Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-03-2011) 08-04-2011, n. 14227 arresto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

M.R., unitamente al coimputato S.G., veniva tratto in arresto in flagranza perchè a bordo di una ferrari inseguiva e costringeva a fermarsi L.R. che viaggiava a bordo di una seicento e che, secondo il ricorrente, avrebbe ostacolato una manovra di sorpasso della ferrari. Sceso dalla vettura il M. sferrò un pugno al finestrino della seicento mandandolo in frantumi e colpiva al volto il L..

Il brigadiere dei Carabinieri R., che percorreva la stessa strada sulla propria autovettura e che aveva seguito tutta la scena, si fermava, si avvicinava alle tre persone e si qualificava, ma veniva spintonato più volte dal M. e minacciato dal M. e dal S..

Altri Carabinieri successivamente intervenuti traevano in arresto il M. ed il S..

Convalidato l’arresto, il GIP del Tribunale di Roma, con ordinanza del 31 dicembre 2010, applicava ai due indagati la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di violenza privata e lesioni personali volontarie in danno di L.R. e di resistenza a pubblico ufficiale in danno del brigadiere R..

Il Tribunale del riesame di Roma, con ordinanza del 10 gennaio 2011, rigettava le istanze dei due indagati sussistendo sia i gravi indizi di colpevolezza in ordine a tutti i reati contestati, tenuto conto di quanto emergeva dalla informativa di reato e dal verbale di arresto, sia le esigenze cautelari sotto il profilo del pericolo di reiterazione per la gravita dei reati commessi e per i numerosi precedenti penali, anche specifici, esistenti a carico di entrambi gli indagati.

Proponeva ricorso per cassazione il solo M.R. che, in relazione al solo delitto di resistenza a pubblico ufficiale, deduceva la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata.

Il ricorrente precisava che le minacce verbali profferite non avevano assolutamente ostacolato l’esercizio della attività del pubblico ufficiale, tanto è vero che il R. riuscì a chiamare con il telefonino i suoi colleghi; rilevava, poi, il ricorrente che mancava la motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del dolo richiesto dall’art. 337 c.p.. Infine il ricorrente sosteneva che il reato di cui all’art. 337 c.p. era ravvisabile soltanto se in concreto al pubblico ufficiale fosse stato impedito di esercitare la propria attività.

Con memoria difensiva depositata il 24 febbraio 2011 il difensore del M., nel riproporre i motivi di ricorso ha ribadito, con ulteriori argomenti, che le minacce che avrebbe profferito il M. all’indirizzo del R. non erano finalizzate ad interrompere o intralciare le funzioni del pubblico ufficiale, cosicchè il fatto si sarebbe, tutto al più, potuto qualificare come oltraggio al pubblico ufficiale.

Sottolineava il M. che gli altri due reati contestati in effetti erano già stati consumati prima dell’arrivo del R..

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da M.R. sono infondati. Appare opportuno premettere, come si è già notato, che il ricorso riguarda soltanto la ravvisabilità nei fatti contestati del delitto di resistenza a pubblico ufficiale, non avendo il ricorrente proposto censure nè in ordine alla ritenuta sussistenza degli altri reati, nè in ordine alle ritenute esigenze cautelari. Nella memoria difensiva il difensore a sostenuto che non fosse ravvisabile il pericolo di reiterazione e che il M. avesse carichi pendenti e non sentenze passate in giudicato.

E’ evidente la tardività della deduzione concernente la pretesa insussistenza delle esigenze cautelari, dal momento che si tratta di un punto della ordinanza impugnata non dedotto con i motivi di ricorso.

Inoltre è palese anche la infondatezza della deduzione dal momento che i giudici del riesame hanno desunto il pericolo di reiterazione dalla gravita della condotta del M., oltre che dai suoi precedenti specifici, non apparendo rilevante ai fini della valutazione di pericolosità che si tratti di carichi pendenti e non di sentenze passate in giudicato.

Passando al punto della decisione del Tribunale gravato da ricorso, va detto che, secondo la ricostruzione dei fatti operata dai primi giudici, che non può essere messa in discussione in questa sede di legittimità e che, comunque, è fondata sul verbale di arresto e sulla informativa di reato, il M. incominciò a spintonare il R. non appena questi si avvicinò a lui qualificandosi immediatamente come carabiniere.

Nel contempo il S. si rivolse minacciosamente al R. dicendo tu che cazzo vuoi? Chi sei? Chi se ne frega, mentre il M. diceva ti ammazzo pure a te.

Il R. fu raggiunto, inoltre, da altre frasi pronunciate dagli occupanti della ferrari, quali mo voglio vedere che cazzo devi fare!!!, Fatti i cazzi tuoi che è meglio per te.

Orbene sulla natura minacciosa delle frasi pronunciate non vi può essere alcun dubbio, anche perchè pronunciate da persone violente che pochi attimi prima avevano posto in essere una aggressione ai danni del L.; del resto nemmeno il ricorrente ha posto in dubbio la natura minacciosa delle frasi pronunciate. Il punto centrale del ricorso è costituito dal fatto che, secondo la tesi del ricorrente, non sarebbe ravvisabile il delitto di cui all’art. 337 c.p. sia perchè le minacce non erano preordinate ad interrompere le funzioni del R., sia perchè di fatto dette funzioni non erano state impedite.

La tesi non può essere accolta perchè infondata.

Che le minacce fossero dirette ad impedire l’intervento del R. appare palese dal tenore delle frasi pronunciate dal M., il quale aveva invitato il R. a farsi i fatti propri – fatti i cazzi tuoi – altrimenti lo avrebbe ammazzato – ti ammazzo pure a te -.

Pertanto, tenuto conto della giurisprudenza consolidata sul punto, essendo le minacce non espressione di malanimo e disprezzo, ma intese ad impedire l’attività di istituto del brigadiere, non vi è alcun dubbio che nella condotta posta in essere dal M. sia ravvisabile il delitto di cui all’art. 337 c.p. e non quello di oltraggio.

Anche all’altro profilo denunciato è destituito di fondamento perchè, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, che questo Collegio condivide, il reato di cui all’art. 337 c.p. si consuma con l’uso della violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale che sta compiendo un atto di ufficio, qualora il soggetto attivo si serva di tali mezzi al fine di impedire o comunque ostacolare la condotta del soggetto passivo.

Non occorre, invece, che la minaccia sia stata seguita dalla realizzazione del male ingiusto minacciato, nè occorre ai fini della consumazione del reato che la condotta minacciosa abbia sortito l’effetto voluto di impedire al pubblico ufficiale di portare a termine il compimento dell’atto di ufficio, essendo sufficiente che tale fosse stato l’intendimento del soggetto attivo nel porre in essere la condotta minacciosa.

Ma il ricorrente ha sottolineato che il brigadiere non aveva atti da compiere perchè i reati di violenza privata e lesioni si erano già consumati. Anche questa tesi è destituita di fondamento perchè compito dei Carabinieri è certamente quello di prevenire la consumazione di reati, ma anche quello di assicurare i colpevoli alla giustizia anche procedendo al loro arresto nei casi consentiti e di acquisire immediatamente gli elementi di prova. Ebbene l’invito a farsi i cazzi propri seguito dalle minacce riportate aveva proprio la finalità di impedire al R. il compimento delle importanti funzioni indicate.

Per tutte le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

La Cancelleria è tenuta agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del procedimento;

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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