Cons. Stato Sez. IV, Sent., 01-04-2011, n. 2050 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’ing. M.L., quale proprietario di un suolo sito in agro del Comune di San Vito dei Normanni, alla contrada "Carrone", ricadente in zona B3 del Piano Regolatore Generale, impugnava innanzi al TAR per la Puglia, Sezione di Lecce, i pareri sfavorevoli espressi dalla Commissione Edilizia Comunale (comunicati con note dell’Ufficio Tecnico Comunale nn.634 e 635 dell’11/1/2007) in ordine a due istanze di rilascio di permesso di costruire riguardanti, entrambe, la realizzazione di un nuovo edificio sull’area di sua proprietà.

I pareri negativi venivano emessi in ragione del rilevato contrasto del progettato intervento con la normativa recata dalle NTA del PRG e precisamente con il combinato disposto degli artt. 22.1 e 22.3: l’art.22.3 nella parte in cui tale ultima norma, nel rinviare agli indici di cui al precedente art.22.1, consentirebbe la realizzazione nella zona de qua di fabbricati al massimo di due piani, mentre l’edificio progettato prevede la realizzazione di tre piani fuori terra.

Al ricorso introduttivo di prime cure, con cui si deducevano vari profili di illegittimità, faceva seguito nel corso del giudizio, l’inoltro di motivi aggiunti, con cui la parte interessata, dopo essere venuta a conoscenza degli atti del procedimento chiesti e ottenuti in visione, denunciava ulteriori vizi di difetto di motivazione, di istruttoria e di travisamento.

L’adito TAR con sentenza n.828/08 accoglieva il proposto gravame con conseguente annullamento degli atti impugnati.

Il Comune di San Vito dei Normanni insorge avverso detta sentenza ritenendola errata ed ingiusta e deducendo a sostegno dell’appello i seguenti motivi:

erroneità del capo della sentenza di primo grado in cui si è ritenuto sussistente il vizio di difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati;

erroneità della sentenza appellata nel capo in cui si è ritenuto di condividere l’interpretazione dell’art.22.3 e dell’art.22.1 delle NTA del PRG comunale propugnata dal ricorrente.

Si è costituito in giudizio l’ing. M.L., che ha contestato la fondatezza dei motivi di gravame, di cui ha chiesto la reiezione.

Le parti hanno entrambe prodotto ulteriori memorie a difesa delle tesi da ciascuna di esse sostenute.

All’udienza pubblica del 25 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

In relazione al gravame qui proposto il Collegio è chiamato, in concreto, a pronunziarsi sulla legittimità o meno delle determinazioni di contenuto negativo assunte dal Comune di San Vito dei Normanni in ordine alle richieste avanzate dall’attuale appellato, ing. L., di essere autorizzato a realizzare, su un’area di sua proprietà, un intervento edilizio per residenze, uffici e parcheggi, lì dove il giudice di primo grado ha ritenuto illegittimi i dinieghi opposti al riguardo dall’Amministrazione suindicata.

L’appello si appalesa fondato, risultando le impugnate osservazioni e prese conclusioni del TAR meritevoli di riforma.

Con un primo capo della sentenza il primo giudice ha rilevato, a carico degli atti comunali per cui è causa, in accoglimento del rilievo (ancorchè di tipo formale) appositamente mosso dalla parte interessata, il vizio di difetto di motivazione, atteso che l’Amministrazione avrebbe omesso di riportare le argomentazioni del parere dell’ufficio legale e risultando altresì i pareri della CEC meramente ripetitivi delle disposizioni recate dal PRG.

La statuizione si appalesa errata.

Quella dell’Ufficio legale è un’attività di consulenza svolta all’interno della struttura comunale, a migliore illustrazione delle questioni di tipo tecnicogiuridiche coinvolte nella gestione della pratica, ma non è detto che il parere legale debba essere parte integrante del divisamento che l’Amministrazione va ad assumere ufficialmente; e neppure è necessario che venga portato alla cognizione dell’interessato, sicché, al di là della valenza e pregnanza delle osservazioni da esso recate, il parere di detto ufficio, ai fini del "confezionamento" all’esterno delle determinazioni finali, non ha una sua specifica rilevanza.

Per il resto, la definizione delle istanze di concessione edilizia, implicando un accertamento di carattere vincolato (cfr, ex multis, Cons Stato Sez. V 30/6/2005 n.3539) costituito dalla verifica della conformità della richiesta con la normativa urbanisticoedilizia, non necessita di altra motivazione oltre quella relativa alla rispondenza della istanza alle dette prescrizioni, cosa, questa, puntualmente riscontrabile nel caso all’esame, in cui i pareri della CEC riportano in maniera sintetica, ma essenziale, le ragioni del diniego a mezzo di un puntuale richiamo alla normativa di carattere preclusivo recata dalle NTA del PRG agli articoli suindicati.

D’altra parte, se l’onere motivazionale è funzionale all’esercizio del diritto di difesa, tale finalità risulta nella specie essere stata pienamente perseguita, visto che in relazione ai motivi di diniego la parte interessata ha compiutamente esperito gli opportuni mezzi di contestazione giudiziale sia in prime cure che in questa sede, dando, quindi, adeguata dimostrazione della integrale intelleggibilità e lesività della motivazione resa a sostegno dei dinieghi stessi.

Occorre, a questo punto esaminare e definire la problematica giuridica di tipo sostanziale rappresentata dalla esatta interpretazione della normativa di PRG, che, secondo il Comune, si frappone all’accoglimento dell’istanza de qua e che, viceversa, secondo l’appellato, consente la realizzazione del progettato intervento edilizio.

Dunque, vengono in rilievo due richieste di rilascio di permesso di costruire per la realizzazione, su un suolo di proprietà dell’appellante, censito in catasto al fg 07/B, particelle 3159 e 6509, inserito (come da certificato di destinazione urbanistica del 22/5/2003) in zona di PRG di completamento B/3 – B/1, di un nuovo edificio, il cui progetto prevede (in base ai dati recati dalla relazione tecnica ad esso allegata) n.3 piani, per un’altezza "costante" di ml 8,60 e per un volume totale di 8958,70 mc.

Ciò precisato in ordine ai dati tecnici dell’intervento edilizio de quo, la normativa di riferimento che viene in discussione è quella recata dalle NTA del PRG al Titolo IV (zonizzazione), Capitolo 3 (individuazione zone B e sottozone), precisamente agli artt.22.1 e 22.3.

Il primo dei predetti articoli si occupa della zone c.d. B/1 (zone B sature) e così dispone:

"Sono zone omogenee di edilizia prevalentemente residenziale esistente che hanno saturato i lotti di pertinenza.

Nell’ambito di queste zone sono sempre consentiti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, la ristrutturazione edilizia, nonché la demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti senza incremento di volume; da ciò sono esclusi gli edifici ad un solo piano in cui è ammesso il "ripristino" del primo piano come in zona A/2 con un’altezza massima di ml 8,60 per due piani ed un volume max di 5mc/mq".

"Non sono consentite nuove costruzioni in aree libere perché considerate sature.

In ambiti che sono soggetti a ristrutturazione fondiaria e/o urbanistica sono da rispettare le seguenti indicazioni:

distanze: mt 3,50 dal confine posteriore e mt 7,00 tra fabbricati e per costruzioni sul confine in aderenza alle stesse;

altezza max 8,60 mt.;

volume pari al volume preesistente o inferiore per la quota eccedente i 5 mc(mq);

– Rc (rapporto di copertura) pari a quello preesistente e comunque max 70%".

Il secondo dei predetti articoli contempla il caso delle c.d. zone B/3 "zone B di semplice completamento (lotti interclus)" e così stabilisce: "sono le aree libere all’interno del tessuto edificato residenziale esistente nelle quali si vuole intervenire con nuove edificazioni operando per interventi singoli. Nelle zone B2 e B3 i nuovi edifici proposti su lotti limitrofi a lotti già edificati dovranno rispettare l’allineamento prevalente dei fabbricati adiacenti… Non possono essere superati gli indici stabiliti al punto 22.1 (Zone B1)".

E’ alla luce delle disposizioni sopra riportate che va condotta l’indagine in ordine alla conformità urbanistica o meno del progettato intervento edilizio, tenuto conto che esso comporta una nuova costruzione da realizzarsi in zona B/3, costituita da tre piani.

Più in dettaglio, secondo il Comune tale nuova costruzione non rispetta l’indice di cui al 2° comma dell’art.22.1 delle NTA del PR sopra citato, che prevede un’altezza massima di mt 8,60 per non più di due piani, lì dove tale prescrizione è richiamata dal successivo art.22.3; secondo la prospettazione di parte appellata, invece, non sussisterebbe alcuna preclusione alla realizzazione dei tre piani, atteso che gli indici da rispettarsi, come da rinvio fatto dal citato art.22.3 sono quelli di cui all’ultimo comma dell’art.22.1 e non quelli indicati al 2° comma del citato articolo (in cui è annoverato il divieto di più di due piani).

La problematica sollevata ha connotati squisitamente interpretativi, dovendosi trovare un raccordo logico tra le anzidette disposizioni, che, per il vero, per come formulate, si prestano ad una non inequivoca lettura, tant’è che la stessa Amministrazione comunale sulla questione qui dibattuta ha avvertito l’esigenza di fornire con la deliberazione consiliare n.18 del 31/5/2008 una interpretazione autentica dell’art.22.3 delle NTA, ferma restando, naturalmente la valenza puramente indicativa (di indirizzo) di quanto deliberato dal civico consesso.

Ciò detto, il Collegio ritiene di dover aderire all’assunto interpretativo propugnato dalla difesa dall’appellante Comune per due fondamentali ordini di considerazioni, deducibili dall’utilizzo dei canoni esegetici di carattere letterale e logicosistematico, nei sensi e per gli effetti che si vanno ad illustrare.

In particolare, milita a favore dell’applicabilità del limite dei due piani alla nuova costruzione progettata dal L., un primo ordine di ragioni così riassumibili:

a) in linea generale e facendo leva sul dato letterale, l’art. 22.3, nel richiamare "gli indici stabiliti al punto 22.1", contiene un rinvio tout court a tutti gli indici recati dalla norma in richiamo, senza che, il regolatore, a mezzo di apposita specificazione, abbia espressamente provveduto ad un relativo distinguo (nel senso di ammetterne alcuni ed escluderne altri);

b) la costruzione proposta dall’appellato, per le sue intrinseche caratteristiche, non pare potersi assimilare alla ristrutturazione fondiaria e/o urbanistica, tipologia per la quale si devono rispettare i soli indici indicati nell’ultima parte dell’art.22.1 (e non quelli della prima parte di detto articolo, tra cui il limite dei due piani) per la semplice ragione che l’edificazione proposta dall’ing. L. costituisce un singolo intervento sia pure di nuova costruzione su una specifica area, peraltro interclusa, il che non consente di far rientrare l’intervento edilizio de quo nelle ben diversa nozione di interventi di ristrutturazione urbanistica come definiti dalla lettera f) comma 1 dell’art. 3 del DPR n.380 del 2001, come tali non riconducibili agli interventi di nuova costruzione previsti dall’art.22.3: sul punto l’assimilazione tra le due tipologie effettuata dal TAR non convince in quanto solo apoditticamente affermata.

Esiste poi un secondo ordine di considerazioni giuridiche pure a favore dell’applicabilità di detto limite, legate, specificatamente, ad una lettura, per così dire, ragionevole della prima parte dell’art.22.1, così evincibili:

c) premesso che non sono consentite nuove costruzioni (e quindi nuovi volumi) in zone omogenee B/1 considerate sature (comma 3 art.22.1), l’affinità di un intervento di una nuova costruzione, come propugnata dall’appellato, non può connettersi con la ristrutturazione edilizia pure ammessa in tali zone dal secondo comma, sol che si faccia mente locale alla definizione giurisprudenziale della categoria della ristrutturazione edilizia, con riferimento sia all’art.3 comma 1 lettera d) del DPR n.380/2001, sia al previgente art. 31 della legge n.457/78 (cfr, tra le tante, Cons Stato Sez VI 7 agosto 2003 n.4568; idem Sez IV 28/7/2005 n.4011; Sez V 14/12/2006 n.7445; Sez. IV 18/3/2008 n.1177), come attività edilizia di riproduzione delle linee fondamentali dell’edificio, quanto a sagoma, prospetti ed altezze senza, però, incremento di nuove volumetrie;

d) per esclusione, appare ragionevole ritenere, pur in presenza di un dato letterale non limpidissimo, che l’assimilazione del concetto di nuova costruzione va fatta con la figura tipologica descritta dal secondo comma dell’art.22.1, lì dove viene ammessa, a mo" di deroga, la possibilità di realizzare il ripristino del primo piano mancante per gli edifici di un solo piano, con cui si realizza un "quid novi", anche a mezzo di una sopraelevazione, ma nel rispetto degli indici ivi indicati, costituiti dall’altezza massima di ml 8,60 per non più di due piani e il volume massimo di 5mc/mq.

Ora, alla luce dei criteri interpretativi sopra indicati, se è vero che il pianificatore comunale non ha sancito chiaramente il limite dei due piani per gli edifici ricadenti in zona B/3, come normata dall’art.22.3 delle N.T.A., non si può comunque escludere il suo intendimento di assoggettare le nuove costruzioni in zona B/3 a tale prescrizione; e ciò anche in relazione alla ratio sottesa a siffatte previsioni, rinvenibile nell’esigenza di assicurare un assetto urbanisticoedilizio omogeneo e compatto e soprattutto rispettoso delle linee architettoniche tradizionali vigenti in dette località, onde evitare diverse altimetrie di facciate e sagome che vanno ad alterare anche esteticamente l’habitat locale.

A tale ordinato assetto non può peraltro dirsi aliena l’altra prescrizione, pure contemplata da entrambe le norme in rilievo, l’art.22.1 e l’art.22.3, secondo la quale sia nelle zone sature che nelle zone di semplice completamento, gli interventi devono mantenere l’allineamento.

Una conferma di tale ragionevole, giustificata scelta urbanisticoedilizia, inoltre, è ricavabile dal fatto che la tipologia di interventi descritta dall’art. 22.1 e per la quale è prevista l’altezza di ml 8,60 per non più di due piani (ripristino tipologico) è quella indicata e descritta dagli artt.21 e 21.1 per la Zona A in cui sono inseriti i singoli edifici storici urbani e le strutture insediative storiche non urbane.

Da tanto può e deve ragionevolmente dedursi che il nuovo edificio, in quanto previsto su un lotto intercluso rimasto inedificato, va ad inserirsi in una preesistente edilizia avente determinate caratteristiche di sagoma e di altezza, caratterizzata da un contesto architettonico di tipo omogeneo e perciò stesso assoggettato alla prescrizione limitativa per cui è causa.

Il diniego di rilascio di permesso di costruire appare, alla luce delle considerazioni sopraesposte, supportato da una corretta interpretazione delle norme urbanistiche che vengono in rilievo, come fatto constatare al Comune di San Vito dei Normanni con i pareri della CEC in contestazione e come da tale Ente positivamente sostenuto con l’appello all’esame, dovendosi rilevare la fondatezza delle critiche rivolte alle statuizioni del primo giudice, che, in quanto errate, vanno riformate.

La non sempre agevole interpretazione della normativa disciplinante il caso all’esame giustifica, altresì, la compensazione delle spese e competenze dei due gradi del giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo Accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, rigetta il ricorso di primo grado.

Spese e competenze dei due gradi del giudizio compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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