Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-01-2011) 08-04-2011, n. 14073 Revoca e sostituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 14.7.2008 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Parleremo dispose la custodia cautelare in carcere di C.G. indagato per i reati di estorsione aggravata ex L. n. 152 del 1991, art. 7 in concorso con altri soggetti ai danni di R.A. titolare della compagnia costruzioni mediterranea CCM s.r.crl e di Ci.Ro. titolare della impresa Penta costruzioni e servizi di Ci.

R., fatti per i quali pende giudizio avanti il Tribunale di Sciacca.

Il GIP con ordinanza dell’8.6.2009 rigettava l’istanza di revoca o comunque di attenuazione della misura cautelare; proponeva appello la difesa e il Tribunale di Palermo con ordinanza del 15.7.2009 la rigettava rilevando che i gravi indizi di colpevolezza emergevano univocamente dalle conversazioni ambientali del 10.10.2006, del 20.4. e 27 agosto 2007 e gli stessi non perdevano la loro idoneità per avere le parti offese negato di essere stati costretti a esborsi estorsivi. La Corte di cassazione annullava con rinvio con sentenza del 27.10.2010 n. 11289/20101 osservando che non era stata offerta una motivata risposta alle critiche mosse dal ricorrente sia in ordine alle dichiarazioni rese dalle parti offese sia soprattutto in relazione a quanto riferito da parte di un collaboratore di giustizia, coindagato.

Il Tribunale nell’ordinanza oggi impugnata con la quale è stato rigettato l’appello ricordava che effettivamente le due presunte parti offese avevano negato di avere ricevuto richieste estorsi ve, ma che risultano decisive sul piano indiziario le intercettazioni captate. In una prima tra il ricorrente e il G., coimputato dall’elevato spessore criminale (già condannato in primo grado per avere fatto parte della famiglia mafiosa di Montevago) quest’ultimo precisava chiaramente che la ditta Cinquemani doveva mettersi a posto e il C. lasciava intendere che avrebbe agito in tal senso, cosi come le estorsioni prima ricordate emergevano da altre intercettazioni relative alla Compagnia mediterranea di R. A. nelle quali il ricorrente lasciava intendere che avrebbe svolto il ruolo di mediatore per imporre che la ditta pagasse la somma richiesta (parlandone anche con il Gu., altro coimputato).

Il G. ed il Gu. erano stati condannati per tali fattispecie, qualificate come tentativo.

Privo di rilievo a fronte del tenore molto chiaro delle conversazioni captate era la circostanza che il collaboratore di giustizia Ri.Ca. avesse riferito di non ricordare di avere incassato denaro proveniente dalle due ditte prime indicate e neppure che vi fossero rapporti di affari tra il Gu. e il C. perchè non erano questi i rapporti cui ci si riferiva nelle conversazioni. Del pari, sul piano delle esigenze cauteri, non vi erano elementi nuovi se non il mero decorso del tempo.

Nel ricorso con il primo motivo si deduce la carenza e manifesta illogicità dell’ordinanza impugnata. Non si erano tenuti in considerazione i plurimi, nuovi, elementi intervenuti come le dichiarazioni di un computo collaboratore, le smentite delle parti offese, la derubricazione in tentativo da parte del GUP, l’assoluzione del Gu. per il reato contestato, rispetto al precedente giudicato cautelare. Il R. ha negato non solo di aver pagato, ma anche di essere stato contattato e manca qualsiasi azione concreta addebitabile al C.; considerazioni analoghe vanno svolte per la pretesa estorsione ai danni del Ci.. Emerge che il C. al più si sarebbe attivato per far pagare il Ci., ma non che l’abbia fatto in concreto. Erano stati provati i rapporti commerciali con il Gu..

Circa la sussistenza dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 gli incontri con il Gu. erano addebitagli a comprovati motivi commerciali.

Infine si deduce che sul piano delle esigenze cautelari erano passati ben due anni dall’arresto del C. che è incensurato ed iscritto ad una associazione antiracket e non è indagato per partecipazione ad alcuna associazione di stampo mafioso.
Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua infondatezza, va rigettato.

Nel ricorso si censura l’ordinanza per non avere recepito in realtà le indicazioni della sentenza di annullamento sopra menzionata dalla Suprema Corte. Tali doglianze sono però infondate. Le indicazioni del collaboratore di giustizia sono state prese in attenta considerazione e il Tribunale le ha definite generiche e poco significative posto che il collaboratore ha dichiarato solo di non ricordare di aver incassato denaro provenienti dalle due ditte, ma non l’ha di certo positivamente escluso.

E’ nota la ritrosia delle vittime di estorsioni da parte di associazioni di stampo mafioso nel rivelare la verità dei fatti, posta la capacità di intimidazione delle dette associazioni radicate nel territorio e nell’ambiente sociale. Pertanto con motivazione congrua e logicamente coerente il Tribunale ha superato le dichiarazioni delle parti offese sulla base di quanto è emerso nelle conversazioni captate con personaggi coinvolti in associazioni consimili, conversazioni che attestano il pieno coinvolgimento del ricorrente nella realizzazione delle estorsioni, che sono state qualificate come tentativo solo per i coindagati, ma non per la posizione specifica del ricorrente. Tali dichiarazioni dimostrano la fattiva partecipazione del ricorrente nella realizzazione del fine delle estorsioni prima ricordate e cioè nella consegna del cosidetto "pizzo". Non vi è dubbio che i collegamenti tra il ricorrente ed il Gu. e il G. e le modalità estorsive (richiesta di pizzo a danno di ditte locali) rappresentino solidi elementi per ritenere che si tratti di fatti commessi con l’utilizzazione del "metodo mafioso" I rapporti commerciali con il Gu. sono stati presi in esame e giudicati estranei alla vicenda come emerge anche dagli stralci di una conversazione tra i due riportata nell’ordinanza impugnata. La motivazione appare congrua e logicamente coerente e con essa si risponde puntualmente alle indicazioni della decisione della Suprema Corte. Le censure sono generiche e di mero fatto.

Circa le esigenze cautelari nessun concreto ed importante elemento risulta allegato per vincere la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3: l’iscrizione ad un associazione, ammesso che possa essere di per sè un elemento idoneo, è molto precedente ai fatti per cui è processo.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento; inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al Direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal cit. art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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