Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-03-2011) 08-04-2011, n. 14063

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 5.9.2009, il G.U.P. del Tribunale di Lecco, fra l’altro, dichiarò C.F., M.S. e V. M. responsabili del reato di estorsione aggravata in danno di Z.B. (consistito nel minacciare, anche con un’arma giocattolo ed in più persone riunite Z. che chiedeva di essere pagato per il lavoro effettuato), M. inoltre responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5 (in relazione all’impiego di immigrati clandestini) e di estorsione in danno di R.M. (che chiedeva di essere pagato per il lavoro effettuato), unificati sotto il vincolo della continuazione i reati ascritti a M. e – riconosciute a C. l’attenuante del risarcimento dei danni equivalente all’aggravante ed alla recidiva; a M. le attenuanti generiche e quella del risarcimento del danno prevalenti sull’aggravante; a V. le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante ed alla recidiva, con la diminuente per il rito – condannò:

C. alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 600,00 di multa, pena accessoria;

M. alla pena di anni 3 mesi 4 di reclusione ed Euro 800,00 di multa, pena accessoria; V. alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 600,00 di multa.

Avverso tale pronunzia i predetti ed altri imputati proposero gravame ma la Corte d’appello di Milano, con sentenza in data 28.6.2010, confermò la decisione di primo grado nei confronti degli imputati sopra indicati.

Ricorrono per cassazione M.S. personalmente ed i difensori degli imputati C. e V.. Il difensore di C.F. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la sentenza sarebbe contraddittoria laddove, dopo aver affermato che le dichiarazioni delle persone offese non necessitano di riscontri, indica i riscontri che le conforterebbero; dopo aver evidenziato la necessità di un accurato vaglio critico delle dichiarazioni delle persone offese si afferma che non sarebbero emerse risultanze che inducano a pensare che tali persone abbiano avuto ragioni per accusa falsamente gli imputati; sembrerebbe che sia stata avvertita la necessità di superare il dubbio in ordine al disinteresse del dichiarante se la Corte territoriale si è data pena di indicare riscontri; l’intercettazione riportata a p. 11 secondo cui M. avrebbe manifestato l’intenzione di spaccare le gambe a Z. se questi avesse continuato a recarsi presso i cantieri per essere pagato, non può fungere da riscontro individualizzante verso C., essendo state le intercettazioni disposte dopo la denunzia di Z. e quindi almeno una settimana dopo i fatti ascritti a C.; inoltre in tali intercettazioni M. non fa riferimento a C. ed a V., ma si propone di provvedere personalmente; il fatto poi che Z. continuasse a recarsi presso i cantieri di M. per chiedere i propri soldi proverebbe che, dopo il giorno (OMISSIS), non era spaventato, contrariamente a quanto ha cercato di far credere; quanto al ritenuto disinteresse della persona offesa la Corte non ha considerato che due volte la difesa si è vista negare la possibilità di contro esaminarlo perchè è stata rigettata la richiesta di incidente probatorio; nulla dice la sentenza impugnata in relazione alla doglianza svolta sotto tale profilo; ancora la sentenza impugnata, dopo aver affermato che M. e V. avevano tentato di scaricare ciascuno sugli altri le loro responsabilità, usa le dichiarazioni di M. a carico di C., peraltro senza valutarne l’attendibilità intrinseca (era palese la volontà di sminuire le proprie responsabilità) e senza risconti, sicchè non avrebbero potuto essere utilizzate per riscontrare (e dichiarazioni della persona offesa; la sentenza impugnata afferma poi che C. non aveva alcun interesse personale a perpetrare le minacce, oltre a quello di rendere un servizio al proprio datore di lavoro, ma all’epoca dei fatti C. non era dipendente di M., ma collaborava con lui con una propria impresa; non è stata considerata la documentazione prodotta dalla difesa dalla quale risulta che Z. nulla temeva da C., avendolo successivamente incontrato; dal tenore delle intercettazioni, poichè risulta che le minacce non ebbero effetto, l’estorsione avrebbe dovuto essere contestata nella forma tentata; C. avrebbe minacciato Z. solo per ottenere la restituzione delle chiavi del cantiere (difettando la prova della violenza finalizzata a non far conseguire a costui i compensi per il lavoro svolto; pertanto il fatto avrebbe dovuto essere ricondotto all’ipotesi di cui all’art. 393 c.p.;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche ed al mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti (anche del risarcimento del danno) sulle aggravanti, sull’assunto della gravità dei fatti desumibile dalle modalità delle minacce e dalla debolezza di posizione della persona offesa, ma i fatti non sarebbero gravi essendo stata usata una pistola giocattolo al solo scopo di inibirgli di andare nei cantieri e di farsi consegnare le chiavi, per l’assenza di interesse personale in capo a C.; vi sarebbe discriminazione rispetto a M. e si tenderebbe ad incidere sul diritto dell’imputato di non rendere dichiarazioni; infine è stata trascurata la situazione familiare dell’imputato ed il mutamento della suo. condotta di vita.

M.S. deduce:

1. vizio di motivazione in relazione ai delitti di estorsione; quanto a quello in danno di Z., M. si era limitato a richiedere a C. e V. di riaccompagnare a casa Z. (il quale si era rivolto alla committente G.D. chiedendo di essere pagato, perchè M. non lo avrebbe fatto, danneggiando l’immagine della società di M.) e nel farsi restituire le chiavi del cantiere; non potrebbe essere posto a carico di M. quanto accaduto in seguito e meno che mai a lui potrebbe essere addebitata la circostanza aggravante; comunque mancherebbe l’elemento soggettivo del reato; quanto all’estorsione in danno di R. valgono le stesse considerazioni;

2. vizio di motivazione in relazione all’aggravante dell’uso di un’arma (giocattolo), peraltro non considerata dal primo giudice e ritenuta in appello implicita menta contestata, dal momento che M. ignorava che i coimputati ne avessero la disponibilità;

quanto all’aggravante della minaccia posta in essere da più persone riunite la stessa dovrebbe; essere letta in correlazione con l’art. 112 c.p., n. 1, che richiede i concorso con o più persone, sicchè essendo gli imputati solo in tre non è configurabile;

3. vizio di motivazione in relazione alla mancata derubricazione dei reati di estorsione nelle ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni o minaccia dal momento che egli incaricò i coimputati solo di chiedere a Z. la restituzione delle chiavi;

quanto a R., costui si rivolgeva illegittimamente ai committenti asserendo di non essere stato pagato da M.: sarebbe stato possibile adire l’A.G. affinchè gli fosse impedito di reiterare tali illegittime richieste;

4. vizio di motivazione in relazione all’insussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, in quanto delle pratiche amministrative relative alla regolarizzazione degli immigrati si occupava solo A.S., socio di M..

Il difensore di V.M. deduce:

1. vizio di motivazione in relazione all’oggetto della costrizione che non era quella di rinunziare al pagamento del salario pattuito e di rinunciare alla regolarizzazione del rapporto di lavoro, ma, in base alle minacce, quello di non chiedere ancora i soldi e di non andare dalla Polizia; la motivazione della sentenza impugnata sarebbe contraddittoria perchè pone a base dell’affermazione di responsabilità intercettazioni e dichiarazioni che provano un fatto diverso, confondendo il fatto con i suoi effetti;

2. violazione di legge in relazione alla mancata qualificazione del fatto come tentativo, dal momento che Z. non solo non rinunziava al sue salario, ma si attivava denunciando il fatto alla polizia; alla richiesta di derubricazione del reato di estorsione in tentativo, pur inserita a verbale, la Corte territoriale non ha dato risposta.

Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di C. F. è manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti.

Nessuna violazione di legge nè contraddittorietà vi è laddove dopo aver affermato che le dichiarazioni delle persone offese non necessitano di riscontri, a sentenza indica i riscontri che le confortano.

Anzitutto va ricordato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte condiviso da Collegio, "in tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa e quelle di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la medesima.

Ne consegue che la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità". (Cass. Sez. 3 sent. n. 22848 del 27.3.2003 dep. 23.5.2003 rv 225232).

Il fatto che le dichiarazioni della persona offesa non debbano essere necessariamente riscontrate, come quelle indicate nell’art. 192 c.p.p., comma 3, non implica che il giudice di merito non possa valutare anche eventuali riscontri a tali dichiarazioni.

La Corte territoriale ha motivato sulla linearità, coerenza ed assenza di contraddizioni nelle dichiarazioni delle persone offese ed ha inoltre ritenuto che le stesse avessero trovato riscontri.

La indicazione di riscontri non può essere intesa quale dubbio da parte della Corte d’appello sull’attendibilità intrinseca, proprio perchè tale attendibilità è stata specificamente ritenuta e motivata (e neppure, ad avviso del giudico di secondo grado, specificamente contestata nelle impugnazioni).

I riscontri sono stati indicati nelle indagini di polizia giudiziaria, nella ammissione di C. e V. di aver condotto Z. nell’area di servizio ove fu costretto a consegnare le chiavi, nelle immagini di C. e V. riprese dal sistema di video sorveglianza. Le intercettazioni sono indicate quale riscontro individualizzante per M. ("atteso che è proprio M. a dire…" p. 11 sentenza impugnata).

Il fatto che Z. continuasse a recarsi presso i cantieri di M. per chiedere i propri soldi non esclude che, dopo il giorno (OMISSIS) fosse spaventate.

E’ irrilevante che sic stato negato l’incidente probatorio per esaminare Z., a fronte della scelta di richiederà il giudizio abbreviato, con la quale l’imputato ha rinunziato ad esaminare le stesso.

Nessuna motivazione era perciò necessaria su tale punto.

Le dichiarazioni di M. e V. non sono state usate quale riscontro individualizzante contro C., ma nei confronti degli stessi dichiaranti.

L’affermazione che C. non aveva alcun interesse personale a perpetrare le minacce è svolta nel senso di escludere che egli e V. fossero andati oltre le intenzioni di M., sicchè è irrilevante che all’epoca dei fatti C. non era dipendente di M., ma collaborava con lui con una propria impresa.

La derubricazione del reato di estorsione consumata in quello tentato non è stata chiesta nei motivi di appello sicchè non può essere dedotta in questa sede, sicchè è irrilevante che Z. non avesse timore di C., come è irrilevante a tal fine il tenore delle intercettazioni.

In ordine al rigetto della richiesta di derubricazione del reato di estorsione in esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la Corte territoriale ha chiarito che la minaccia era finalizzata anche a far rinunziare costui alla retribuzione a lui spettante e la censura secondo cui ciò non sarebbe provato e che C. avrebbe minacciato Z. solo per ottenere la restituzione delle chiavi del cantiere è di merito.

Il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di C. F. è manifestamente infondato.

Va ricordato che "ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime". (Cass. Sez. 2A sent. n. 4790 del 16.1.1996 dep. 10.5.1996 rv 204768).

Nel caso di specie tale elemento è stato comunque indicato nei precedenti penali e, secondo l’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, "in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la "ratio" della disposizione di cui all’art. 62 bis c.p. non impone al giudice di merito di scendere alla valutazione di ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che questi indichi, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti. Ne consegue che le attenuanti generiche possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perchè in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità". (Cass. Sez. 4A sent. n. 08052 del 6.4.1990 dep. 1.6.1990 rv 184544).

Il primo motivo di ricorso proposto da M.S. è manifestamente infondato, svolge censure di merito ed è in parte generico.

La Corte territoriale ha argomento come fosse inverosimile che C. e V. fossero andati oltre le istruzioni ricevute da M. e come dalle intercettazioni risultasse la sua propensione all’uso della forza.

L’aggravante della minaccia commessa da più persone riunite è stata ritenuta implicita nell’incarico conferito a due persone.

In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.

Infatti, nel momento dei controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se a decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "I limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5A sent, n. 1004 del 30.11.1999 dep 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2Asent. n. 2436 dal 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di motivazione o la sua manifesta illogicità.

Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.

La doglianza relativa all’astersione in danno di R. è generica.

Il secondo motivo di ricorso proposto da M.S. è manifestamente infondato.

L’aggravante della minaccia commessa con arma non è stata ritenuta (v. p. 13 sentenza impugnata).

Quanto all’aggravante della minaccia commessa da più persone riunite, non vi è alcun collegamento con l’art. 112 c.p., n. 1, sicchè è integrata anche solo dalla perpetrazione della minaccia da parte di due persone riunite.

Il terzo motivo di ricorso proposto da M.S. è manifestamente infondato e svolge censure di merito.

Come si è detto trattando della simile doglianza svolta nell’interesse di C., il rigetto della richiesta di derubricazione del reato di estorsione in esercizio arbitrario delle proprie ragioni, è stato motivato dalla Corte territoriale sull’assunto che la minaccia era finalizzata anche a far rinunziare costui alla retribuzione a lui spettante e la censura secondo cui ciò M. avrebbe agito solo per ottenere da Z. la restituzione delle chiavi del cantiere e da R. che non si lamentasse con i committenti di non essere stato pagato è di merito.

Il quarto motivo di ricorso proposte da M. è manifestamente infondato e costituisce mero riproposizione del motivo di appello sicchè si appalesa aspecifico. La Corte territoriale ha infatti indicato che M. aveva confessato di aver agito d’intesa con il coimputato A.S. e nessuna critica a tale motivazione è stata svolta.

Il primo motivo di ricorso proposte nell’interesse di V. M. è manifestamente infondato e svolge censure di merito.

Il fatto che, ascondo il ricorso la costrizione posta in essere nei confronti di Z. non era quella di rinunziare al pagamento del salario pattuito e di rinunciare alla regolarizzazione del rapporto di lavoro, ma, in base alle minacce, quello di non chiedere ancora i soldi e di non andare dalla Polizia non cambia la natura de reato contestato e comunque implica una ricostruzione alternativa rispetto a quella ritenuta dai giudici di merito, non proponibile in questa sede.

Il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di V. è inammissibile perchè non dedotto con i motivi di appello, sicchè nessuna specifica motivazione la Corte territoriale era tenuta a svolgere in relazione ad un motivo non dedotto, ma solo ad una richiesta formulata nel corso del giudizio di appello.

Tutti i ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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