Cass. civ. Sez. V, Sent., 30-06-2011, n. 14367 società

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto in data 19-6-2003 G.M. e G.A. costituivano la società in nome collettivo "Domus s.n.c." operando il conferimento in natura di una azienda alberghiera ubicata in Rimini, composta da un immobile, avviamento ed attrezzature, di un valore complessivo dichiarato di Euro 1.162.000 ridotto ad Euro 233.000 per effetto della passività costituita da un muto ipotecario sull’immobile di Euro 929.000.

Con scrittura privata autenticata in data 2-7-2003 i predetti soggetti cedevano le quote della società a Franco Bontà ed Elvio Mezzetti.

Con avviso di liquidazione notificato in data 9-4-2005 l’Ufficio di Rimini della Agenzia delle Entrate riliquidava le imposte assolte in sede di registrazione dell’atto di costituzione della società, ritenendo che la operazione di costituzione della società e di cessione delle quote aveva realizzato l’effetto equivalente alla vendita della azienda alberghiera, e pertanto qualificava l’atto di costituzione della società come cessione di azienda, applicando le imposte di registro ipotecaria e catastale sul valore della azienda con esclusione della passività costituita dal mutuo ipotecario.

L’avviso era impugnato dalla società innanzi alla Commissione Provinciale di Rimini, sulla base di una asserita illegittimità ed infondatezza dello stesso.

Lo stesso avviso era impugnato dai cedenti le quote G.A. e F. ed G.A. quali eredi di G.M. sotto analoghi profili.

La Commissione, riuniti i ricorsi, li accoglieva.

Proponeva appello l’Ufficio, e la Commissione Tributaria Regionale della Emilia-Romagna, con sentenza n. 59/213/07 in data 29 maggio 2007, depositata il 5 maggio 2007, accoglieva il gravame, dichiarando legittimo l’operato dell’Ufficio.

Avverso la sentenza propongono separati ricorsi per cassazione la parti private, ciascuno con quattro motivi di analogo contenuto.

In relazione al ricorso n. 19219/08 RG, proposto dalla società, la Agenzia delle Entrate resiste con controricorso. In relazione a quello proposto dai cedenti, n. 28006/08 R.G., non esplica attività difensiva.
Motivi della decisione

Preliminarmente i ricorsi avverso la stessa sentenza devono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Deve quindi procedersi all’esame congiunto dei motivi dei ricorsi riuniti, di identico contenuto.

Con il primo motivo, i ricorrenti deducono vizio di motivazione della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 5, che ritengono omessa ed apparente in quanto la Commissione di Appello aveva copiato integralmente l’appello dell’Ufficio, adottandolo come motivazione, da intendersi quindi come priva di autonoma valutazione delle argomentazioni svolte dal primo giudice, ed inidonea a dar conto del percorso logico seguito ai fini della decisione.

Con il secondo motivo, deducono violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Commissione accogliendo l’appello dell’Ufficio aveva omesso di prendere in considerazione una domanda subordinata svolta in primo grado dai contribuenti e reiterata nelle controdeduzioni in appello, secondo cui, anche accedendo alla tesi dell’Ufficio relativa alla qualificazione degli atti posti in essere dalle parti private come un unico atto di cessione di azienda, il valore dei beni componenti la azienda ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 4, doveva essere assunto al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile, e quindi al netto dell’importo del mutuo ipotecario di Euro 929.000, gravante sull’immobile, con un valore residuo valutabile di Euro 233.000.

Con il terzo motivo, svolgono la stessa censura qualificando il vizio come violazione di legge, e precisamente dell’art. 51 comma 4 cit., in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 23, u.c..

Con il quarto motivo deducono violazione del D.Lgs. n. 347 del 1990, artt. 2 e 10, sostenendo che ai fini della tassazione sotto il profilo delle imposte ipotecarie e catastali il valore dell’immobile doveva essere stabilito al netto delle passività inerenti al medesimo, ovvero detraendo dal valore lordo la passività costituita dal muto ipotecario. Il primo motivo è palesemente infondato. La motivazione della sentenza è ampia, esaustiva e priva di vizi logici, e per di più espressamente riferita a diretta valutazione della Commissione, che ha affermato in prima persona le argomentazioni ed i principi giuridici espressi. A nulla rileva la eventuale (in quanto non documentalmente provata in ricorso) trasposizione di brani tratti dall’appello dell’Ufficio, in quanto il fatto si riduce a consentita condivisione dei concetti ivi espressi.

Il secondo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., in quanto il quesito di diritto si limita ad enunciare l’ambito di operatività dell’art. 112 c.p.c., senza alcun riferimento alla fattispecie concreta esaminata, si da ridurre la risposta ad una asserzione astratta inidonea alla soluzione della questione in esame.

Peraltro non pare inutile osservare che in motivazione si afferma chiaramente che il conferimento di un immobile gravato da mutuo ipotecario in una società le cui quote sono poi cedute a terzi costituisce un unico effetto giuridico rilevante ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, e che nell’ambito del fenomeno unitario rientra anche la costituzione del mutuo, con la implicita ma non equivoca conclusione che la costituzione del mutuo ed il successivo accollo da parte dell’acquirente non costituisce passività aziendale, ma modalità di corresponsione del prezzo. Il terzo motivo è infondato, in quanto la motivazione riportata in sentenza, nei termini di cui sopra, e nelle necessarie ed implicite conseguenze, è corretta: nell’ambito della ricostruzione della volontà delle parti, la costituzione del mutuo ipotecario considerata unitariamente con i negozi successivi (costituzione della società, conferimento in essa tra i beni aziendali del bene ipotecato, cessione delle quote a terzi) configura un aspetto dell’unico negozio ritenuto in concreto esistente, ovvero la cessione di azienda, frazionato allo scopo di eludere la imposizione fiscale, e nell’ambito di tale disegno unitario la assunzione del mutuo costituisce atto elusivo posto in essere al fine di fare apparire una passività in concreto inesistente, in quanto con il metodo adottato (costituzione del mutuo ed incasso del relativo ammontare da parte dei cedenti, accollo del mutuo sull’immobile conferito in società da parte dei cessionari) si cela la corresponsione di una parte di prezzo relativa al bene aziendale compravenduto.

Il terzo motivo è inammissibile, in quanto, non essendo la relativa questione trattata in sentenza, a prescindere da considerazioni di merito, la censura doveva essere sollevata ai sensi dell’art. 112 c.p.c., previa prova documentale (nella specie inesistente) di avere sollevato tempestivamente la questione in primo grado e di averla reiterata in appello. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna i contribuenti alla rifusione delle spese a favore della Agenzia, liquidate in Euro 3.500, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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