Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-03-2011) 07-04-2011, n. 13790 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di A.F. e A.P. ha proposto ricorso avverso la sentenza del 12/11/2008 della Corte d’Appello di Messina con la quale è stata confermata la condanna da questi riportata in primo grado per il reato di detenzione di hashish, ricettazione, detenzione di arma clandestina e del relativo munizionamento nonchè il solo A.P., per delitto di evasione.

2. Quanto a A.F. con il primo motivo si eccepisce violazione di legge e mancanza o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla sussistenza di tutte le accuse a ascrittegli, lamentando che il giudice di appello non abbia affrontato tutti i motivi di gravame proposti. In particolare nulla sarebbe stato osservato quanto alla contestazione della sussistenza degli estremi del concorso di persone nel reato, svolta fin dall’udienza di convalida, nel corso della quale il ricorrente escluse di sapere della presenza dei beni di illecita provenienza, rinvenuti nell’abitazione da lui condivisa con il fratello coimputato, che contestualmente confermò l’estraneità di F. ai fatti.

Si contesta univocità degli indicatori indiziari della compartecipazione, ravvisati dalla Corte nella coabitazione, nello stato di arrestato domiciliare del fratello, nonchè nel ritardo con il quale i due aprirono la porta all’atto del controllo, ritenendoli tutti privi di valenza dimostrativa della consapevolezza della detenzione degli oggetti illeciti e del previo accordo sul punto, ipotizzando al più la prova del delitto di favoreggiamento. Ne conseguiva, oltre che la violazione della norma penale, anche l’erronea interpretazione di quella processuale, che impone le regole interpretative degli indizi.

3. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione di legge ed il difetto di motivazione riguardo l’erronea applicazione dell’art. 88 cod. pen., nella parte in cui è stata esclusa l’infermità di mente dell’imputato, omettendo considerare la conclusione del perito d’ufficio che, se pure aveva accertato la sua capacità di intendere e volere, ne aveva rilevato l’incapacità di opporsi al volere del fratello, così implicitamente riconoscendo l’assenza di una potenzialità volitiva autonoma. In argomento si contesta inoltre difetto di motivazione, per non aver il giudice di merito adeguatamente contrastato le differenti argomentazioni difensive sul punto.

4. Nell’interesse di A.P. si lamenta violazione di legge in relazione alla decisione di escludere l’applicabilità delle attenuanti generiche, richiamando i precedenti penali, sottovalutando la valenza della confessione, che gli sarebbe stato ben possibile evitare attribuendo, anche in ragione della sua condizione di arrestato domiciliare, tutte la responsabilità al fratello, fidando sulla possibilità dello stesso, per il vizio di mente, di essere dichiarato esente da responsabilità.

Si sollecita per tali motivi l’annullamento della pronuncia impugnata.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile, non risultando presenti i vizi della sentenza valorizzati nell’atto introduttivo.

2. Analizzando il primo motivo dedotto nell’interesse di A. F. si deve osservare che l’assunto difensivo dell’incompletezza della motivazione è del tutto sganciato dai termini del provvedimento, con il quale non si confronta, in quanto il giudice d’appello ha congruamente motivato l’esistenza di prove del concorso, facendo riferimento, da un canto, a quanto desumibile dall’osservazione degli agenti appostati fuori dall’abitazione dei due fratelli, ove questi poterono rilevare che entrambi si appartavano fuori dallo stabile con la persona risultata interessata all’acquisto di sostanza stupefacente, nonchè dalla considerazione di fatto che, essendo il fratello P. all’epoca agli arresti domiciliari, non poteva che rapportarsi a F. tutta l’attività operativa e strategica, che richiedeva mobilità su territorio per i rifornimenti e la ricerca dei contatti per le cessioni; è stato poi sottolineato che i due collaborarono quando, sopraggiunto il controllo domiciliare, cercarono di frapporre ostacoli agli agenti per rimandare il loro ingresso nella comune abitazione; nella sentenza di primo grado, con specifico riferimento alle armi, è stata inoltre valorizzata la circostanza che l’arrestato fece riferimento alla presenza di queste ed alla droga nel corso dell’udienza di convalida, manifestando la consapevolezza della presenza di entrambi i beni, e contestualmente definì il suo ruolo come volto ad evitare l’ingresso di estranei in casa quando il fratello si allontanava.

L’ipotetico inquadramento dell’attività descritta da ultimo nella condotta di favoreggiamento, potrebbe giustificarsi solo isolando la parte finale dell’azione, successiva all’accertamento del reato di detenzione di illecita di stupefacenti ed armi, che invece, per quanto detto, va ad essa raccordata, poichè lo svolgimento della precedente condotta è dimostrativa del previo concerto tra i due fratelli dell’attività di illecita detenzione, circostanza che denota l’inammissibilità del ricorso ove rileva i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione.

La contestualità della collaborazione con lo svolgersi dell’azione illecita esclude che anche l’attività accertata nel corso del controllo, costituita dall’allontanamento di droga ed armi dai luoghi della perquisizione, possa essere validamente supportare la qualificazione dei fatti prospettata dalla difesa.

3. Altrettanto inammissibile, per genericità, è il motivo relativo la contestazione della violazione di legge e difetto di motivazione quanto all’estremo dell’imputabilità. La perizia, alle cui conclusioni la difesa si richiama, ha escluso la presenza di un vizio totale di imputabilità, ravvisando in A.F. un ritardo mentale di grado lieve moderato, che non incide escludendo la capacità di intendere e volere, essendo integra la prima e ridotta la seconda solo per effetto del rapporto di subordinazione al fratello; di tale situazione il perito ha negato l’eziologia patologica, evidenziando la natura meramente relazionale di tale condizione. Nella situazione accertata risulta del tutto improprio il richiamo operato dal ricorrente ad una non corretta applicazione di legge, svolto con il riferimento alla giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, dep. 08/03/2005, imp. Raso, Rv. 230317), il cui presupposto applicativo è la presenza di un condizione patologica, qualificabile come disturbo della personalità, la cui sussistenza non è stata accertata in giudizio.

In tal senso, analogamente, non può che qualificarsi insussistente anche l’eccepito vizio di motivazione, avendo fondatamente concluso il giudizio di merito sulla base di una conforme perizia di ufficio, che ha escluso il vizio totale di mente, ad essa richiamandosi, a fronte di motivo di appello che non si confrontava con tali conclusioni tecniche, mettendole validamente in discussione.

4. Analogamente inammissibile è il ricorso proposto nell’interesse di A.P., fondato sulla valenza della confessione resa al fine di riconoscere le attenuanti generiche, a fronte dell’articolata motivazione delle due pronunce di merito che giungono ad escludere tale riconoscimento in ragione dell’elevata pericolosità desumibile dalla presenza di gravi precedenti a carico dell’imputato, malgrado la giovane età, dall’avvenuta commissione del reato mentre si trovava in custodia agli arresti domiciliari per ulteriore imputazione, sottoposto contestualmente a misura di prevenzione.

Costituisce principio pacifico (Sez. 1, n. 866 del 20/10/1994, dep. 26/01/1995, imp. Candela, Rv. 200204) che le attenuanti generiche possono essere riconosciute nell’esercizio di un’attività discrezionale che può essere sollecitata con l’indicazione di elementi favorevoli, la cui valenza non deve essere necessariamente confutata con specifico riferimento alle circostanze dedotte, essendo sufficiente che il giudice espliciti il suo percorso motivazionale, dando conto dei motivi che lo hanno indotto a negare tale attenuante.

Nella specie il giudice ha valorizzato elementi di sicuro spessore, per giustificare il mancato esercizio della facoltà riconosciutagli, sicchè la motivazione si sottrae alle dedotte censure, dovendosene apprezzare la coerenza e completezza.

5. La dichiarazione di inammissibilità conduce alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del grado, nonchè della somma, indicata in dispositivo, in favore della cassa delle ammende in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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