indagato nei cui confronti era stato chiesto il rinvio giudizio nel processo relativo a fatti oggetto dell’indagine su Villa Stagno. Il difensore degli imputati ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

vizio di motivazione,in relazione alla parte in cui ha asserito che il B. ha insinuato falsamente un tornaconto personale a politico del querelante nell’agire scorrettamente, sotto il profilo umano e politico, sostenendo non la candidata della propria Usta, ma un candidato sospetto di essere vicino ad ambienti malavitosi. La sentenza della corte di merito ha riconosciuto la verità della notizia sul mancato appoggio, nel corso della campagna elettorale, alla candita del proprio partito, ma sostiene che il giornalista ha diffamato il querelante, in quanto gli ha attribuito un comportamento politicamente scorretto, per aver sostenuto l’ A. per tornaconto personale e politico: per scongiurare cioè il pericolo di una mozione di sfiducia, minacciata dal partito di quest’ultimo.

Secondo i giudici di appello, l’istruttoria dibattimentale ha dimostrato che era falsa la notizia della mozione di sfiducia.

Secondo il ricorrente, da un lato non esiste nell’articolo alcuna accusa vero il R. di aver agito per tornaconto politico e personale; dall’altro l’eventuale affermazione di aver agito sotto la minaccia di una mozione di sfiducia non attribuisce un’offensiva condotta tenuta a fini personali, ma una scelta necessitata da esigenze politiche.

Quanto alla notizia relativa al rinvio giudizio, smentita dalla successiva richiesta di archiviazione avanzata dal PM il 26.9.03, risulta che all’epoca dell’articolo il querelante risultava sottoposto ad indagini per i fatti indicati dal giornalista e questa imprecisione non è ulteriormente offensiva: si è trattata di una notizia secondaria rispetto a quella primaria, avente ad oggetto la sottoposizione alle indagini. Secondo un consolidato orientamento interpretativo della S.C., va riconosciuta l’esimente della diritto di cronaca, quando l’inesattezza riguarda dati secondari,che nel contesto dell’informazione, sono inidonei a ledere ulteriormente la reputazione del soggetto, reputazione già compromessa dalla verità della notizia principale.

I giudici di appello si sono limitati a rilevare che la notizia di rinvio a giudizio del querelante era falsa, senza motivare se questa notizia fosse principale o secondaria nel contesto della pubblicazione e, soprattutto, se recava un vulnus aggiuntivo al querelante, a fronte della notizia sicuramente vera dell’indagine a suo carico.

Il ricorso non merita accoglimento.

Quanto alla affermazione sul comportamento politicamente scorretto attribuito al R., va rilevato come i giudici di merito siano andati al di là dell’accusa formulata nel capo di imputazione che limita la portata diffamatoria dello scritto del B. all’affermazione, "contrariamente al vero che il R. era stato rinviato a giudizio nell’ambito dell’inchiesta su Villa Stagno". La condotta politica del sindaco di Terrasini, appartenente al partito allora esistente di Alleanza Nazionale, che aveva appoggiato, nella competizione elettorale per il consiglio provinciale,un candidato di Forza Italia, rientra sicuramente nella narrazione dell’articolo, ma è del tutto avulsa rispetto alla notizia incriminata, riguardante la condotta del cittadino R. e i suoi rapporti con la mafia.

Politica e mafia sono notoriamente due aspetti della nostra società che spesso si intrecciano e reciprocamente si condizionano. Pertanto, una notizia su un processo per mafia ben può essere collegata a una notizia su condotte e costume politici, tanto da giustificare, secondo l’orientamento giurisprudenziale citato dai ricorrenti, un esame di legittimità di frasi ulteriori rispetto a quelle contenute nel capo di imputazione, in modo da esaminare il pieno e uniforme contesto informativo. Nel caso di specie, invero, non sussiste questa necessità di superare i limiti della formale contestazione e di esplorare altre affermazioni contenute nell’articolo, per giungere a un completo esercizio del potere di cognizione e di valutazione della corte. In questo caso cioè la vicenda del sindaco che aiuta un esponente di altro partito, si inquadra in un costume politico di trattativa, di negoziazione, di accordi,gestiti al di mori degli schemi di appartenenza politica, che non è necessariamente legato ad area delimitata sul piano geografico e/o trasgressivo, ma accomuna tutto il quadro politico del paese. La notizia centrale, non a caso isolata e tratta dall’articolo al momento della formulazione dell’accusa da parte del titolare dell’azione penale, riguarda la vicenda processuale del R. e dei suoi rapporti con il fenomeno mafioso, senza che sia stata sentita in quella sede l’esigenza di coinvolgere notizie e critiche sui suoi rapporti con l’etica di uomo di partito.

Va quindi esaminata e valutata la efficacia lesiva della sola notizia relativa alla richiesta di rinvio a giudizio, cioè una notizia riguardante un atto ritualmente formulato dal p.m., per il ritenuto esito positivo delle indagini a carico dell’indagato, una notizia non vera e smentita dallo stesso p.m. con l’opposta richiesta di archiviazione, accettata dal giudice competente.

L’esimente invocata nel presente processo è quella rientrante nell’esercizio del diritto di informare i cittadini sull’andamento degli accertamenti giudiziali a carico di altri consociati, cioè il diritto di cronaca giudiziaria. E’ interesse dei cittadini essere informati su eventuali violazioni di norme penale e civili, conoscere e controllare l’andamento degli accertamenti e la reazione degli organi dello stato dinanzi all’illegalità, onde potere effettuare consapevoli valutazioni sullo stato delle istituzioni e sul livello di legalità caratterizzante governanti e governati, in un determinato momento storico.

Secondo un condivisibile orientamento interpretativo, il diritto di cronaca giornalistica, giudiziaria o di altra natura, rientra nella più vasta categoria dei diritti pubblici soggettivi, relativi alla libertà di manifestazione del pensiero e al diritto dei cittadini di essere informati, onde poter effettuare scelte consapevoli nell’ambito della vita associata. E’ diritto della collettività ricevere informazioni su chi sia stato coinvolto in un procedimento penale o civile, specialmente se i protagonisti abbiano posizioni di rilievo nella vita politica, in sede centrale o periferica. Ove i limiti del diritto di cronaca siano rispettati, la diffusione di notizie lesive del credito sociale dell’indagato, secondo il consolidato orientamento interpretativo, perde il suo carattere di antigiuridicità. Va comunque precisato che la reputazione del soggetto coinvolto in indagini e accertamenti penali non è tutelata rispetto all’indicazione di fatti e alla espressione di giudizi critici, a condizione che questi siano in correlazione con l’andamento del procedimento. Per il cittadino sottoposto al processo penale non è ipotizzarle, attraverso una strumentale gerarchia delle lesioni, una limitazione della tutela dei diritti della persona riconosciuti dalla Carta costituzionale, fatte salve le specifiche deroghe sopra indicate.

E’ quindi in stridente contrasto con il diritto/dovere di narrare fatti già accaduti, senza indulgere a narrazioni e valutazioni "a futura memoria", l’opera del giornalista che confonda cronaca su eventi accaduti e prognosi o anticipazione su eventi a venire(per di più, nel caso in esame non avvenuti). In tal modo, egli, in maniera autonoma, prospetta e prefigura l’evoluzione e l’esito di indagini in chiave colpevolista, a fronte di indagini ufficiali non ancora concluse e comunque non sviluppate nella fase e nel senso narrati.

E’ quindi pienamente condivisibile la decisione della sentenza impugnata, laddove, nel caso in esame, esclude il corretto esercizio del diritto di cronaca, istituzionalmente riconosciuto a fini informativi di fatti già accaduti: il giornalista ha indicato lo svolgimento e la conclusione delle indagini preliminari, nel senso favorevole alla tesi di accusa, mentre il rappresentante dell’accusa, all’epoca dell’articolo non si era pronunciato (e comunque è giunto poi a valutazioni favorevoli alla tesi difensiva).

Il ricorso va quindi rigettato con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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