Cass. civ. Sez. III, Sent., 07-07-2010, n. 16030 MEDIAZIONE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

1.- Il tribunale di Treviso ha accolto nei limiti di Euro 18.000,00 (con sentenza n. 37/03) e la corte d’appello rigettato (con sentenza n. 683/05) la domanda di S.G. nei confronti (per quanto ancora interessa) di D.T.G., volta al pagamento della somma di L. 190.000.000 quale provvigione per l’attività di mediazione svolta nel 1991 e risoltasi nella conclusione di due contratti preliminari in data (OMISSIS) con i quali il D.T. e la moglie si erano impegnati a vendere ad Ecotrasmont s.p.a., operante nel settore dei rifiuti, parte delle quote di partecipazione in società a responsabilità limitata operanti nello stesso settore.

I contratti preliminari si inserivano in una complessa operazione, poi non conclusasi, attraverso la quale Ecotrasmont avrebbe dovuto ottenere il controllo di Vidori s.r.l. e, attraverso la stessa, di Giltrè s.r.l. e, attraverso questa, di Clara Ecologica s.r.l..

Il tribunale ha fondato la decisione sul rilievo che l’obbligo di iscrizione nel ruolo degli agenti degli affari in mediazione di cui alla L. n. 39 del 1989 è previsto solo per i mediatori professionali e non per chi eserciti attività di mediazione occasionalmente, com’era nella specie accaduto.

La corte d’appello ha invece ritenuto che ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge citata, l’iscrizione è necessaria anche per chi svolga solo occasionalmente attività di mediazione e che era irrilevante che lo S. fosse iscritto nell’albo dei mediatori immobiliari (ruolo "a"), avendo mediato nel settore dei servizi di cui al ruolo "d" previsto dal D.M. 21 dicembre 1990, n. 452, recante il regolamento di attuazione della legge.

2.- Su tale ultimo punto la sentenza è impugnata dallo S. con ricorso per cassazione fondato su un unico motivo, cui resiste con controricorso il D.T..

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1.- Sostiene il ricorrente – deducendo violazione e falsa applicazione della L. 3 febbraio 1989, n. 39, artt. 6 e 2 e dell’art. 3 del D.M. 21 dicembre 1990, n. 452 – che la corte d’appello ha errato nel ritenere che egli abbia mediato nel settore dei servizi, per i quali è prevista l’iscrizione degli agenti di affari in mediazione nella sezione d), intitolata agli agenti in servizi vari.

Afferma che il tipo di affari svolto dalla società delle cui quote il mediatore abbia agevolato la vendita è del tutto irrilevante e che, poichè il termine "azienda" è utilizzato dalla legge quale sinonimo di attività (con terminologia tecnicamente inappropriata ma tratta dai modi di dire correnti nell’attività mediatoria), per vendere quote di società di capitali occorreva proprio l’iscrizione che il ricorrente aveva conseguito: quella nella sezione a) del ruolo, relativa agli agenti che svolgono attività per la conclusione di affari relativi ad immobili ed aziende.

E ciò a prescindere dalla circostanza che l’azienda venga utilizzata per esercitare un’impresa in forma individuale o societaria e che oggetto dell’alienazione sia solo una quota (dell’immobile o) dell’azienda, o l’intero, non potendosi dubitare che la cessione di quote sociali sia, appunto, un affare relativo a un’azienda.

La corte d’appello avrebbe insomma confuso l’oggetto del contratto, a favorire la conclusione del quale era intervenuto il mediatore, con l’oggetto dell’attività svolto dalla società, la compravendita del cui capitale era stata intermediata.

2.- Il controricorrente obietta che il trasferimento di quote di società di capitali non può essere considerato un affare "relativo ad un’azienda", quale che sia il tipo di attività esercitato dalla società intermediata, giacchè la cessione di una partecipazione sociale non determina anche la cessione di una parte dell’azienda, la cui titolarità continua a far capo alla società.

Osserva, tra l’altro, che la ratio della collocazione nella sezione degli "agenti immobiliari" dei mediatori in "affari relativi ad aziende" è da rinvenirsi nella valorizzazione, da parte del regolamento, della materialità dell’azienda per il suo essere costituita da beni sia immobili che mobili, e non nella finalità (esercizio dell’attività d’impresa) che ne giustifica l’esistenza.

3.- Il ricorso è infondato.

L’affermazione della corte d’appello secondo la quale il ricorrente aveva, nella specie, mediato "nel settore dei servizi" (alla fine di pagina 6 della sentenza impugnata) non è affatto sintomo – salvo quanto si dirà in seguito – della confusione, che il ricorrente ascrive alla corte territoriale, tra l’oggetto del contratto e l’oggetto dell’attività della società.

La forzatura concettuale si annida piuttosto nell’assunto del ricorrente, laddove qualifica se stesso come intermediatore della compravendita del capitale della società. L’oggetto del contratto intermediato era infatti costituito da (parte delle) quote di una società commerciale, che venivano cedute da taluni soggetti ad altri. E poichè la quota rappresenta l’insieme delle situazioni soggettive attive e passive connesse allo status di socio, la cessione della stessa, lungi dall’integrare una compravendita del capitale sociale (di cui continua ad essere invece titolare la società), in null’altro consiste che nel trasferimento della partecipazione sociale.

Ne consegue che, quale che sia l’attività svolta da una società commerciale e quale la consistenza del suo patrimonio, il trasferimento da un soggetto ad un altro di una quota di partecipazione non è mai qualificabile come trasferimento della proprietà o del godimento di un’azienda, che è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, secondo la puntuale definizione offertane dal legislatore all’art. 2555 c.c..

Corollario ne è che la cessione di quote sociali, per gli effetti di cui alla L. n. 39 del 1989, richiede l’iscrizione non già nella sezione sub "a" del ruolo di cui al D.M. 21 dicembre 1990, n. 452, art. 3, comma 2 (nella quale sono iscritti gli agenti che svolgono attività per la conclusione di affari relativi ad immobili ed aziende), ma in quella sub "d", riservata non solo agli agenti che svolgono attività per la conclusione di affari relativi al settore dei servizi ma, con previsione residuale di carattere onnicomprensivo, anche a tutti gli altri agenti che non trovano collocazione in una delle sezioni precedenti. Com’è, appunto, nel caso di specie.

Negando il diritto alla provvigione, la corte d’appello ha dunque adottato una soluzione corretta in diritto in riferimento alla L. 21 dicembre 1990, n. 452, art. 6 che subordina il diritto del mediatore alla provvigione all’iscrizione nella specifica sezione relativa all’attività mediatizia svolta, benchè la motivazione vada corretta laddove in sentenza s’è conferito rilievo al settore nel quale l’attività sarebbe stata espletata (servizi) anzichè alla circostanza che l’attività svolta non trova collocazione in nessuna delle sezioni precedenti.

4.- Il ricorso è respinto.

La totale difformità tra le decisioni di merito, la novità della questione e le ragioni della decisione inducono alla compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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