T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, Sent., 31-03-2011, n. 323 condono

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il sig. V. ha presentato istanza, al Comune di Settimo Torinese, per ottenere il condono edilizio di un manufatto destinato a deposito di attrezzi agricoli, con attigua tettoia aperta, ultimato in data 31 marzo 1996.

Con provvedimento prot. n. 35531VI3, del 5 giugno 2007, il dirigente del Settore Ambiente e Territorio del Comune di Settimo Torinese ha respinto la domanda di condono poiché "dall’orientamento della giurisprudenza (corte di cassazione sez. III sentenza n. 14436/04) emerge che le disposizioni di cui all’art. 32 D.L. 30 settembre 2003, n. 296 convertito in Legge 326/03 si applicano, ove trattasi di costruzioni nuove, solo a quelle "residenziali’".

2. L’atto di diniego è impugnato in questa sede dal sig. V. il quale, in sintesi, deduce i seguenti motivi di illegittimità:

a) violazione di legge, in riferimento all’art. 32 del decretolegge n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326 del 2003. Tale disposizione, come è noto articolata in una pluralità di commi, avrebbe – secondo il ricorrente – esteso il regime del condono edilizio anche agli immobili non residenziali, in base al confronto con quanto era stato stabilito per il c.d. primo condono edilizio dalla legge n. 47 del 1985. Il ricorrente, in particolare, sostiene che, "essendo il quadro di riferimento normativo necessariamente costituito dalle disposizioni sul primo e sul secondo condono edilizio (…) che ammetteva alla sanatoria sia le destinazioni residenziali che quelle non residenziali senza limiti dimensionali, il doppio limite di 750 mc. e di 3.000 mc. riferito dalle disposizioni sul terzo condono edilizio alle nuove costruzioni residenziali, costituirebbe un ulteriore limite per le sole costruzioni residenziali, con conseguente assenza di alcun limite per le nuove costruzioni a destinazione non residenziale". Il ricorrente richiama, a sostegno, la circolare ministeriale n. 2699/C del 7 dicembre 2005 la quale si è così espressa: "Per le nuove costruzioni d’uso non residenziale (…), come previsto dai precedenti condoni, la sanatoria è ammessa anche oltre i limiti volumetrici previsti per i manufatti residenziali". In sostanza, il condono varato nel 2003 avrebbe, nella ricostruzione del ricorrente, coperto anche gli immobili a destinazione non residenziale, senza alcun limite volumetrico: ciò, in base al richiamo che l’art. 32 del decretolegge n. 269 del 2003 ha compiuto alle norme sui precedenti condoni, le quali avevano ammesso tale tipo di sanatoria senza alcun limite;

b) carenza di motivazione, posto che l’amministrazione avrebbe rigettato la richiesta di condono edilizio senza basarsi su alcuna disposizione normativa, ma unicamente in forza di un precedente giurisprudenziale (la sentenza n. 14436 del 2004 della Corte di cassazione);

c) violazione dei principi di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa. Così, sul punto, si esprime il ricorrente: "se l’orientamento della S.C. era già noto (la sentenza della Cassazione richiamata, infatti, è del 2004 mentre la Circolare Ministeriale è del 2005) ed aveva fedeli seguaci tra gli amministratori del Comune di Settimo T.se, per quale immotivata ragione il Dirigente del settore decise di proseguire l’istruttoria, chiedendo ed ottenendo dal V. il deposito di nuovi documenti e, per l’effetto, di ulteriori, rilevanti esborsi economici?".

3. Il Comune di Settimo Torinese non si è costituito in giudizio.

4. Nell’imminenza dell’udienza pubblica di discussione, in data 8 gennaio 2011 il ricorrente ha depositato una memoria difensiva, con la quale ha evidenziato che, con sentenza n. 2281 del 2010, la Sezione I di questo TAR ha accolto un ricorso del tutto analogo sorto da una vicenda parallela a quella oggi in esame.

5. Alla pubblica udienza del 20 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. Oggetto del presente giudizio è la legittimità del provvedimento di diniego di condono edilizio, adottato dal Comune di Settimo Torinese sulla scorta della motivazione secondo la quale il manufatto da sanare non può rientrare nelle previsioni dell’art. 32 del decretolegge n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326 del 2003, in quanto trattasi di nuova costruzione non residenziale.

Il ricorrente, nel contestare tale ultimo assunto, sostiene che la legge sull’ultimo condono avrebbe – sia pure implicitamente, mediante richiamo alle precedenti disposizioni sul condono edilizio – ammesso la sanatoria anche delle nuove costruzioni non residenziali, peraltro senza alcun limite di volumetria. A sostegno delle proprie ragioni, egli invoca uno specifico precedente di questo TAR, la sentenza n. 2281 del 2010 la quale, a fronte di una fattispecie del tutto analoga a quella oggi in esame, si è espressa nel senso da lui auspicato.

2. Il ricorso non è fondato.

Questo Collegio deve ripensare gli esiti cui è pervenuta la Sezione I di questo TAR con la già citata pronunzia dello scorso anno, sulla scorta di un’interpretazione letterale della disciplina del condono del 2003 così come risulta, ormai, confermata, non solo dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (ex multis,cassaz. pen., nn. 29764 del 2006 e 8067 del 2007) ma anche dalla giurisprudenza amministrativa più recente, anche degli ultimi mesi (si vd.: TAR Campania, Napoli, sez. VIII, n. 5163 del 2008; Cons. Stato, sez. IV, n. 6237 del 2008; TAR Campania, Salerno, sez. II, n. 5904 del 2010).

2.1. Giova premettere che quella sul condono edilizio è una normativa eccezionale, come tale di stretta interpretazione.

Sul punto, la Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire, in più occasioni, che il condono edilizio rappresenta "un provvedimento normativo senza dubbio eccezionale e straordinario", che trova la propria ratio sia nella "persistenza del fenomeno dell’abusivismo, con conseguente esigenza di recupero della legalità", sia nella imputabilità di tale fenomeno di abusivismo "almeno in parte, proprio alla scarsa incisività e tempestività dell’azione di controllo del territorio da parte degli enti locali e delle Regioni" (così le sentt. n. 196 del 2004 e n. 256 del 1996). Il condono, con l’effetto di sanatoria di abusi edilizi già compiuti, incide sulla sanzionabilità penale e sulla stessa certezza del diritto, nonché sulla tutela di valori essenziali come il paesaggio e l’equilibrato sviluppo del territorio: da tali osservazioni se ne è tratta l’ulteriore conferma che esso costituisce un istituto "a carattere contingente e del tutto eccezionale" (sentenze n. 427 del 1995 e n. 416 del 1995), ammissibile solo "negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale" (sentenza n. 369 del 1988), dovendo in altre parole "trovare giustificazione in un principio di ragionevolezza" (sentenza n. 427 del 1995).

Il carattere di straordinarietà e di eccezionalità anche del condono varato nel 2003, del resto, è confermato dal comma 2 dell’art. 32 del relativo decretolegge, secondo il quale la nuova normativa è stata disposta "nelle more dell’adeguamento della disciplina regionale ai princìpi contenuti nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380". Sotto tale profilo, pertanto, il nuovo condono edilizio, introdotto con lo strumento del decretolegge, è stato ritenuto non irragionevole e dotato di sufficienti elementi di straordinarietà e di urgenza di cui all’art. 77 Cost. (Corte cost., sent. n. 196 del 2004): ma ciò nel contesto letterale dei limiti entro i quali, in base alla nuova fonte normativa, la sanatoria degli abusi già compiuti è stata consentita.

Discende, invero, come necessario corollario dalle caratteristiche di eccezionalità e straordinarietà del condono edilizio che la relativa normativa deve essere interpretata in modo rigoroso, il più possibile aderente alla lettera della legge, in modo da evitare surrettizi ampliamenti dell’area della sanatoria, i quali si tradurrebbero in inammissibili estensioni del vulnus che – mediante il varo di tale intervento "eccezionale" – viene arrecato ai valori del paesaggio e dell’equilibrato sviluppo del territorio.

In altre parole, principio cardine in materia di condono edilizio è il carattere straordinario ed eccezionale della normativa che, nella contingenza del momento in cui interviene, l’ha previsto: con conseguente necessità di una stretta interpretazione, di stampo letterale, delle norme di sanatoria, al fine di non alterare ulteriormente il già intaccato equilibrio dei valori costituzionali sottesi mediante la surrettizia introduzione di ulteriori deroghe non espressamente consentite dalla legge.

2.2. Così tracciato il quadro generale di contorno in cui collocare la fattispecie per cui è causa, è ora necessario entrare nella valutazione del merito di quest’ultima.

La disposizionechiave, la cui interpretazione è rilevante per il presente giudizio, è quella del comma 25 dell’art. 32 del decretolegge n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326 del 2003. Così dispone tale comma: "Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, nonché dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi".

In tal modo il legislatore del 2003 ha espressamente individuato, ai fini dell’ammissibilità al nuovo condono edilizio, la categoria degli "ampliamenti" dei manufatti già esistenti e quella delle "nuove costruzioni residenziali". Le condizioni poste per la sanatoria sono, nel primo caso, l’avvenuta ultimazione delle opere entro il 31 marzo 2003 e l’ampliamento di volumetria contenuto nel limite del 30% della volumetria originaria oppure nel limite di 750 mc.; e, nel secondo caso, l’ultimazione della nuova costruzione entro il 31 marzo 2003, il limite di volumetria dei 750 mc. per singola richiesta di titolo abilitativo ed il rispetto del tetto massimo complessivo di 3000 mc.

Se con riferimento agli "ampliamenti" consentiti la norma non distingue la natura residenziale o meno dei manufatti cui essi accedono – sicché è da ritenere, evidentemente, che sono ammissibili in sanatoria tutti gli ampliamenti, indipendentemente dalla destinazione d’uso del manufatto (così come, peraltro, si ricava dalla sentenza n. 49 del 2006 della Corte costituzionale) -, con riferimento invece alla categoria delle "nuove costruzioni" la norma si riferisce espressamente solo a quelle "residenziali", peraltro assoggettandole a limiti di volumetria.

Tanto, allora, basta per escludere che la legge sul condono edilizio del 2003 – in quanto, come detto, legge eccezionale di sanatoria, ossia applicabile entro i limiti espressamente previsti senza inammissibili interpretazioni estensive – possa riferirsi anche alle nuove costruzioni non residenziali.

Il punto, del resto, trova un’importante conferma anche alla luce dei lavori preparatori della legge n. 326 del 2003 di conversione del decretolegge che ha introdotto il nuovo condono edilizio. Il relatore della VIII Commissione permanente della Camera dei Deputati, nella seduta del 5 novembre 2003, ha illustrato l’emendamento governativo "limitativo" su cui il Governo ha poi posto la questione di fiducia, osservando che tra "le opere ammesse al condono" rientrano quelle di "nuova costruzione, ma limitatamente agli edifici residenziali, anche in questo caso nel limite dei 750 mc per singola richiesta" (sul punto, Cons. Stato, n. 6237 del 2008, cit.).

Peraltro, qualora – come sostiene il ricorrente – si volesse ritenere inclusa nella sanatoria anche la categoria delle nuove costruzioni non residenziali (mediante il ragionamento interpretativo sostenuto nell’atto introduttivo, sul quale subito appresso si dirà), si otterrebbe un effetto davvero "paradossale" (termine, significativamente, evocato dallo stesso ricorrente a pag. 17 dell’atto introduttivo), ed in quanto tale non condivisibile: ciò, in quanto le nuove costruzioni non residenziali risulterebbero ammesse al condono senza alcun limite di volumetria (atteso il silenzio, sul punto, serbato dal comma 25), laddove quelle "residenziali" (proprio in quanto espressamente indicate dal legislatore) rimarrebbero invece assoggettate ai limiti di volumetria indicati dal comma 25 dell’art. 32.

2.3. Le argomentazioni sostenute dal ricorrente, in proposito, devono essere disattese.

Esse, in sostanza, si dirigono lungo una duplice linea direttrice. Sotto un primo profilo, la condonabilità delle nuove costruzioni non residenziali è argomentata in base alla genericità del termine "opere", utilizzato dai commi 26 e 27 allorché vengono descritti i margini di sanabilità degli abusi (nonché, analogamente, in base a come è stato predisposto il modulo per la domanda di sanatoria). Sotto un diverso profilo, si fa leva sul rinvio che l’art. 32 del decretolegge n. 269 del 2003 compie alle disposizioni sui precedenti condoni, i quali avevano pacificamente ammesso la sanatoria delle nuove costruzioni non residenziali.

La prima linea argomentativa, a ben vedere, dà per dimostrato ciò che ancora non lo è. Il comma 26 ammette alla sanatoria edilizia, tra le altre, le tipologie di illecito di cui al n. 1 dell’Allegato n. 1, ossia le "Opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici"; dal canto suo, il comma 27 esclude dalla sanatoria le "opere abusive" nei casi di seguito indicati. Ma si tratta di norme che non hanno pretesa di definire cosa debba intendersi per "opere", posto che esiste già una norma (il comma 25) che ha stabilito quali sono le "opere" rientranti nel condono. Esse sono norme, in realtà, del tutto neutre rispetto al problema che qui ci si pone, dovendo essere lette alla luce della specificazione ("ampliamenti" e "nuova costruzioni residenziali") di cui al comma 25.

Analogamente, è pur vero che, nel modulo di "Domanda relativa alla definizione degli illeciti edilizi" allegato al decretolegge n. 269 del 2003, non si opera alcuna distinzione alla voce "destinazione d’uso", consentendo astrattamente all’interessato di barrare la casella relativa all’uso residenziale oppure quella relativa all’uso non residenziale. Ma è evidente che, in tanto potrà essere utilmente barrata la casella dell’uso non residenziale, in quanto l’opera oggetto di domanda costituisca un "ampliamento", e non anche laddove essa integri una "nuova costruzione": diversamente, verrebbe violato il comma 25.

Non può non riconoscersi, sul punto, che in concreto il modulo predisposto dal decretolegge n. 269 del 2003 non brilla per correttezza e per coerenza con il testo normativo: nel caso del ricorrente, infatti, era ben possibile che quel modulo potesse indurre in errore il richiedente, facendogli supporre che la destinazione "non residenziale" fosse compatibile con l’abuso commesso anche per l’ipotesi della nuova costruzione. E’ anche vero, però, che l’area di estensione di un condono edilizio (che, si ribadisce, è un intervento di natura eccezionale, suscettibile di una stretta interpretazione) non può risultare, in concreto, determinata da come è strutturato un mero modulo di domanda, specialmente se (come nel caso) un’indicazione affatto contraria è desumibile dalla portata letterale della legge.

Non è, poi, condivisibile nemmeno la seconda linea argomentativa fatta propria dal ricorrente, costruita sul richiamo che l’art. 32 del decretolegge n. 269 del 2003 fa delle precedenti leggi sul condono edilizio. Il ricorrente si riferisce, in particolare, al comma 28 dell’art. 32, a norma del quale "Per quanto non previsto dal presente decreto si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, e al predetto articolo 39 (della legge n. 724 del 1994)". In tal modo, però, il legislatore del 2003 non ha ampliato le ipotesi di condono previste nei commi precedenti dell’art. 32, ma ha solo reso applicabili le disposizioni sostanziali e processuali sugli effetti della presentazione della domanda di condono ovvero del ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale e le regole processuali da applicare (così Cons. Stato, sez. IV, n. 6237 del 2008). Del resto la clausola di rinvio è operativa solo "per quanto non previsto dal presente decreto": ed il decretolegge n. 269 del 2003 espressamente prevede – come visto, al comma 25 – il limite della tipologia "residenziale" per le nuove costruzioni.

Ad ulteriore conferma il comma 3 specifica che le condizioni ed i limiti del nuovo condono "sono stabiliti dal presente articolo", non quindi dalle leggi precedenti. Il comma 5, poi, prevede bensì il "coordinamento" con queste ultime, ma non certo la loro reviviscenza per le tipologie di abusi non previste dalla nuova legge.

Si deve quindi concludere, sul punto, che le disposizioni delle precedenti leggi di condono edilizio, per la parte in cui avevano previsto la sanatoria delle nuove costruzioni non residenziali, sono "non compatibili" con il condono varato nel 2003 (art. 32, comma 28) e, pertanto, non possono essere applicate.

2.4. Ad una diversa conclusione, del resto, non può condurre la circolare ministeriale invocata dal ricorrente (la n. 2699/C del 7 dicembre 2005), laddove ha (peraltro, del tutto immotivatamente) previsto che "… Per le nuove costruzioni con destinazione d’uso non residenziale, invece, come previsto dai precedenti condoni, la sanatoria è ammessa anche oltre i limiti volumetrici previsti per i manufatti non residenziali".

Come ha affermato il Consiglio di Stato (dec. n. 6237 del 2008, cit.) l’esame sulla legittimità dell’atto impugnato va svolto sulla base delle disposizioni contenute nel decreto legge n. 269 del 2003, come convertito dalla legge n. 326 del 2003, che hanno attribuito alle amministrazioni comunali poteri di natura vincolata (nel senso che una sola è la soluzione conforme alla legge), sicché sono di per sé irrilevanti le "istruzioni" elaborate dagli uffici comunali, i pareri pro veritate resi nel corso del procedimento e la circolare interpretativa del Ministero delle infrastrutture (nello stesso senso, anche TAR Campania, Napoli, n. 5163 del 2008, cit.).

3. Non sono fondati neanche gli ulteriori motivi di gravame dedotti nell’atto introduttivo.

Non è dato rinvenire, anzitutto, alcuna carenza di motivazione, posto che – in modo del tutto adeguato e sufficiente – il provvedimento di diniego ha senz’altro illustrato la ragione ritenuta ostativa al condono, ossia la natura non residenziale della nuova costruzione abusiva: ciò, a prescindere dal richiamo al precedente della Corte di cassazione, richiamo è servito, all’evidenza, a meglio illustrare la motivazione.

Al contempo, non è possibile sostenere alcuna violazione del principio di economicità dell’azione amministrativa. Secondo il ricorrente, del tutto immotivatamente – nonostante fosse già noto l’orientamento della Corte di cassazione – l’amministrazione ha deciso di proseguire l’istruttoria, chiedendo il deposito di nuovi documenti e costringendo l’istante ad ulteriori esborsi economici.

Va, in contrario, rilevato che è principio basilare dell’azione amministrativa che l’amministrazione, lungo tutta la durata dell’iter procedimentale, mantiene intatta la propria potestà provvedimentale, potendo in qualsiasi momento di tale iter- ancor prima dell’emanazione dell’atto finale, e comunque sempre nel rispetto delle garanzie partecipative – ripensare, alla luce di ulteriori elementi istruttori (ivi comprese decisioni giurisprudenziali afferenti alla questione da decidere, specie se, come nel caso, contrastanti rispetto alle istruzioni impartite con apposita circolare ministeriale) eventuali determinazioni che fossero già provvisoriamente maturate. Eventuali (e provvisori) affidamenti ingenerati nel privato, per effetto di richieste documentali avanzate dall’amministrazione, potrebbero semmai, e del tutto eventualmente, fondare una pretesa restitutoria degli esborsi economici sostenuti a causa di tali (inutili) richieste, ma non certo far addivenire ad una decisione di annullamento, in sede giurisdizionale, dell’atto finale poi adottato dall’amministrazione procedente.

4. In definitiva, il ricorso va integralmente respinto.

Non vi è luogo a pronunzia sulle spese stante la mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando,

Respinge

il ricorso in epigrafe.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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