Cons. Stato Sez. IV, Sent., 01-04-2011, n. 2052 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

di Alessandro;
Svolgimento del processo

Con ricorso al TAR Umbria, i signori I. e G.L., esponevano di essere proprietari di un capannone adibito ad officina meccanica e situato in Comune di Terni, fra via Quattro Macine e le sponde del fiume Nera. Con ordinanza n. 210760 del 21 dicembre 2006 (impugnata col ricorso) il Comune ingiungeva la demolizione del capannone, asseritamente abusivo perché privo di titolo edilizio, e realizzato in ampliamento di un preesistente edificio.

Il gravame, imperniato unicamente sulla tesi che l’intero fabbricato, nell’attuale consistenza, risale ai primi decenni del 1900 e comunque a prima dell’agosto 1967, veniva tuttavia respinto con la sentenza epigrafata, previo esperimento di una verificazione istruttoria in contraddittorio.

I signori L. hanno impugnato la sentenza del TAR, chiedendone l’annullamento alla stregua di mezzi ed argomentazioni riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente decisione.

Si è costituito nel giudizio il Comune di Terni, resistendo al gravame ed esponendo in successiva memoria le proprie argomentazioni difensive, che si hanno qui per riportate.

Con ordinanza n. 1211/2008 il Consiglio ha disposto l’accoglimento della istanza di sospensione della sentenza impugnata, avanzata dagli appellanti; quest’ultimi hanno riepilogato in memoria le proprie tesi e, alla pubblica udienza del 28 gennaio 2011, il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1.- Si controverte della legittimità di un ordine di demolizione edilizia emesso dal Comune appellato ed avente oggetto un capannone (di mq 6×12), edificato senza permesso edilizio, in asserito ampliamento di preesistente edificio, e su area prospiciente corso fluviale ed oggetto di vincolo di inedificabilità assoluta, causa distanza di rispetto.

2.- Con la sentenza impugnata il TAR ha respinto il ricorso proposto dai signori L. sulla base di un’articolata motivazione (con ampi riferimenti sia alle risultanze documentali che all’esito della disposta verificazione, effettuata in data 7.11.2007), pervenendo alle seguenti conclusioni:

– il controverso "ampliamento" è stato realizzato dopo l’8 marzo 1951, data della rilevazione compiuta per la formazione del nuovo catasto (allegato B alla relazione dei verificatori); a quella data è stata rilevata l’esistenza unicamente di un fabbricato identificabile con la particella 1200 del vecchio catasto (nel nuovo fg. 24,part.4); come "dipendenza" (ossia pertinenza) di quel fabbricato (definito "tettoia chiusa") vi era infatti menzionata solo una "corte" di pochi metri quadrati;

– l’ampliamento risulta oggetto, nel marzo 1987, di denunzia di "cambiamento nello stato dei terreni a seguito di edificazione di nuova stabile costruzione"

– l’intervento è da ritenere abusivo in quanto ben prima del marzo 1951 era vigente la legge urbanistica n. 1150/1942, il cui art. 31 (nel testo originario) richiedeva la licenza di costruzione nei centri abitati (sul punto la sentenza fa anche riferimento alla tesi del Comune per cui l’obbligo generalizzato di licenza edilizia sussisteva già in forza del piano regolatore generale approvato nel 1934);

– quanto al posizionamento su area prossimale al fiume, è irrilevante l’accertata anteriorità dell’intervento al 1963, anno in cui un" esondazione rese necessarie opere pubbliche di difesa, realizzate però su una linea più esterna rispetto all’argine preesistente, e quindi più a ridosso (se non all’interno) della proprietà privata;

– in ordine alle ragioni che giustificano la sanzione demolitoria, non vi è difetto di motivazione, giacché l’ordinanza impugnata ha chiarito l’insistenza sull’area (in quanto esondabile dal fiume) di un vincolo inedificabilità assoluta; l’abuso represso, in altri termini, non è solo formale (mera edificazione senza licenza) ma tocca aspetti sostanziali non derogabili dalla normativa urbanistica locale.

3.- Gli appellanti avversano queste valutazioni della sentenza, mediante cinque mezzi di ricorso.

La loro trattazione comporta, per ragioni di chiarezza, una distinzione tra questioni propriamente edilizie (legittimità dell’intervento rispetto alla normativa urbanistica) e questioni derivanti dalla presenza del vincolo di rispetto fluviale, profili entrambi presenti nella motivazione dell’ordinanza di demolizione n. 21076/2006, sia pure con differente portata ai fini della decisione della controversia.

3.1.- In merito al primo ordine di problemi, gli appellanti, a sostegno dell’illegittimità della demolizione, avevano articolato le proprie censure in primo grado sulla base di un’unica argomentazione fondamentale, per la quale l’intero fabbricato sarebbe stato realizzato unitariamente sin dall’origine (circostanza confermata dalla verificazione), risalirebbe ai primi del "900 o sarebbe comunque stato realizzato prima del 1967, ed in quanto tale non necessitava del permesso di costruire. Sulla base di questa tesi emergerebbe l’illogicità della sentenza nella valutazione delle mappe catastali, dalle quali erroneamente il TAR avrebbe ricavato, ad unico motivo del rigetto del ricorso, che l’ampliamento è stato realizzato successivamente al 1951 e prima del 1987. Il Comune dal suo canto sostiene la tesi della costruzione in data successiva al 1963, ma ancora in vigenza del piano LattesStaderini varato nel 1934.

Ritiene il Collegio che l’appello sia meritevole di accoglimento in relazione alla censura, rigettata in primo grado, che sosteneva la non necessità di permesso di costruzione per le opere realizzate anteriormente all’intervento della legge "ponte" n. 765/1967 e quindi l’illegittimità della demolizione disposta per assenza di detto permesso.

Va anzitutto confermato che la precedente legge urbanistica n. 1150/1942, si pone in un contesto normativo che, innovando radicalmente la materia, ha determinato il superamento di tutte le fonti normative previgenti con essa incompatibili, affermando nel contempo l’assoggettamento dello "ius aedificandi" alla necessità della licenza edilizia, nella sua funzione di controllo, ma in sostanza limitatamente ai centri abitati ed alle zone di espansione. In detto quadro normativo deve anzitutto escludersi l’applicabilità alla fattispecie, nel 1963, del piano del 1934, che aveva esaurito la sua validità entro il 31.10.1952 (cfr. art.42 l.u.n.1150/1942).

Ciò premesso, e ricordato anche che, a differenza di quanto accade nei procedimenti di condono edilizio, nei procedimenti repressivi degli abusi la prova dell’epoca dell’illecito è onere dell’autorità procedente, dal provvedimento censurato non emerge alcun elemento sulla data di edificazione né dell’edificio principale né del suo ampliamento, né tantomeno si rinvengono riferimenti a strumenti urbanistici o altre norme richiedenti la necessità all’epoca del permesso di costruzione con stretto riferimento all’intervento di cui si tratta e con particolare riguardo alla perimetrazione del centro abitato nel 1951, elementi come è noto rilevano per derogare all’obbligo di licenza, ai sensi del citato art. 31. L.U. e sino all’intervento dell’art. 10 della legge n.765/1967 (cfr. Cons di Stato, sez. V, n.47/1977).

Peraltro, il Collegio osserva che a fronte del principio di prova fornito dai ricorrenti (dichiarazione informale del sig. Tagliavento sulla esistenza dell’edificio nella struttura comprensiva dell’ampliamento sin dagli inizi degli anni 50) non può assumere valenza decisiva il fatto, posto in rilievo dal TAR, che l’ampliamento non era risultato esistente all’atto della verifica compiuta nel 1951; e ciò non per il principio per il quale le risultanze catastali non hanno rilievo giuridico dirimente in tema di epoca dell’abuso (costituendo di norma elementi che possono concorrere allo scopo), ma per la sua oggettiva irrilevanza in una fattispecie in cui non può escludersi che l’intervento sia stato compiuto dopo l’accertamento catastale "de quo" ma pur sempre anteriormente al regime normativo introdotto dalla legge n. 765/1967. Quindi non è accoglibile nemmeno il riferimento del Comune allo strumento in vigore nel 1963, essendo tale data compresa tra il 1951 ed il 1967. A maggior ragione è del tutto irrilevante l’accatastamento in base al quale si ipotizza che l’intervento sia stata realizzato tra il 1967 ed il 1987.

Ma anche ove si ritenga di basarsi sulla risultanza catastale del 1951, va osservato che l’esito della verificazione ordinata dal TAR, affermando l’unitarietà strutturale dell’intervento, sposta al 1951 anche la realizzazione dell’ampliamento. Peraltro, la tesi del TAR per cui la risultanza della verificazione sul punto non sarebbe attendibile, non reca a sua volta alcun elemento idoneo a temporalmente collocare l’intervento in epoca successiva al 1967. Vero è, sul piano dei principi del processo, che il giudice che ha ordinato la verificazione può disattenderne l’esito, ma ciò può legittimamente avvenire con adeguata illustrazione dei motivi di inattendibilità, nei quali non può certo collocarsi la mera affermazione per cui "è ragionevole ipotizzare che quando è stato realizzato l’ampliamento la tettoia sia stata rifatta per intero in modo da abbracciare tanto la parte vecchia dell’edificio, quanto la nuova". Nella specie, infatti, la valutazione compiuta dai primi giudici è inesatta sul piano logico, perchè sostituisce il concetto di unità strutturale (accertato dai verificatori in sede tecnica) con una mera valutazione ipotetica effettuata dal giudice. Questi afferma che l’intervento è consistito nel rifacimento di singola parte (la tettoia) dell’intero edificio, ripristinata con parvenza unitaria; ma quest’ultima analisi contrasta del tutto con quanto accertato dalla verificazione in data 7.11.2007, secondo la quale "l’intero corpo di fabbrica" (composto da quello censito e da quello in contestazione) risulta "realizzato unitariamente e contemporaneamente, in quanto sia le capriate in ferro……….. sia la trama muraria forniscono elementi sostanziali per determinarne la realizzazione contestuale". L’apprezzamento compiuto dal TAR in ordine alla prova costituita dalla verificazione, ed il conseguente suo superamento, sono perciò viziati da incongruenze perché danno illogica prevalenza ad una mera ipotesi edilizia in pieno contrasto con l’esito tecnico della verificazione (cfr. art. 116,comma 1,c.p.c e, per il principio qui applicato, Cass. civ., sez. I, sent. n. 1035 del 08021983).

3.2- I rilievi sin qui formulati determinano la fondatezza anche dell’altra censura di primo grado, e qui riproposta, di violazione dell’art. 27 del DPR n.380/2001 che impone all’amministrazione di accertare, preventivamente alla demolizione, se l’opera sia stata realizzata abusivamente.

3.3 – Conclusivamente su tali aspetti la Sezione ritiene che nella fattispecie né l’impugnato ordine di demolizione né la sentenza gravata che lo ha confermato, rechino elementi attendibili che l’intervento sia stato effettuato successivamente al 1967 e fosse quindi sanzionabile con la demolizione in assenza di licenza edilizia.

4. Si devono, per completezza, formulare brevi osservazioni sulla valenza nella specie del vincolo di rispetto fluviale, citato dall’ordinanza di demolizione e dalla sentenza impugnata, la quale sul punto rigetta la censura di difetto di motivazione riguardo alle ragioni che giustificano la sanzione demolitoria "giacché nell’ordinanza è chiarito che il sedime era (è) gravato da inedificabilità assoluta, siccome esondabile".

In proposito il Collegio osserva però che il predetto vincolo (che peraltro risulta apposto solo col DPGR n.100 del 1993) non ha costituito la ragione fondamentale della demolizione (alla quale sarebbe peraltro competente altra autorità e secondo altro procedimento), ragione che è stata individuata nella mancanza di permesso edilizio. Né, allo stato, il vincolo può venire in rilievo a motivo della demolizione sotto altro aspetto; dagli atti risulta infatti che, per effetto di eventi risalenti al 1963 e a poco dopo, lo stato dei luoghi ha subito profonda modificazione (anche in proprietà privata) per effetto di esondazione e conseguente intervento di opere di difesa, sicuramente da valutare in sede di eventuale verifica dell’effettiva osservanza della distanza di rispetto. Ma poiché anche ciò non è stato effettuato, si tratta in definitiva di profili che non hanno concorso a determinare il quadro controverso in decisione e nei quali, pertanto, il Collegio non ritiene indispensabile entrare.

5.- Conclusivamente l’appello è meritevole di accoglimento, con conseguente riforma della sentenza impugnata e accoglimento del ricorso di primo grado.

Sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese dei giudizi, attesa la sufficiente complessità delle questioni sollevate e trattate.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla l’ordinanza di demolizione n.210760 del 2006, emessa dal Comune di Terni.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *