Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige – Sede di Trento 68/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 34 del 2008 proposto da TOPALLI ARDIT, rappresentato e difeso dall’avv. Michele Busetti ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso in Trento, Via Belenzani, 46

CONTRO

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento nei cui uffici in Largo Porta Nuova n. 9 è, per legge, domiciliato

per l’annullamento

del decreto del Questore della Provincia di Trento CAT. A.11.2007/59/Imm. di data 24.10.2007, con il quale è stata respinta l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 15 gennaio 2009 – relatore il consigliere Fiorenzo Tomaselli – i difensori delle parti costituite come specificato nel verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Con ricorso notificato il 17-21.1.2008 e depositato il successivo 7.2 viene impugnato il provvedimento del Questore di Trento assunto in data 24.10.2007, con cui è stata respinta la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno presentata dal ricorrente a motivo delle riportate condanne penali per reati inerenti al traffico di stupefacenti.

Avverso tale provvedimento, l’interessato ha formulato la seguenti censure in diritto:

1) Illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, del D.Lgs. 25.7.1998, n. 286, come modificato dall’art. 4, comma 1, della L. 30.7.2002, n. 189 e dell’art. 5, comma 5, dello stesso D.Lgs. n. 286/98 per violazione degli artt. 3, 27 e 113 della Costituzione;

2) Violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 4, comma 3, 5, comma 5 e 13 del D.Lgs. n. 286/98.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, contestando il fondamento del ricorso.

Alla camera di consiglio del 14 febbraio 2008 è stata respinta la domanda di sospensione degli effetti dell’atto impugnato.

All’udienza del 15 gennaio 2009, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

E’ stato in questa sede impugnato il provvedimento con cui il Questore ha respinto la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno del ricorrente, condannato per reati inerenti agli stupefacenti.

Il ricorso non è fondato.

1. Nel primo motivo vengono sollevate questioni di illegittimità costituzionale degli artt. 4 e 5 del D.Lgs. n. 286/98.

Con riferimento alla presunta irragionevolezza della contestata disposizione normativa, si censura l’automatismo tra sentenza di condanna per determinati reati e il diniego del titolo di soggiorno, in quanto ciò escluderebbe la possibilità di operare un giudizio sull’effettiva pericolosità sociale dello straniero nei casi in cui la condanna sia stata pronunciata per fatti di lieve entità.

In relazione a questi ultimi non si giustificherebbe – secondo la tesi del deducente – l’adozione di misure restrittive di diritti costituzionalmente garantiti.

L’avversato automatismo impedirebbe, inoltre, di tener conto dei sopraggiunti elementi nuovi, cui attribuisce rilievo l’art. 5, comma 5, del D.Lgs n. 286/98.

L’illegittimità costituzionale viene denunciata anche con riferimento alla presunta violazione dell’art. 27 Cost., sull’assunto che il rilevato binomio condanna – diniego del permesso di soggiorno, avrebbe, in sostanza, introdotto una vera e propria pena accessoria al reato, avente carattere automatico ed indefettibile e, perciò, incompatibile con i precetti della personalità e della funzione sociale ed educativa della sanzione penale.

Un’ultima questione di incostituzionalità si riferisce alla presunta violazione dell’art. 113 della Costituzione, dato che il diniego automatico e necessitato del titolo di soggiorno priverebbe il cittadino straniero di qualsiasi tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A.

Osserva, al riguardo, il Collegio che la Corte costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi più volte in materia (da ultimo con la recentissima decisione 16.5.2008, n. 148), fornendo una serie di coordinate interpretative univoche, alla luce delle quali è manifesta l’infondatezza delle suddette deduzioni.

Occorre anzitutto evidenziare che l’impugnato diniego di rinnovo del permesso di soggiorno è stato adottato, in applicazione dell’art. 5, comma 5, e dell’art. 4, comma 3 del D.Lgs. 25.7.1998, n. 286, sul rilievo che nei confronti dell’interessato il Tribunale di Piacenza ha pronunciato in data 25.1.2006 una non lieve condanna, con sentenza divenuta irrevocabile in data 10.3.2006, per il delitto di cui all’art. 73 del D.P.R. 309/90, cioè per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.

Ora, l’art. 4 comma 3 prevede che: “non è ammesso in Italia lo straniero …..che risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite”.

A sua volta l’art. 5, comma 5 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, prevede che “il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato”.

Per questo aspetto va ricordato che questo Tribunale ha già avuto modo di rilevare (cfr. sent. 19.2.2007. n. 25) che l’art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998 (come modificato dall’art. 4 comma 1, lett. b della legge 30.7.2002, n. 189), nel prevedere la preclusione per la prosecuzione del soggiorno in Italia per quei cittadini extracomunitari che siano stati condannati per determinate categorie di reati, quali lo spaccio di sostanze stupefacenti, e che comunque destano particolare allarme sociale, introduce un tratto di attività amministrativa strettamente vincolata che opera nel caso in cui la responsabilità del cittadino straniero sia stata previamente accertata dall’Autorità Giudiziaria a seguito di procedimento penale e successiva sentenza di condanna nei suoi confronti.

In altri termini, il citato art. 4 del D.Lgs, n. 286/98 individua una serie di condotte, quelle integratrici delle fattispecie criminali, e le considera come oggettivi indici di pericolosità sociale. Esse vengono considerate dalla legge quali presupposti in fatto ostativi alla permanenza dello straniero nella comunità nazionale.

Nella specie, dunque, la condanna, prevista nell’art. 4, comma 3, del T.U. n. 286/1998, costituisce motivo di per sé preclusivo al rinnovo del permesso di soggiorno e, di conseguenza, l’Amministrazione legittimamente può limitarsi al richiamo della sussistenza di tale presupposto per negare il richiesto rinnovo, perché la valutazione della pericolosità sociale è stata fatta direttamente ed insindacabilmente dal Legislatore.

D’altronde, non va neppure trascurato il fatto che la recente sentenza di condanna dell’istante ex art. 444 c.p.p. ad anni tre, mesi sei, giorni venti di reclusione ed € 12.000,00 di multa per detenzione e spaccio di droga consegue alla evidente gravità dei fatti ascritti al ricorrente, la cui criminosa condotta sta chiaramente alla base della severa pena patteggiata avanti al Giudice penale.

In casi del genere, il diniego di rinnovo avrebbe dunque carattere vincolato anche se non fosse vigente la norma sopra richiamata, reputata legittima da parte della Corte costituzionale: non può, infatti, essere consentita la permanenza sul territorio nazionale di stranieri, per i quali la pericolosità sociale sia palese anche per condanne per reati diversi da quelli tassativamente previsti dalla legge oppure per la riconosciuta colpevolezza, in sede penale, per detti, nominati reati.

Quanto sopra è, del resto, coerente con la necessità di disciplinare il fenomeno immigratorio con la salvaguardia dell’incolumità della popolazione e dell’ordine pubblico.

Può quindi affermarsi che nel caso in esame la vista preclusione al rilascio del richiesto titolo non costituisce un effetto penale, ovvero una sanzione accessoria alla condanna, bensì un effetto che la legislazione pertinente il soggiorno in Italia di cittadini extracomunitar fa derivare dal fatto storico consistente nell’avere riportato una condanna per determinati e gravi reati, come è stato di recente confermato con la menzionata pronuncia della Corte costituzionale n. 148/2008, nella cui motivazione è stato precisato che il ridetto automatismo espulsivo “non è che un riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce, anche per gli stranieri, presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare possibili arbitri da parte dell’autorità amministrativa”.

Le sollevate questioni di incostituzionalità appaiono quindi manifestamente infondate.

2. Priva di pregio è anche la doglianza rivolta nei confronti dell’impugnato provvedimento, con la quale il ricorrente censura la supposta violazione di legge in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione nel valutare circostanze che escludano pregressi fattori di allarme sociale.

Al riguardo, ritiene il Collegio che la circostanza che il giudice penale abbia riconosciuto all’imputato le attenuanti generiche non sminuisce certamente la gravità del reato, come reso evidente dall’entità della pena irrogata, nonostante la riduzione derivante dalla scelta del rito premiale.

Irrilevante si palesa, poi, il richiamo al comportamento successivo, essendo sufficiente a sorreggere il provvedimento impugnato l’esistenza della condanna riportata nel 2006. Quest’ultima è univocamente indicativa del mancato inserimento sociale del ricorrente, in quanto dimostra perseveranza in condotte criminose ed esclude sopravvenienze favorevoli all’instante.

3. Conclusivamente, il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno disposto nei confronti del ricorrente è legittimo ed il ricorso deve essere respinto.

Sussistono, peraltro, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 34/2008, lo respinge.

Spese del giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 15 gennaio 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo – Presidente

dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere

dott. Fiorenzo Tomaselli – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 4 marzo 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 68/2009 Reg. Sent.

N. 34/2008 Reg. Ric.

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