Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-03-2011) 07-04-2011, n. 14024 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con pronuncia in data 23.09.2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ex art. 309 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame proposta da L.V. avverso l’ordinanza 04.08.2010, emessa dal Gip del Tribunale della stessa sede, che applicava nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di cui all’art. 416 bis c.p.. In particolare si fa carico al predetto indagato di avere fatto parte dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta con lo specifico ruolo di capo ed organizzatore dell’articolazione di Polistena.

L’anzidetto Tribunale, dopo avere ricostruito – sulla base delle acquisizioni di alcuni dei principali processi alle cosche calabresi – l’evolversi dell’organizzazione criminosa in parola con tendenza ad una struttura di tipo piramidale, fino alla conformazione più recente che riconosce un livello di vertice (denominato "La Provincia"), passando poi all’esame della posizione del L., osservava come dagli atti risultasse per certo: a) l’esistenza nel territorio di Polistena di una vera e propria società di ‘ndrangheta; b) che capo società fosse L.V. che aveva assunto la carica che doveva spettare al cugino L.G., peraltro ucciso in un agguato nel (OMISSIS); c) che fosse sicura la sua affiliazione con grado elevato; d) che lo stesso fosse interessato ad un appalto per i lavori di una scuola professionale in Reggio Calabria per la quale, proprio in funzione della sua posizione, aveva avuto un trattamento privilegiato nel dovuto riconoscimento di una percentuale alla cosca competente per territorio, quella dei Serraino.- Tanto risultava – rilevava l’anzidetto Tribunale – da un complesso di evidenze captative ambientali e telefoniche: 1) colloqui tra O.D. (capo Provincia e capo-crimine) ed i coimputati Z.V. e G.N. nei quali si affermava esplicitamente il ruolo dell’odierno ricorrente e si commentava la sua gestione della società a lui affidata; 2) ancora colloqui tra l’ O. ed il G., nonchè tra altri personaggi rilevanti dell’organizzazione, sui lavori predetti; 3) colloqui tra C.G. (già capo-crimine) e D.M. G. (capo dell’articolazione di Gi.Io.) all’interno di una lavanderia, ancora sul ruolo di L.V..- Chiaramente rivelatrice del ruolo rivestito dal L. – rilevava infine il Tribunale, che definiva "tombale" per il L. stesso tale risultanza – era la circostanza, osservata direttamente da agenti di p.g., che l’indagato avesse partecipato ad un incontro, avvenuto il 03.02.2010 in Siderno presso la lavanderia del sodale C., insieme a personaggi di assoluto rilievo nell’organizzazione criminosa, quali il capo-crimine O.D., lo stesso C.G., T.R.B., B.R., Ga.Sa.Gi., A.R.; detta riunione era propedeutica al summit che nella stessa giornata, ancora partecipe il L., si sarebbe poi tenuto in Bovalino presso l’abitazione di P.G. (figlio del noto boss di San Luca P.A., g., deceduto), incontro questo finalizzato per decidere le gerarchie del locale Galati-Fiorillo.- Del tutto pacifica, dunque, secondo il Tribunale, la sussistenza a carico di L.V. di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato associativo come a lui ascritto.

Lo stesso Tribunale rigettava poi l’eccezione difensiva di mancata trasmissione al giudice del riesame di alcuni atti pur richiamati nell’ordinanza genetica; ed invero per quelli indicati dal n. 2) al 9) di quell’elenco, si trattava di sottofascicoli relativi alle intercettazioni in realtà trasmessi, sia pur sotto altra indicazione, mentre per quello di cui al n. 1) si trattava di atti effettivamente non trasmessi ma afferenti i lavori di ristrutturazione di un istituto scolastico, questione irrilevante a fini decisoli rispetto alla risolutiva valenza di ogni altro elemento acquisito, secondo giurisprudenza di legittimità sul punto.

Infine le esigenze cautelari erano sorrette – rilevava il Tribunale – dall’estrema gravità del fatto in relazione all’elevatissima pericolosità sociale dell’organizzazione criminosa in parola, imponendosi la più severa delle misure anche in forza del disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 3. 2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto indagato L. che motivava l’impugnazione svolgendole seguenti deduzioni: a) inefficacia della misura cautelare per mancata trasmissione al Tribunale del Riesame della totalità degli atti presentati dal P.M. per la richiesta, in particolare per la mancanza di alcuni allegati; illegittimità di una valutazione selettiva di rilevanza in capo al Tribunale del riesame; b) difetto di motivazione, appiattita sul provvedimento genetico e dimentica della prodotta memoria difensiva; C) difetto di motivazione in punto criteri di interpretazione delle conversazioni intercettate, in particolare dovendosi lamentare la genericità di tali contenuti, inidonei a fornire specifica prova, nel concreto della fattispecie mancando elementi di riscontro o di supporti logici; d) mancanza di un apparato argomentativo a sostegno dei precisi addebiti ascritti nell’imputazione, in particolare in ordine alle addebitate funzioni decisionali e organizzative; e) vizio di motivazione anche in ordine al non risolto contrasto – rilevato dalla difesa – tra il colloquio O.D. – G.N. (nel quale la carica del L. discenderebbe dalla volontà del predetto capo-crimine) e quello tra C.G. e D.M.G. (nel quale la dote dell’odierno ricorrente discenderebbe dall’iniziativa di Pe.

V.); si denuncia motivazione solo apparente sul punto; f) vizio di motivazione, altresì, sull’incongnienza rilevata in ordine alla subita estorsione del gruppo facente capo ad esso L., in ordine ai lavori per l’istituto scolastico di Reggio Calabria, da parte di soggetti affiliati alla stessa presunta organizzazione maliosa; insufficienza, sul punto, dell’effettuato ricorso – da parte del Tribunale – a non meglio specificato notorio quanto alle ritenute inderogabili regole della consorteria; g) vizio di motivazione in ordine all’incontro del 03.02.2010, essendo rimaste senza risposta le deduzioni difensive, quanto a prospettate discrasie tra vari frasi intercettate che non darebbero contezza certa della finalizzazione al presunto successivo summit e del tema relativo a cariche da conferire all’interno della consorteria.

3. Il ricorso, infondato in ogni sua deduzione, deve essere rigettato con tutte le dovute conseguenze di legge.

E’ invero infondato il primo motivo di ricorso (v. sopra al p. 2.a) con il quale il ricorrente censura il rigetto dell’eccezione di carattere procedurale per la dedotta mancata trasmissione di tutto il materiale presentato dal P.M. al Gip per l’emissione della misura cautelare. Da un lato il ricorso non può contrastare – ed in effetti non contesta – la constatazione del Tribunale che, in massima parte, gli atti in parola non mancavano, ma si trattava solo di una diversa collocazione all’interno del vasto materiale cartaceo. Del tutto correttamente il Tribunale del riesame, poi, ha proceduto alla prova di resistenza del materiale indiziante trasmesso, sicuramente valutabile, secondo i principi stabiliti da questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica (cfr. Cass. Pen. SS.UU. n. 25932 in data 29.05.2008, Rv. 239699, Ivanov) secondo cui la mancata trasmissione di alcuni atti non determina – contrariamente all’assunto dell’odierno ricorrente – l’automatica inefficacia della misura cautelare, ma legittima la valutazione dell’autonoma sufficienza di quelli regolarmente trasmessi. E’ ciò che il Tribunale reggino in realtà ha fatto, in particolare nei ff. 42-44 dell’impugnata ordinanza, espressamente affermando l’ampia autosufficienza gravemente indiziante degli elementi trasmessi, in coerenza con la complessiva logica valutativa espressa nel gravato provvedimento. Sul punto, peraltro, non può non rilevarsi l’inadeguatezza del ricorso che non illustra, se non in termini generali e del tutto aspecifici, l’eventuale rilevanza dei materiale non trasmesso.

Parimenti si impone rigetto per i successivi motivi di ricorso, variamente incidenti sulla struttura della decisione impugnata.- Le questioni proposte con la memoria (su cui il ricorso, che ne fa rimando generico, è al limite della non autosufficienza) hanno trovato, di fatto, ampia risposta nel complessivo costrutto motivazionale che, in sostanza, ben fronteggia tutte le deduzioni difensive.- In ordine alle conversazioni intercettate, per lo più di contenuto altamente significativo ex se e di chiara comprensibilità, non si richiedevano particolari criteri ermeneutici generali.- Le funzioni direttive emergenti a carico dell’odierno ricorrente sono adeguatamente provate – allo stato ed a questi fini – dai colloqui di personaggi apicali (quali il capo Provincia O.D.) che commentano proprio la sua gestione della carica.- Risulta poi un equivoco terminologico la dedotta contraddizione tra la carica di vertice (data dall’ O.) e la dote (data dal Pe.), la prima essendo – nell’ormai chiarita struttura del sodalizio, confederatosi in forma piramidale – l’incarico di gestione di una società di ‘ndrangheta (assegnata dal vertice), la seconda il grado di affiliazione (conferito secondo i titoli ed i rituali). Insomma:

l’ O., per la sua autorità apicale, ha conferito al L. il comando dell’articolazione, il Pe. (in precedenza) per il suo livello interno, gli ha conferito i gradi.- Del tutto corretta si rivela la motivazione dell’impugnata ordinanza nel suo riferirsi al notorio – nel senso di giudizialmente già accertato – per quanto riguarda l’obbligo di cedere una quota dei profitti alla cosca territorialmente presente, quale regola storica di "rispettosa convivenza", regola nella fattispecie commentata dai protagonisti come pedaggio obbligato quanto condiviso (e, nella specie, favorevolmente mantenuto in termini modesti, il che viene interpretato proprio come "rispetto" verso il L., per il suo ruolo).- Del tutto irrilevante, infine, la deduzione in ordine a margini di dubbio che residuerebbero – secondo il ricorrente – in merito al contenuto degli incontri, nella lavanderia del C. e quindi a casa del P.: quel che conta, invero – come espressivamente rilevato dal Tribunale – è l’oggettività di tali incontri, assolutamente non posti in dubbio dal ricorrente nella loro realtà storica, pacifico essendo in via logica che nessuno poteva mai essere ammesso a siffatte riunioni, cui partecipavano le massime cariche di ‘ndrangheta, se non fosse stato non solo affiliato, ma di lunga e fidatissima esperienza, nonchè portatore di incarico interno di alto livello (qualunque fosse stato il tema di tali vertici).

Trattasi, dunque, di elemento probatorio quanto mai decisivo, in sè, anche in chiave di riscontro oggettivo alle altre, pur altamente significative, risultanze.

Il provvedimento impugnato risulta pertanto immune dai prospettati vizi.- Il ricorso è dunque infondato in ogni sua deduzione.- Alla completa reiezione dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Deve seguire altresì la comunicazione imposta dall’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente L.V. al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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