Cons. Stato Sez. IV, Sent., 01-04-2011, n. 2066 Concorso Contratto di appalto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con appello depositato in data 14 settembre 2010, il Consorzio ricorrente appella la sentenza 7 giugno 2010 n. 151, con la quale il TRGA Trentino, sez. di Trento, ha accolto il ricorso del Consorzio C., annullando la delibera della soc. A.D.B. 29 ottobre 2009 n. 1576; delibera con la quale tale società ha disposto l’aggiudicazione definitiva, in favore dell’appellante Consorzio, del terzo lotto del servizio sgombero neve e spargimento cloruri per le stagioni invernali 200910, 201011 e 201112.

La sentenza appellata ha accolto il ricorso del Consorzio C., proposto in proprio e quale capogruppo di una costituita A.T.I., con riferimento al primo motivo da questo proposto, "sostanzialmente basato sull’assunto che l’aggiudicatario non sarebbe in possesso della capacità tecnica rappresentata dalla disponibilità dei mezzi richiesti, posto che il maggior numero di essi risulterebbe in proprietà di soci di una società cooperativa consorziata".

Sul punto, il Tribunale precisa innanzi tutto che "dalla lettura del bando di gara si ricava che, al momento della presentazione della prescritta documentazione, era sufficiente la sola "dichiarazione di disponibilità del numero di mezzi (autocarri e pale) previsto nell’art. 6 del Capitolato", con ciò intendendosi "un concreto e stabile godimento degli stessi, indipendentemente dal titolo, reale o obbligatorio, in base al quale erano materialmente detenuti". Allo stesso tempo, l’acquisizione dei necessari titoli, a dimostrazione di detta disponibilità, poteva "avvenire in una fase successiva rispetto a quella della partecipazione alla gara purché anteriore all’aggiudicazione".

Tuttavia, in sede di verifica dell’effettivo possesso dei requisiti dichiarati, l’aggiudicatario Consorzio (odierno appellante) "ha allegato che la larga maggioranza dei mezzi era di proprietà di soci della consorziata società D.T. e su tale solo fondamento è stato ritenuto che fosse stato comprovato il possesso del requisito tecnico richiesto".

La sentenza appellata, accogliendo i motivi proposti con il ricorso introduttivo (mentre quelli poi proposti con il ricorso per motivi aggiunti sono stati dichiarati infondati, e uno di essi tardivo), ha ritenuto che:

– "la suddetta dimostrazione non può essere desunta sic et simpliciter dal mero dato fattuale dell’esistenza di un doppio vincolo consortile, il quale, seppure sussistente, non è da solo capace di attestare che il Consorzio sovraordinato che abbia partecipato alla gara abbia la vista disponibilità delle prescritte attrezzature". La prova della disponibilità, dunque, "ha fatto palesemente difetto nel caso di specie, non essendo stato documentato che i soggetti terzi rispetto alla gara, ma proprietari dei ridetti mezzi, si fossero formalmente obbligati a porli a disposizione del CSAI per l’arco temporale di esecuzione del servizio, a nulla rilevando che i detti proprietari avessero consegnato a quest’ultimo i rispettivi libretti di circolazione, consegna che, a tale scopo, non può assumere il valore di un impegno, sostanziale e formale, circa il loro utilizzo, pur in presenza di un generico rapporto di gruppo";

– il Consorzio CSAI "che avrebbe ben potuto fruire dei requisiti tecnici delle imprese socie di D.T., non ha fatto ricorso all’istituto dell’avvalimento sulla base del quale… le dette imprese o ditte individuali non sarebbero state considerate estranee alla procedura di gara";

– il Consorzio CSAI, come composto dalle ditte S., F., N.N. e D.T., si è presentato quale unico referente dei confronti della stazione appaltante, ancorché abbia dichiarato di voler utilizzare mezzi, e presumibilmente anche risorse umane, forniti da soci di una società a sua volta consorziata, omettendo di rendere noti gli estremi delle rispettive ragioni sociali e dei relativi proprietari degli stessi mezzi. Integrando questi il ruolo di distinti soggetti che si sarebbero assunti il compito dell’espletamento del servizio per il previsto triennio, è tuttavia mancata la dimostrazione in capo ad essi dei requisiti di ordine generale per la partecipazione alle procedure concorsuali", indicati dall’art. 38 del Codice dei contratti, il che "non sarebbe avvenuto ove fosse stato fatto uso dell’istituto dell’avvalimento".

La sentenza ha dunque esaminato il ricorso incidentale proposto dal Consorzio CSAI, odierno appellante, statuendo, in particolare, che:

– è infondato il motivo con il quale si è assunto che il Consorzio C. sarebbe stato illegittimamente ammesso alla procedura di gara sulla base di documentazione non veritiera, in conseguenza del fatto che una delle società componenti l’ATI (la mandante M.G. s.r.l.) avrebbe reso la dichiarazione, di cui all’art. 38, co. 1, lett. c) d. lgs. n. 163/2006, "solo nei confronti del legale rappresentante in carica e non avrebbe comunicato l’esistenza dei soci R.D. e M.M., cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando… inoltre il nominato Decarli avrebbe rivestito anche la carica di responsabile tecnico delegato alla certificazione degli impianti termoidraulici". Secondo il Tribunale, una violazione dell’art. 38 sarebbe riscontrabile solo "nel caso in cui il bando, invece di limitarsi a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38 del Codice, avesse imposto, e sanzionato con l’esclusione in caso di omissione, una dichiarazione dal contenuto più ampio rispetto a quanto prescritto dalla norma in esame, al fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione della gravità o meno dell’illecito ed anche di ogni omessa dichiarazione… Tuttavia il bando aveva prescritto la sola dichiarazione della presenza o assenza di condanna penale per reati gravi";

– è infondato il motivo con il quale si espone che la fideiussione bancaria, "sarebbe stata prestata a favore del solo Consorzio Co.Rib 91 in proprio e non nella sua qualità di impresa mandataria di un raggruppamento temporaneo. Ciò in quanto la garanzia era stata prestata dopo che l’ATI era stata formalmente costituita, di modo che il Consorzio C., essendo stato debitamente autorizzato a partecipare ala gara e a svolgere tutti gli incombenti conseguenti, era l’unico soggetto cui potesse essere riferito il rischio previsto dalla garanzia offerta, che è stata quindi correttamente intestata",

– infine, è infondato l’ultimo motivo di ricorso, con il quale si contesta che il mandato di costituzione del raggruppamento non indicherebbe il lotto per il quale il mandatario era autorizzato a presentare l’offerta", in quanto esso "appare espressione di mero tuziorismo difensivo… stante l’ampiezza del mandato conferito al Consorzio C.".

Pertanto, la sentenza appellata, ha respinto il ricorso incidentale e, a seguito dell’accoglimento del ricorso principale proposto da Co.Rib 91, ha pronunciato l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva disposta in favore del Consorzio servizi autostradali integrati – CSAI., nonché la dichiarazione di inefficacia del contratto con decorrenza dalla data di pubblicazione della medesima sentenza.

Il Consorzio servizi autostradali integrati ha proposto, avverso la sentenza impugnata, i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando; erronea applicazione art. 100 c.p.c.; violazione di legge (art. 38 d. lgs. n. 163/2006); violazione del Punto III 2.1. e VI.3 del bando di gara; poichè "la mandante Moresco ha omesso di dichiarare la sussistenza di precedenti penali, in capo a due amministratori cessati dalla carica nel triennio antecedente, con ciò contravvenendo all’art. 38, co. 2, lett. c) ultimo periodo, d.lgs. n. 163/2006 ed al punto III.2.1 del bando, che "ha posto a carico dei concorrenti l’obbligo di rendere la dichiarazione dei requisiti", il cui difetto è sanzionato con esclusione dalla gara dal punto VI. 3, lett. c). In definitiva, il bando "ha prescritto, a pena di esclusione, la dichiarazione di possesso (e non solo il possesso) dei requisiti". A fronte di ciò, l’impugnata sentenza, per un verso, non ha "rilevato l’omessa ed incompleta dichiarazione sugli amministratori cessati, nei termini di gara, prevista a pena di esclusione"; per altro verso, ha omesso di considerare "perfino l’accertamento, in concreto, del possesso del requisito sostanziale, addirittura ribaltando in capo al ricorrente incidentale l’onere della prova, che grava invece, necessariamente sul C. che, omettendo di fornire la prova dell’assenza di cause ostative, ha persino precluso l’accertamento sostanziale del requisito";

b) error in iudicando; erronea applicazione art. 100 c.p.c.; violazione di legge (art. 75 d. lgs. n. 163/2006); violazione del punto III.2.1) e VI.3) del bando di gara; poiché la polizza fideiussoria presentata da Co.Rib 91 non è idonea a legittimare l’ammissione dell’ATI, dato che essa ha ad oggetto una garanzia prestata solo per Co.Rib 91 e non pure per le altre imprese che compongono il raggruppamento;

c) error in iudicando, erronea applicazione art. 100 c.p.c.; poiché il Tribunale non ha rilevato la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione in capo a Co.Rib 91, poiché il consorzio si è sciolto ed è in liquidazione, ciò determinando "l’impossibilità del concorrente di intraprendere nuove operazioni e, in particolare, di acquisire nuovi contratti";

d) error in iudicando; erronea applicazione art. 100 c.p.c.; violazione di legge (art. 75 d. lgs. n. 163/2006); violazione del punto III.2.1) e VI.3 del bando di gara; ciò in quanto la sentenza ha accolto i primi tre motivi del ricorso principale. Al contrario: a) il Consorzio CSAI, in sede di verifica postuma, ha dimostrato la piena disponibilità dei mezzi occorrenti, depositando l’elenco completo dei mezzi, corredato da copia conforme dei libretti di circolazione, che dimostrano la facoltà di utilizzo e la disponibilità dei mezzi. Peraltro, poiché questi ultimi sono di proprietà di imprese socie della società D.T., "il vincolo consortile, diretto alla costituzione di una comune organizzazione di mezzi, per l’acquisizione di commesse pubbliche e private, è titolo idoneo e sufficiente a dimostrare la effettiva disponibilità dei mezzi in capo alla impresa D.T. e quindi in capo al CSAI, di cui la D.T. fa parte"; b) quanto al mancato ricorso all’avvalimento, quest’ultimo trova applicazione solo nelle ipotesi in cui il concorrente si qualifichi in una procedura di evidenza pubblica, utilizzando i requisiti soggettivi di un terzo, al quale non è legato da alcun vincolo, laddove, nel caso di specie, sussiste un doppio vincolo consortile, che consente di concorrere "utilizzando direttamente i mezzi delle società consorziate, senza ricorrere all’istituto dell’avvalimento"; c) quanto alle dichiarazioni da rendersi da parte delle società consorziate, le stesse non eseguono l’appalto, né rivestono lo status di concorrente, risultando pertanto esonerate dall’obbligo di rendere le dichiarazioni prescritte dall’art. 38 Codice contratti;

e) error in iudicando; violazione artt. 245 e 59 d. lgs. n. 163/2006; poiché i vizi evidenziati si riflettono anche sulla statuizione di annullamento del contratto.

Si è costituito in giudizio, proponendo altresì appello incidentale, il Consorzio Co.Rib 91 in liquidazione, il quale ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello CSAI per tardività, essendo stato il medesimo notificato "ben oltre il termine di 30 giorni dalla pubblicazione della sentenza (avvenuta in data 7 giugno 2010)", ai sensi dell’art. 245, co. 2terdecies d. lgs. n. 163/2006, come modificato dal d. lgs. n. 53/2010.

Ha, quindi, controdedotto in merito ai motivi del ricorso incidentale del CSAI, respinti in primo grado, e riproposti in appello, ed a sostegno delle ragioni espresse in sentenza, di accoglimento del proprio ricorso.

Infine, il Consorzio Co.Rib 91 ha riproposto i motivi del proprio ricorso principale respinti o dichiarati inammissibili in primo grado.

Con nota del 13 ottobre 2010, l’appellante ha replicato in ordine all’eccezione di inammissibilità.

Con ordinanza 15 ottobre 2010 n. 4745, questa Sezione ha accolto la domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.
Motivi della decisione

2. Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello per tardività, proposta dall’appellante incidentale Consorzio Co.Rib 91, stante la sua infondatezza.

L’art. 245, comma 2quinquies, nel testo introdotto dal d. lgs. 20 marzo 2010 n. 53 (vigente al momento di proposizione dell’appello), prevede:

"I termini processuali sono stabiliti in:

a) trenta giorni per la notificazione del ricorso e per la proposizione di motivi aggiunti avverso atti diversi da quelli già impugnati, decorrenti dalla ricezione della comunicazione degli atti ai sensi dell’articolo 79 o, per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui all’articolo 66, comma 8;

b) dieci giorni per il deposito del ricorso principale, del ricorso incidentale, dell’atto contenente i motivi aggiunti, dell’appello avverso l’ordinanza cautelare;

c) trenta giorni per la proposizione del ricorso incidentale, decorrenti dalla notificazione del ricorso principale;

d) quindici giorni per la proposizione dei motivi aggiunti avverso gli atti già impugnati;

e) quindici giorni per l’appello avverso l’ordinanza cautelare decorrenti dalla sua comunicazione o, se anteriore, notificazione.".

Il successivo comma 2terdecies prevede che " le disposizioni dei commi che precedono si applicano anche nel giudizio di appello innanzi al Consiglio di Stato, proposto avverso la sentenza o avverso l’ordinanza cautelare, e nei giudizi di revocazione o opposizione di terzo. La parte può proporre appello avverso il dispositivo al fine di ottenerne la sospensione.".

Sulla base delle due disposizioni ora riportate, si sostiene:

– che il termine per la proposizione dell’appello, per il richiamo effettuato dal comma 2terdecies ai "commi che precedono" (tra i quali anche il comma 2quinquies), deve intendersi fissato in trenta giorni (comma 2quinquies, lett. a), termine da intendersi come "unico", sia che esso debba decorrere dalla notificazione della sentenza, sia che esso debba decorrere dalla sua data di pubblicazione;

– che, di conseguenza, non trova applicazione l’art. 23bis, comma 7, l. n. 1034/1971, in base al quale "il termine per la proposizione dell’appello avverso la sentenza del tribunale amministrativo regionale pronunciata nei giudizi di cui al comma 1 è di trenta giorni dalla notificazione e di centoventi giorni dalla pubblicazione della sentenza"; il che comporterebbe la tardività dell’appello in esame.

Orbene, ritiene il Collegio che l’interpretazione delle disposizioni richiamate, basata unicamente sul dato letterale dei due commi dell’art. 245 del Codice dei contratti sopra riportati, non sia fondata.

Occorre, infatti, osservare che – a fronte di un generico (ed alquanto imperfetto) rinvio ai "commi che precedono", onde dichiararli applicabili "nel giudizio di appello" – e pur volendo ritenere il comma 2quinquies (in quanto ricompreso nei "commi precedenti"), applicabile al giudizio di appello, manca in tale ultima disposizione qualsiasi riferimento alla decorrenza del supposto "termine unico" per la proposizione del ricorso introduttivo del II grado di giudizio.

Ed infatti, proprio il difetto di previsione del dies a quo di detto termine, porta l’eccezione a concludere per la sussistenza di un termine "unico" quanto alla sua decorrenza.

Tuttavia, ogni volta che una norma effettua un generale rinvio ad altre disposizioni, dichiarandole applicabili ad una determinata fattispecie, tale applicabilità non può che essere intesa con l’implicito limite "in quanto compatibili"; in altre parole, al dato meramente letterale del rinvio non può che aggiungersi anche una valutazione logicosistematica e di congruità della norma richiamata rispetto alla fattispecie in relazione alla quale essa dovrebbe trovare applicazione, negandosi ovviamente che quest’ultima possa intervenire laddove tale valutazione risulti negativa.

Nel caso di specie, deve rilevarsi, innanzi tutto, che il comma 2quinquies, lett. a), prevede espressamente il solo termine per la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio di I grado, stabilendone la decorrenza in relazione alla conoscenza di determinati atti. E tale termine è non a caso "unico", proprio perché, a differenza del termine per la proposizione dell’impugnazione, non deve evidentemente essere diversificato a seconda della decorrenza dalla notificazione o dalla pubblicazione della sentenza.

Inoltre, occorre rilevare che il medesimo comma 2bis contiene (alle lettere b) ed e) espressa indicazione di termini ridotti relativamente ad una fase del giudizio di appello, riferiti rispettivamente al deposito ed alla notificazione dell’impugnazione dell’ordinanza cautelare.

Da quanto esposto, consegue che:

– per un verso, non vi è logica possibilità di estendere alla proposizione del ricorso in appello, che presuppone l’esistenza di una sentenza e due diversi dies a quo – dalla notificazione ovvero dalla pubblicazione della medesima – il (ben diverso) termine previsto per la proposizione del ricorso di I grado. Diversamente opinando, l’interprete finirebbe per compiere una duplice (non consentita) operazione, che non si limita alla sola estensione del termine previsto dal comma 2quinquies, lett. a) al ricorso in appello (come si assume prevederebbe il comma 5terdecies), ma anche la "integrazione" di tale norma, a mezzo della individuazione (unica) del dies a quo (ed infatti, diversamente da quanto sostenuto nell’eccezione, "unico" non è solo e non tanto il termine – 30 giorni – quanto il dies a quo della sua decorrenza);

– per altro verso, occorre considerare che il legislatore, laddove ha voluto provvedere per i termini riferiti al giudizio di appello, lo ha espressamente fatto, con ciò implicitamente limitando il generico rinvio contenuto nel comma 5terdecies. Ed in tal senso occorre anche sottolineare come sarebbe inutilmente ripetitiva, e quindi priva di senso, l’estensione ex comma 2terdecies dei "commi che precedono" anche al giudizio di appello, in presenza di specifiche precedenti norme (previste in detti commi) e riferite proprio ad una fase del giudizio di appello;

– per altro verso ancora, la diversa interpretazione, proposta dall’eccezione, oltre che non corretta, per le ragioni sopra esposte, sul piano logicogiuridico, perviene ad un risultato contrario alla tradizione processuale, che ha comunemente previsto due diversi termini per l’impugnazione delle sentenze, a seconda che queste siano notificate, ovvero meramente pubblicate. Depongono in tal senso, oltre agli artt 325327. c.p.c., anche i previgenti artt. 23bis e 28 l. n. 1034/1971, ed ora i vigenti artt. 92, 119 e 120 (relativamente ai giudizi concernenti procedure di affidamento) del Codice del processo amministrativo. Peraltro, la tradizionale previsione di un doppio termine per l’impugnazione appare del tutto ragionevole, poiché non può essere previsto un termine unico per situazioni affatto diverse, in quanto non sono comparabili il caso del potenziale appellante che, per avere ricevuto notifica della sentenza, ha piena consapevolezza del breve termine per proporre impugnazione, ed il caso di chi tale consapevolezza non ha, decorrendo in suo sfavore il termine di impugnazione a far data da un evento (la pubblicazione della sentenza) non da lui necessariamente conosciuto: e proprio in ragione di tale sfavorevole situazione è in questo caso di regola previsto un termine più lungo per l’impugnazione. Il che dimostra, una volta di più, l’irragionevolezza dell’interpretazione su cui si fonda l’eccezione in esame.

Fermo quanto sin qui osservato, è, d’altra parte, appena il caso di rimarcare come, in presenza di norme che possono prospettare pluralità di interpretazioni, il giudice deve scegliere quella più favorevole all’attuazione del diritto (inviolabile) alla tutela giurisdizionale, costituzionalmente garantito ex art. 24 Cost., in luogo di quella che porti a compressioni di tale diritto.

Ed inoltre, proprio il caso qui considerato, caratterizzato dal succedersi nel corso del medesimo anno solare di ben tre diverse discipline dei termini processuali, si presterebbe, laddove fosse necessario (ma, per le ragioni esposte, non è tale il caso di specie) all’applicazione dell’istituto dell’errore scusabile, ex art. 37 Cpa.

3. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, in relazione al primo motivo di ricorso, per le ragioni di seguito esposte.

Con il citato primo motivo di appello (che costituiva il primo motivo del ricorso incidentale in primo grado), il Consorzio CSAI, deducendo l’error in iudicando della sentenza di I grado, lamenta che "la mandante Moresco ha omesso di dichiarare la sussistenza di precedenti penali, in capo a due amministratori cessati dalla carica nel triennio antecedente, con ciò contravvenendo all’art. 38, co. 2, lett. c) ultimo periodo, d.lgs. n. 163/2006 ed al punto III.2.1 del bando, che "ha posto a carico dei concorrenti l’obbligo di rendere la dichiarazione dei requisiti", il cui difetto è sanzionato con esclusione dalla gara dal punto VI. 3, lett. c).

Secondo l’appellante, in definitiva, il bando "ha prescritto, a pena di esclusione, la dichiarazione di possesso (e non solo il possesso) dei requisiti". A fronte di ciò, l’impugnata sentenza, per un verso, non ha "rilevato l’omessa ed incompleta dichiarazione sugli amministratori cessati, nei termini di gara, prevista a pena di esclusione"; per altro verso, ha omesso di considerare "perfino l’accertamento, in concreto, del possesso del requisito sostanziale, addirittura ribaltando in capo al ricorrente incidentale l’onere della prova, che grava invece, necessariamente sul C. che, omettendo di fornire la prova dell’assenza di cause ostative, ha persino precluso l’accertamento sostanziale del requisito".

L’art. 38 d. lgs. n. 163/2006, prevede, per quel che interessa nella presente sede che

"1. Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti….

c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18; l’esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; del socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio.

In ogni caso l’esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa non dimostri di aver adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata; resta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 178 del codice penale e dell’articolo 445, comma 2, del codice di procedura penale."

Il successivo comma 2 del medesimo articolo precisa che " il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica anche le eventuali condanne per le quali abbia beneficiato della non menzione."

In ordine a tale allegazione, la giurisprudenza di questo Consiglio non appare univoca, propendendo talora, per una tesi "sostanzialistica", rilevando come l’esclusione dalla gara possa avvenire non tanto per la mancata allegazione della attestazione (autocertificazione) sulla esistenza di condanne penali per i soggetti indicati, quanto nel caso della effettiva esistenza di tali condanne; talaltra la giurisprudenza privilegia – ai fini dell’esclusione – il dato formale della omessa allegazione della dichiarazione.

Quanto alla prima tesi, si è sostenuto (Cons. Stato, sez. V, 9 novembre 2010, n. 7967) che il comma 1 dell’art. 38 d.lg. n. 163 del 2006 ricollega l’esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il comma 2 non prevede analoga sanzione per l’ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione. Da ciò discende che solo l’insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall’art. 38 comporta, "ope legis", l’effetto espulsivo. Quando, al contrario, il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la "lex specialis" non preveda espressamente la pena dell’esclusione in relazione alla mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull’oggetto delle dichiarazioni da fornire, facendo generico richiamo all’assenza delle cause impeditive di cui all’art. 38, l’omissione non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo un’ipotesi di "falso innocuo", come tale insuscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o – si ripete – della legge di gara, a fondare l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative (in senso conforme, sez. VI, 4 agosto 2009 n. 4907 e 22 febbraio 2010 n. 1017).

Secondo altro, più restrittivo orientamento (Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2009 n. 3742; 7 maggio 2008 n. 2090; 15 gennaio 2008 n. 36), le dichiarazioni da rendere ai sensi dell’art. 38, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, compresa quella riguardante la posizione dell’amministratore o rappresentante nel triennio antecedente, "sono obbligatorie giacché la loro finalità non è solo di garanzia sull’assenza di ostacoli pure di natura etica all’aggiudicazione del contratto, ma anche di ordinaria verifica sull’affidabilità dei soggetti partecipanti, con la conseguenza che la concreta carenza di condizioni effettivamente ostative costituisce un elemento successivo rispetto alla conoscenza di una situazione di astratta sussistenza dei requisiti morali e giuridici che lambiscono in modo determinante la professionalità degli amministratori".

Tuttavia, anche la giurisprudenza che ha recepito il concetto, di derivazione penalistica, del cd. "falso innocuo", ha precisato che l’omessa dichiarazione in ordine all’esistenza di condanne penali non è da considerarsi di per sé causa di esclusione (in assenza effettiva di condanne) sempre che il bando "non preveda espressamente la pena dell’esclusione in relazione alla mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull’oggetto delle dichiarazioni da fornire" (Cons. St., sez. 7967/2010 cit.).

Si è in tal senso affermato anche (Cons. Stato, sez. V, 4 agosto 2009 n. 4907), che "diverso discorso deve essere fatto quando il bando sia più preciso, e non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38, codice, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali, o tutte le violazioni contributive: in tal caso, il bando esige una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dall’art. 38 codice, all’evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell’illecito, al fine dell’esclusione. In siffatta ipotesi, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell’essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando".

Ritiene il Collegio che la dichiarazione prevista dall’art. 38, co. 2, a maggior ragione se espressamente prevista dal bando a pena di esclusione, sia necessaria, in quanto solo attraverso di essa l’amministrazione riceve contezza di tutti i soggetti per i quali, ai sensi di legge, essa deve essere resa e, conseguentemente, degli eventuali reati che tali soggetti hanno commesso e per i quali sono stati condannati.

Non è, quindi, necessario che la clausola del bando prescriva espressamente che la dichiarazione da rendersi debba prevedere tutte le condanne penali ricevute ovvero che non si siano ricevute condanne per taluni reati debitamente specificati; è, invece, sufficiente che la clausola ribadisca la necessità, a pena di esclusione, della dichiarazione sul possesso dei requisiti di cui all’art. 38.

Ed infatti, per ciò che riguarda il requisito di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), il legislatore ha previsto due ipotesi:

– la prima, di ordine generale, laddove richiede che nei confronti dei soggetti considerati dalla medesima disposizione non debba essere stata "pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale"

– la seconda, specifica, laddove prevede che "è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18".

In ambedue le ipotesi, la dichiarazione è necessaria, non potendo l’amministrazione essere tenuta a verificare ex officio il possesso di taluni requisiti, peraltro afferenti al rilevante aspetto della moralità ed affidabilità del concorrente, laddove la legge espressamente prescrive la attestazione di tale requisito attraverso dichiarazione sostitutiva. E se il bando acclude alla omessa presentazione della dichiarazione (ancorchè genericamente riferita ai requisiti previsti dall’artt. 38) la sanzione dell’esclusione dalla gara, tale previsione, verificandosi l’ipotesi di omissione, non può che operare in tal senso in ogni caso, ed anche se, nella sostanza, il soggetto non avesse riportato condanne penali.

Ma la dichiarazione sostitutiva – riferita a tutte le condanne penali eventualmente subite – è altresì necessaria, in relazione alla prima delle ipotesi contemplate dall’art. 38 e sopra riportate, poiché solo attraverso la loro conoscenza l’amministrazione può verificare se ricorrono quelle ipotesi di condanne per "reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale".

La valutazione della "gravità" del reato per cui si è ricevuta condanna non può che competere all’amministrazione, non potendosi ritenere che essa – come pure si è talora sostenuto (Cons. Stato, sez. V, 4 agosto 2009 n. 4907) – competa al soggetto dichiarante, di modo che, laddove questo non avesse dichiarato una condanna ricevuta, ciò sarebbe sintomo di una sua valutazione di "non gravità" del reato per cui essa è stata pronunciata, e la dichiarazione non potrebbe essere ritenuta "falsa".

Tale ultima tesi comporterebbe che, per un verso, l’amministrazione – nonostante una espressa previsione di legge – non conoscerebbe (in tutto o in parte) uno dei requisiti del soggetto concorrente (ed eventualmente aggiudicatario); che – non conoscendolo – non può né valutare la gravità del reato per cui si è ricevuta condanna, né se la valutazione di ciò, effettuata dal concorrente – ove si voglia aderire alla giurisprudenza sopra richiamata – risulta ragionevole; infine, che la verifica del possesso o meno del requisito non costituirebbe più un momento indefettibile del procedimento di affidamento, ma diverrebbe meramente eventuale, potendo essa ricorrere solo nel caso in cui altro concorrente prospetti la mancanza del requisito.

Occorre quindi concludere sul punto, affermando che, laddove il bando di gara richieda, a pena di esclusione, la dichiarazione sul possesso dei requisiti di cui all’art. 38 d. lgs. n. 163/2006, anche senza ulteriori specificazioni, tale dichiarazione, con riferimento a quanto richiesto dal comma 1, lett. c) di detto articolo, deve essere presentata ed essere completa, cioè comprendente tutte le condanne penali ricevute, pena, in caso contrario, l’esclusione dalla gara.

4. Orbene, nel caso di specie, il bando di gara prevede, tra l’altro,

a) sub III.2 -condizioni di partecipazione, che "ciascun concorrente dovrà inoltre produrre. A) dichiarazione di possesso dei requisiti di cui all’art. 38 d. lgs. n. 163/2006" (punto III.2.1);

b) sub VI.3.lett. c), che "nella busta A – "documentazione", deve essere inserita, pena esclusione, la documentazione di cui ai punti III.1.1…. e III.2.1… etc".

Appare, dunque, evidente, che il bando di gara prevede:

– che il concorrente deve produrre dichiarazione sostitutiva (cd. autocertificazione), ai sensi dell’art. 38, comma 2, del Codice dei contratti, attestante il possesso dei requisiti di cui all’art. 38, comma 1, anche – per quel che interessa nella presente sede – relativamente agli amministratori muniti di rappresentanza ed al direttore tecnico, cessati dalla carica nel triennio antecedente;

– che tale documento deve essere inserito nella busta A "documentazione";

– che l’assenza di tale documento comporta la esclusione del concorrente dalla gara.

In sostanza, nel caso di specie, il bando di gara non si limita a prevedere la necessità della dichiarazione sui requisiti di cui all’art. 38, ma prevede espressamente che l’omissione di tale dichiarazione – ancorché riferita in via generale al possesso dei requisiti di cui all’art. 38 – comporti l’esclusione.

Ed è pacifico tra le parti che la dichiarazione, riferita ai soggetti indicati nel primo motivo di appello, non sia stata resa.

Ciò ha determinato due conseguenze:

– in primo luogo, l’amministrazione (e per essa la commissione di gara) non ha conosciuto dell’esistenza di soggetti rivestenti talune particolari cariche nel triennio antecedente, e non è stata posta in grado di effettuare eventuali verifiche, anche attraverso la mera richiesta di integrazione documentale;

– in secondo luogo, che il soggetto, omettendo ogni dichiarazione, non ha in realtà svolto (né ha comunque dimostrato di avere svolto) alcuna valutazione circa la "gravità" di eventuali reati da tali soggetti commessi, con ciò escludendosi anche i presupposti richiamati da quella già citata giurisprudenza che riconosce – in difetto di diverse, specifiche statuizioni del bando – una sorta di potere di valutazione della gravità di eventuali reati commessi in capo al privato concorrente (sez. V, n. 4907/2009)

Il caso di specie, quindi, esula dalle ipotesi di dichiarazione mendace o inesatta, di modo che non si pone un problema di valutazione della eventuale "innocuità" del falso, né si pone un problema di valutazione della gravità delle condanne (affidata o meno che sia al concorrente, che, non ritenendole gravi, abbia omesso di dichiararle).

Al contrario, nel caso di specie manca del tutto una dichiarazione del concorrente Consorzio C., riferita ai requisiti di determinati soggetti.

E, sempre nel caso in esame, la sanzione della esclusione dalla gara non deve essere ricavata dall’art. 38 del Codice dei contratti, di modo che non occorre porsi il problema – pur evidenziatosi in parte della giurisprudenza – tra mancanza effettiva del requisito (sanzionata con l’esclusione dall’art. 38) e mancanza della attestazione del possesso del requisito (che sarebbe non sanzionata da detto articolo), e ciò in quanto la mancanza della dichiarazione sostitutiva è espressamente prevista dalla lex specialis come causa di esclusione.

Da quanto esposto, consegue che non può essere confermata la sentenza di I grado, laddove essa, nel rigettare il primo motivo del ricorso incidentale del Consorzio CSAI, ritiene che "presupposto indefettibile per l’esclusione dalla gara ai sensi della norma in esame è, quindi, la sussistenza di precedenti penali per gravi reati in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale, mentre non assume alcun rilievo, in assenza di specifica disposizione della lex specialis, il mero dato formale della non veridicità della dichiarazione circa i soggetti che abbiano ricoperto le cariche rilevanti nel periodo di tempo all’uopo preso in considerazione dalla disciplina normativa".

La sentenza appellata omette di considerare che, come si è detto, nel caso di specie non ricorre l’ipotesi di una "dichiarazione non veridica", bensì quella, diversa, di una "dichiarazione omessa", in relazione a taluni soggetti; così come essa non considera che la lex specialis prevede espressamente l’ipotesi di omessa dichiarazione come causa di esclusione.

Per le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere accolto, in relazione al primo motivo di ricorso (il che dispensa il Collegio dall’esame degli ulteriori motivi), con conseguente riforma della sentenza impugnata.

L’accoglimento del primo motivo di appello (già primo motivo del ricorso incidentale proposto dal Consorzio CSAI) comporta la declaratoria di inammissibilità dell’appello incidentale proposto dal Consorzio Co.Rib 91, atteso che lo stesso, per le ragioni già esposte, versa in condizione di esclusione dalla gara in oggetto.

In considerazione della complessità delle questioni trattate e delle difficoltà interpretative della normativa applicabile al caso di specie, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come proposto da Consorzio servizi autostradali integrati – Società cooperativa consortile -CSAI (n. 7734/2010 r.g.):

– lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso incidentale proposto in I grado;

– dichiara inammissibile l’appello incidentale proposto da Consorzio Co.rib. 91;

– compensa tra le parti spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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