Cons. Stato Sez. V, Sent., 01-04-2011, n. 2022 trattamento economico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

e parti;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con la sentenza n. 580 del 1°marzo 1999 il TAR per la Campania, sede di Napoli, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dagli attuali appellanti, tutti dipendenti del Comune di Pomigliano d’Arco, per l’annullamento del silenzio tenuto dall’amministrazione comunale sulle istanze del 3 dicembre 1987 e del 30 giugno 1988 volte al riconoscimento del diritto a veder ristabilita l’equa proporzione tra i loro stipendi e quello del segretario comunale a far data dal mese di giugno 1972, con corresponsione delle somme a tale titolo spettanti, oltre rivalutazione monetaria e interessi dall’entrata in vigore del d.p.r. n. 749 del 1972.

2. Il TAR Campania ha dichiarato inammissibile il ricorso, non sussistendo i presupposti per la formazione del silenzio rigetto, rilevandone, comunque, l’infondatezza nel merito.

3. Gli appellanti deducono l’erroneità della sentenza sia con riferimento al rilevato vizio procedimentale, vertendosi nel caso in materia di diritti soggettivi, per la cui azione il silenzio rigetto non costituirebbe condizione di procedibilità, sia con riferimento alla valutazione di merito non avendo il TAR tenuto conto del disposto dell’art. 228 del r.d. n. 783 del 1934 che imponeva alle amministrazioni comunali di fissare gli stipendi con equa proporzione rispetto a quello goduto dal segretario comunale.

4. Il Comune di Pomigliano d’Arco non si è costituito in giudizio.

5. Alla pubblica udienza del 21 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. L’appello è infondato e va respinto.

7. Nel merito, è sufficiente evidenziare che la questione relativa alla rideterminazione del trattamento economico dei dipendenti comunali, in applicazione dell’art. 228 del T.U.L.C.P. 3 marzo 1934 n. 383, ai sensi del quale "Gli stipendi ed i salari degli impiegati e salariati comunali devono essere fissati in equa proporzione con quello del segretario comunale; e quelli degli impiegati e salariati della provincia in proporzione con quello del segretario provinciale", è stata affrontata da tempo dalla giurisprudenza, che ha assunto una posizione negativa che si condivide in pieno (cfr., tra le più recenti decisioni, Cons. St., Sez. V, 14 giugno 2004, n. 3793; 7 luglio 2002 n. 3736; 23 gennaio 2001 n. 196; 13 marzo 2000 n. 1304; id., 7 febbraio 2000 n. 664; id., 6 ottobre 1999 n. 1335).

Conformemente a tale orientamento giurisprudenziale, deve ritenersi che da quando il trattamento economico del personale dipendente dei Comuni deve essere determinato con il sistema della contrattazione collettiva, con il recepimento del contenuto dei relativi accordi nazionali da parte delle Amministrazioni e, quindi, con il contestuale divieto di corrispondere trattamenti superiori a quelli risultanti dagli accordi stessi, il principio dell’equa proporzione con il trattamento del segretario comunale, di cui all’art. 228 del T.U. 3 marzo 1934 n. 383, non è più applicabile.

Si è rilevato, invero, che detto principio è riconducibile ad un diverso sistema normativo, nel quale gli enti locali potevano determinare, con atto autoritativo ed unilaterale, il trattamento economico dei propri dipendenti. Facoltà che, tuttavia, è venuta meno per il carattere immediatamente precettivo ed inderogabile, conferito ad opera dell’art. 6 del d.l. 29 dicembre 1977 n. 946, convertito nella legge 27 febbraio 1978 n. 43, alla disciplina del rapporto di impiego del personale in questione contenuta nel d.p.r. 1° giugno 1979 n. 191.

La determinazione del trattamento giuridico ed economico del personale degli enti locali in conformità degli accordi nazionali, per altro, risponde alla volontà legislativa di individuare una nuova fonte esclusiva di regolamentazione a garanzia dell’omogeneità del regime applicabile ed in vista del contenimento della spesa pubblica, nel rispetto dei principi costituzionali d’imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa (cfr., tra le molte, Cons. St., Sez. V, 21 luglio 1999 n. 883; id., 15 settembre 1997 n. 978; id., 3 giugno 1996, n. 610).

Si tratta, quindi, di una disciplina che, rafforzata dal principio di onnicomprensività della retribuzione fissato dagli accordi, disancora il trattamento economico del dipendente dal potere discrezionale dell’ente, risultando in tal modo radicalmente incompatibile con la menzionata facoltà di riequilibrio previsto dall’art. 228 citato.

Né può ritenersi che questa facoltà sopravviva per i periodi anteriori alla riforma. Non si tratta, invero, di applicare, ora per allora, una disciplina che fissa concreti livelli retributivi, sulla quale eventualmente fondare diritti soggettivi ormai immodificabili, bensì di postulare l’esercizio di un potere pubblico definitivamente abrogato.

8. Da quanto esposto consegue, per quanto attiene ai profili in rito esaminati dall’impugnata sentenza, che la domanda di adeguamento della retribuzione non costituisce un diritto soggettivo come sostenuto dagli appellanti, sicché la procedura del silenzio rigetto è condizione della procedibilità della domanda.

Come rilevato dal giudice di prime cure, nel caso mancavano i presupposti perché potesse ritenersi formato il silenzio rigetto, essendo mancata la notifica dell’istanza nelle forme rituali con diffida ad adempiere ed essendo mancata totalmente la procedura di cui all’art. 25 del d.p.r. n. 3 del 1957.

9. Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere rigettato.

10. Nessuna statuizione va assunta sulle spese di giudizio, non essendosi costituito in giudizio il Comune intimato.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Nulla sulle spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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