T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, Sent., 31-03-2011, n. 305 Sanzione amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in oggetto, parte ricorrente espone che, con processo verbale di accertamento n. 12933 prot. n. 43849, notificato in data 4 luglio 2002, l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (in seguito, "ISVAP") ha contestato al dott. A.R., quale autore materiale del fatto, in qualità di legale rappresentante pro tempore di L.P.A. S.p.a. e a L.P.A. S.p.a., quale responsabile in solido, la violazione delle disposizioni contenute nell’art. 3 del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857 (convertito in L. 26 febbraio 1977, n. 39), come modificato dall’art. 5 della L. 5 marzo 2001, n. 57.

Si espone ancora che i ricorrenti non avrebbero formulato un’offerta di risarcimento (o comunque comunicato i motivi dell’eventuale diniego) per un termine protratto per oltre centoventi giorni dalla scadenza del termine utile, in relazione al sinistro n. 2001/198/291; così l’ISVAP ha comunicato ai ricorrenti che gli illeciti commessi comportano una sanzione pecuniaria compresa tra Euro 4.647,60 ed Euro 74.369,40 e li ha informati della possibilità di estinguere il procedimento mediante il pagamento di una somma di denaro in misura ridotta, ma i ricorrenti non si sono avvalsi della facoltà di pagamento in misura ridotta.

Si espone ancora che il Ministero delle Attività produttive, preso atto del contenuto del verbale n. 630 dell’11 maggio 2005 della Commissione Valutativa per le Sanzioni dell’ISVAP che proponeva di applicare ai ricorrenti la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 70.000,00, applicava con il provvedimento impugnato tale sanzione.

Secondo parte ricorrente, il provvedimento in epigrafe indicato sarebbe illegittimo, per i seguenti motivi:

1 – Errata individuazione dell’autore materiale dell’illecito: violazione o errata interpretazione degli artt. 6 e 14 della L. 24 novembre 1981, n. 689. Difetto e/o insufficienza della motivazione: violazione o errata interpretazione dell’art. 18, comma 2, della L. 24 novembre 1981, n. 689. Difetto dell’elemento soggettivo: violazione, o errata interpretazione dell’art. 3, comma 1, della L. 24 novembre 1981, n. 689.

2 – Mancanza del presupposto di fatto posto a fondamento dell’irrogazione della sanzione.

3 – Violazione ed errata interpretazione dell’art. 11 della L. 24 novembre 1981, n. 689.

Parte ricorrente adiva anche il Tribunale Ordinario di Torino che, con sentenza n. 1926 del 2007 declinava la propria giurisdizione in favore del G.A..

Con successivi motivi aggiunti, non impugnatori, parte ricorrente ampliava le argomentazioni delle contestazioni avanzate in ricorso.

Si costituiva l’Amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 16 marzo 2011, il ricorso veniva posto in decisione.
Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che il primo motivo sia infondato.

Sotto il profilo della responsabilità del fatto al ricorrente in ragione della carica rivestita al momento della commissione del fatto, atteso che il medesimo non avrebbe competenza nella trattazione dei sinistri, né potrebbe controllare in modo puntuale e capillare l’operato degli ispettori e degli agenti a cui ne è demandata in piena autonomia la gestione, si deve ritenere tale tesi priva di fondamento.

Infatti, a voler aderire alla prospettazione dei ricorrenti coloro che rivestono le più alte cariche nell’ambito delle compagnie societarie, in quanto investiti di compiti non operativi, sfuggirebbero alla maggior parte delle responsabilità civili, amministrative e penali che si connettono alle attività svolte dalle persone giuridiche.

Al contrario deve invece ritenersi che il ruolo di legale rappresentante, al di là delle singole competenze gestorie che possono essergli ascritte, comporti uno specifico dovere di vigilanza sull’andamento della società e sul rispetto delle leggi che essa deve osservare, dovere che costituisce altresì la fonte della imputazione di fatti illeciti, ancorché rientranti nelle specifiche competenze di personale di livello subordinato.

Sul punto la Corte di Cassazione, in fattispecie analoghe alla presente, ha avuto modo di chiarire che la responsabilità degli amministratori di S.p.A. (ai quali, per effetto dell’art. 2396 c.c. devono equipararsi anche i direttori generali) deriva dal combinato disposto dell’art. 2392 c.c., che pone a loro carico il dovere di vigilare "sul generale andamento della gestione", e dell’art. 6 secondo comma della L. 689 del 1981 nella parte in cui stabilisce che il soggetto sul quale incombe un dovere di vigilanza su un altro o su altri soggetti è obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.

Sicché la persona soggetta al dovere di vigilanza non può sottrarsi alla responsabilità adducendo che le operazioni integranti l’illecito sono state poste in essere, con ampia autonomia, da altro soggetto che aveva agito per conto della società medesima (Cass. 24 giugno 2004 n. 11751; Cass. 11 aprile 2001 n. 5443; cfr. pure in precedenza Cass. 25 gennaio 1999 n. 661, Cass. 24 marzo 1998 n. 3110, Cass. 29 novembre 1996 n. 10668 e TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 27 novembre 2008, n. 6173).

Né si può affermare che i predetti principi comportino l’ascrizione di una responsabilità oggettiva in capo agli amministratori e direttori generali tenuti agli obblighi di vigilanza.

In proposito occorre ricordare che in materia di illeciti amministrativi la colpa si presume, incombendo a colui che ha commesso l’onere di provare di aver agito in modo irreprensibile. Sicché, con specifico riguardo alla responsabilità di amministratori e direttori di società di capitali si è osservato che l’art. 3, comma 1, della legge 24 novembre 1981, n. 689, il quale richiede per la responsabilità nell’illecito amministrativo che la condotta attiva od omissiva abbia i caratteri della coscienza e volontarietà, pone una presunzione iuris tantum di colpa di chi ponga in essere o manchi d’impedire un fatto vietato e rivesta una delle qualità che la legge espressamente contempli come costitutive dell’obbligo di tenere un comportamento diverso, di modo che rende legittima l’irrogazione della sanzione in assenza di prove idonee a superare tale presunzione (Cass. 25 maggio 2001, n. 7143).

In particolare, la prova idonea a vincere la presunzione di colpa in vigilando deve consistere nella puntuale dimostrazione che l’incombenza dalla quale ha tratto origine il fatto illecito è stata delegata ad una specifica unità aziendale dotata della necessaria autonomia ed alla quale è stato preposto personale idoneo (Cass. Pen. 16 maggio 2007, n. 26708); e, inoltre, del fatto che i vertici aziendali hanno disposto adeguate forme di controllo atte a prevenire la commissione di siffatto tipo di illeciti.

Né l’una né l’altra prova sono state fornite dal ricorrente, con la conseguenza che il motivo di doglianza deve ritenersi infondato anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo.

Quanto alla coobbligata solidale società ricorrente, la sua responsabilità discende dall’individuazione del responsabile, come sopra effettuata secondo un iter argomentativo che, come detto, è immune dai vizi che le sono ascritti dal ricorso.

Con il secondo motivo si contesta la stessa sussistenza del fatto, poiché si afferma che l’ordinanza del Ministero si fonda sul presunto ritardo dei ricorrenti nella formulazione dell’offerta risarcitoria; in realtà risulterebbe che in data 17 gennaio 2002, quando ancora non erano decorsi i centoventi giorni dalla scadenza del termine utile finale per la formulazione dell’offerta, che andava effettuato entro novanta giorni dalla ricezione della documentazione integrativa, e dunque entro il 27 ottobre 2001, la società avrebbe provveduto ad inoltrare offerta scritta al legale della danneggiata (doc. 6 ricorrente), che però non avrebbe accettato (doc. 7 ricorrente).

In realtà, manca ogni prova circa la sussistenza della formulazione dell’offerta; infatti, l’atto di quietanza del 17 gennaio 2002, esibito dalla ricorrente, non ha alcun valore probatorio, atteso che si tratta di documento di provenienza unilaterale di cui non sussiste la prova circa il fatto che sia stato realmente sottoposto al danneggiato, manca una qualsiasi sua firma anche di mera presa visione.

Occorre, inoltre, ricordare, in proposito che la ratio delle disposizioni poste alla base del procedimento irrogativo della sanzione (come si evince anche dalle altre contenute nel medesimo articolo e qui non richiamate perché non direttamente irrilevanti ai fini della decisione) è complessa.

Essa, da un lato, tende a favorire la composizione extragiudiziale per le conseguenze dannose dei sinistri da circolazione stradale; dall’altro lato, mira a far conseguire in tempi rapidi al danneggiato il risarcimento dovutogli, ed a tal fine costruisce una forma di procedimento scandito da termini legislativamente prefissati. Per l’inosservanza di tali termini da parte dell’assicuratore (e quindi a garanzia del loro rispetto) è prevista la irrogazione di una sanzione pecuniaria, il cui presupposto è unico ed è costituito dalla inosservanza dei termini.

E’ chiaro che, trattandosi di norma posta anche e principalmente a tutela dell’assicurato e, comunque, non certo a vantaggio della compagnia di assicurazione, che gode già di fatto di una posizione contrattuale di significativo vantaggio, in base alla logica della tutela del consumatore (o del cliente, customer, secondo l’attuale tendenza legislativa europea), cui sono in sostanza improntate anche le norme qui in rilievo.

Ne consegue che una lettura rigorosa, funzionale alla tutela del consumatore, della norma che impone le comunicazioni predette, e la cui violazione ha indotto l’Amministrazione ad adottare la sanzione impugnata, non può che far ritenere implicitamente ricompreso, nel concetto di "comunicazione" anche la necessaria sussistenza di una forma scritta della medesima, altrimenti ponendosi il consumatore/assicurato/cliente in una posizione deteriore di svantaggio ictu oculi percepibile, in quanto esposto a potenziali tattiche e tecniche dilatorie da parte delle Compagnie di assicurazione, che solo la forma scritta delle comunicazioni può prevenire, in funzione di certezza dei rapporti tra le parti.

Dovendosi in questo modo interpretare l’obbligo di comunicazione, intesa come comunicazione scritta, ne consegue la legittimità dell’irrogazione della sanzione.

In assenza di comunicazione in forma scritta dell’offerta, pertanto, inutili appaiono le richieste istruttorie avanza te da parte ricorrente.

Il Collegio non reputa di dover accogliere nemmeno il terzo motivo di ricorso.

Infatti, ancorché manchi nell’ordinanza ingiunzione e negli atti preparatori una specifica motivazione in ordine ai fattori che hanno determinato la commisurazione della sanzione, in realtà l’importo richiesto appare essere congruo in relazione alle circostanze.

Invero, tenuto conto che la L. 689 attribuisce al giudice dell’opposizione un potere di valutare nel merito la congruità della sanzione inferta, il Collegio reputa che il fatto illecito commesso non avrebbe potuto essere considerato di tenue entità, né sussistevano ragioni equitative dettate da particolari condizioni di indigenza del responsabile che è stato individuato nella persona non di un semplice dipendente ma dello stesso Legale rappresentante della Società.

Sicchè la sanzione determinata non appare, a giudizio del Collegio, incongrua, anche alla luce del fatto che i ricorrenti non hanno offerto concreti elementi da cui si potessero trarre elementi per operare una ulteriore riduzione dell’importo.

Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, il ricorso deve essere respinto, in quanto infondato.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda),

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *