T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 01-04-2011, n. 2877 Sanità e igiene

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso n. 6055/10, notificato in data 5 luglio 2010 e depositato il successivo 29 luglio la S. s.p.a., proprietaria della Casa di cura F.M., che opera quasi esclusivamente in regime di accreditamento, ha impugnato la delibera di Giunta regionale n. 304 del 23 giugno 2010 e le note di L. nn. 9021 e 9023 dell’1 luglio 2010.

Espone, in fatto, che con nota del 17 settembre 2009 le è stata data la comunicazione di avvio del procedimento in ordine ad una possibile revoca dell’accreditamento per fatti di rilevanza penale che avevano coinvolto anche l’A.S.L. RM/C. Con successiva nota del 17 dicembre 2009 è stata ad essa comunicata la prossima revoca anche in considerazione della sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per il Lazio, n. 1951 del 2008, con la quale la società è stata, tra l’altro, condannata per danno erariale al pagamento della complessiva somma di Euro 1.533.073,08, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria, a favore dell’Azienda sanitaria locale RM/C.

Con l’impugnata delibera di Giunta regionale n. 304 del 23 giugno 2010 è stata disposta la sospensione cautelare dell’accreditamento.

2. Avverso i predetti provvedimenti la ricorrente è insorta deducendo:

a) Violazione e falsa applicazione artt. 11 e 16 L. reg. Lazio n. 4 del 2003 – Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifesta – Difetto di motivazione.

Il provvedimento di revoca è illegittimo perché non è stato preceduto da un’autonoma valutazione dei fatti addebitati alla società S., ma si fonda esclusivamente sulla sentenza della Corte dei conti, che è stata appellata.

b) Violazione art. 21 bis L. n. 241 del 1990.

La sospensione cautelare dell’accreditamento è stata disposta a far data dal 24 giugno 2010 e, dunque, da epoca anteriore alla comunicazione del provvedimento che l’ha disposta, avvenuta solo il 1° luglio 2010 da parte di L..

3. Con ricorso n. 9199/10, notificato il 20 ottobre 2010 e depositato il successivo 28 ottobre la S. s.p.a. ha impugnato il decreto del Commissario ad acta del Regione Lazio n. 56 del 12 luglio 2010, nella parte in cui, nel relativo documento allegato, sul presupposto della sospensione dell’accreditamento della Casa di cura F.M., la metà dei 29 posti letto di ostetricia e 9 di patologia neonatale è stata collocata presso le UOP del Policlinico Casilino e del Sandro Pertini (7 posti di ostetricia e 2 di patologia neonatale per ciascuna UOP), salvo a ricollocare gli ulteriori 15 posti di ostetricia e 5 di patologia neonatale, nonché il decreto del Commissario ad acta della Regione Lazio n. 59 del 13 luglio 2010, avente ad oggetto la rete Oncologica, nella parte in cui, nel relativo allegato, viene annotato che per la Casa di cura F.M. l’accreditamento è stato sospeso con delibera di Giunta regionale n. 304 del 2010, e di ogni altro atto connesso e consequenziale.

A fondamento dell’illegittimità dette delibere richiama i due motivi dedotti nel ricorso 6055/10.

Ha aggiunto il motivo di difetto di motivazione e di contraddittorietà, confliggendo l’inflitta radiazione dal piano e dalla rete con la precedente sospensione – e non revoca – dell’accreditamento provvisorio.

3. Si è costituita, in entrambi i giudizi nn. 6055/10 e 9199/10, la Regione Lazio, che ha sostenuto l’infondatezza dei ricorsi.

4. L. – Agenzia di Sanità Pubblica, evocata nel giudizio n. 6055/10, non si è costituita.

5. Si è costituito, nel giudizio n. 9199/10, il Commissario ad acta per la sanità della Regione Lazio e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, senza svolgere alcuna attività difensiva.

6. Si è costituita, nel giudizio n. 9199/10, l’Azienda USL Roma B, senza svolgere alcuna attività difensiva.

7. Si è costituita, nel giudizio n. 9199/10, E. s.p.a., senza svolgere alcuna attività difensiva.

8. Con memoria depositata il 18 febbraio 2011 nel ricorso n. 6055/10, la S. s.p.a. ha ribadito le proprie tesi difensive.

9. All’udienza del 23 marzo 2011 le cause sono state trattenute per la decisione.
Motivi della decisione

1. In via preliminare occorre disporre la riunione dei ricorsi nn. 6055/10 e 9199/10, stante la loro connessione soggettiva ed oggettiva.

2. Principiando dall’esame del ricorso n. 6055/10, va sottolineato che la delibera di Giunta regionale n. 304 del 23 giugno 2010 ha disposto la sospensione cautelare dell’accreditamento in relazione ai fatti accertati dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per il Lazio, con sentenza n. 1951 del 10 dicembre 2008, con la quale la società ricorrente era stata, tra l’altro, condannata, in solido con il Rag. Porcari (all’epoca dei fatti suo Amministratore unico) e con l’avv. Aiello (all’epoca dirigente e responsabile dell’ufficio legale dell’Azienda sanitaria RMC) per danno erariale, sub specie di responsabilità diretta, alla complessiva somma di Euro 1.533.073,08, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria, a favore dell’Azienda sanitaria locale RMC. Tale condanna ha, ad avviso della Regione, minato "l’affidamento della struttura in parola e quindi il suo poter continuare ad essere erogatore di servizi per conto dell’Amministrazione regionale", mettendo così in discussione l’accreditamento ad operare quale soggetto affidatario di servizio pubblico. La stessa Regione ha peraltro chiarito che dal punto di vista sanitario alcun addebito è imputabile alla S. s.p.a., che potrà continuare a svolgere l’attività sanitaria in forma privata. Ha infine fatto riserva di rivedere la decisione di sospendere l’accreditamento all’esito del’appello.

Dunque la decisione di sospendere l’accreditamento si fonda sulla sentenza di primo grado del giudice erariale che, con riferimento alla S., ha affermato che "si tratta di una struttura sanitaria che gestisce più case di cura che, nell’amministrare fondi pubblici, ha perseguito fini egoistici e deplorevoli, a danno degli interessi dell’intera collettività".

Privo di pregio è il primo motivo, con il quale la ricorrente afferma che illegittimamente la Regione Lazio non ha fatto precedere il provvedimento impugnato da un’autonoma valutazione dei fatti in relazione ai quali la struttura privata era stata condannata, in primo grado, dalla Corte dei conti, essendosi limitata a recepire acriticamente le conclusioni alle quali il giudice erariale era pervenuto.

Rileva infatti il Collegio che la vicenda fattuale non è mai stata contestata nei suoi accadimenti né è stato messo in dubbio il ruolo da protagonista che ha avuto l’Amministratore unico della società ricorrete.

Stando così le cose, non si vede quale istruttoria avrebbe dovuto effettuare la Regione Lazio e dunque quale omissione le possa essere imputata. I fatti in sé sono sufficienti a supportare la decisione di adottare – in via cautelativa – una sospensione dell’accreditamento, in attesa della definizione giudiziale della controversia.

Ritiene anzi il Collegio che la Regione ha dato prova di aver ben valutato le conseguenze che la revoca dell’accreditamento avrebbe avuto sulla Casa di Cura F.M. (e sul suo numeroso personale) ed ha cautelativamente deciso di adottare un provvedimento di carattere temporaneo, auspicando in un esito favorevole dell’appello, che restituisse fiducia e credibilità alla società.

Non è poi assecondabile la tesi di parte attorea secondo cui anche dalla sentenza della Corte dei conti non si evincerebbe un comportamento della società tale da minare il suo affidamento. Tale conclusione è infatti vera solo per quanto attiene all’aspetto prettamente sanitario. Ma di ciò è ben consapevole la Regione, che non ha mosso alcun addebito in relazione all’efficienza prettamente sanitaria della Casa di cura, tanto è vero che l’autorizzazione ad operare non è stata sospesa. Oggetto del provvedimento cautelare è solo l’accreditamento, che condivisibilmente la Regione decide di accordare alle sole strutture che danno garanzia di correttezza e di capacità. Dalla ricostruzione che emerge dalla sentenza del giudice erariale risulta che la società ha dimostrato di non saper vigilare sull’operato del proprio Amministratore, che è riuscito ad organizzare una frode a danno del Servizio sanitario senza che gli organi di controllo della società se ne avvedessero.

Contrariamente a quanto afferma parte ricorrente nei propri scritti difensivi, depositati in vista dell’udienza di merito, non è in grado di scalfire la legittimità del provvedimento impugnato la sentenza della Corte dei conti, sezione centrale di appello di Roma n. 539 del 22 settembre 2010 intervenuta nel corso di questo giudizio. Tale sentenza – modificando in parte qua la decisione di primo grado – ha addebitato alla società un comportamento inficiato da colpa grave e non più da dolo. In particolare, l’imputazione è di culpa in vigilando. "Certamente è mancato, in capo ai proprietari della società – agli azionisti riuniti in assemblea e anche uti singuli – il doveroso svolgimento di attività di controllo dell’operato dell’amministratore unico, proprio al fine, nel’interesse della stessa società, che essa non venisse impiegata e piegata al raggiungimento di fini personali, come è avvenuto".

L’inconferenza di detta decisione, ai fini del decidere, emerge sotto due distinti profili.

In primo luogo perché è successiva al provvedimento impugnato ed è noto che la legittimità di un atto va accertata con riferimento all’epoca in cui lo stesso è stato adottato. Si tratta, come si è detto, di un provvedimento cautelare disposto all’indomani della sentenza di condanna della Corte dei conti e che si fonda sul dovere, che fa capo a chi eroga denaro pubblico, di affidare quest’ultimo a soggetti che diano dimostrazione di comprovata affidabilità. La società ricorrente non si è avveduta che il proprio Amministratore unico, approfittando del posto ricoperto, aveva frodato il Servizio sanitario nazionale emettendo una fattura relativa ad un credito inesistente.

In secondo luogo, e soprattutto, perché la sentenza della Corte dei conti di appello non ha mandato assolto la ricorrente dagli addebiti ma ha solo derubricato l’elemento soggettivo del capo di imputazione, da comportamento doloso a colposo, sub specie di culpa grave in vigilando, il che, con riferimento ad una struttura alla quale, in virtù di un rapporto fiduciario, è assegnato denaro pubblico, è un’accusa tutt’altro che trascurabile.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto che illegittimamente L., con le impugnate note nn. 9021 e 9023 del 1 luglio 2010, ha fatto decorrere la sospensione cautelare dell’accreditamento dal 24 giugno 2010 e, dunque, da epoca anteriore alla ricezione della delibera di GR n. 304 del 23 giugno 2010 che l’ha disposta, comunicata solo il 1° luglio 2010 e ricevuta il successivo 2 luglio.

Il motivo è fondato, non potendo la sospensione dell’accreditamento decorrere retroattivamente ad un momento anteriore alla sua conoscenza, da parte della ricorrente. Quest’ultima, infatti, nell’arco temporale intercorrente tra la data di efficacia della sanzione (24 giugno 2010, secondo le note di L. nn. 9021 e 9023 dell’1 luglio 2010) e quella della sua ricezione, avvenuta il 2 luglio 2010, potrebbe aver accettato ricoveri in regime di accreditamento senza sapere di non avere più la copertura regionale.

4. Passando all’esame del ricorso n. 9199/10, è inammissibile il primo motivo, con il quale la soc. S. si riporta ai vizi già dedotti nel ricorso n. 6055/10 senza riassumerli. Ed è noto che è inammissibile il motivo di ricorso che si limita ad un generico richiamo ai vizi già denunciati con precedente ricorso del quale non si propone né un riassunto né una spiegazione, sicché non è possibile ricostruirne il contenuto ai fini dell’intellegibilità della censura.

Né tale profilo di inammissibilità può ritenersi sanato per effetto della riunione dei due ricorsi disposta dal Collegio, atteso che detta riunione, effettuata per ragioni di economia processuale, non incide sull’autonomia, a fini decisori, dei due ricorsi.

5. E’ invece infondato il secondo motivo, atteso che le impugnate delibere del Commissario ad acta della Regione Lazio nn. 56 del 12 luglio 2010 e 59 del 13 luglio 2010 assumono come presupposto la sospensione dell’accreditamento disposta con delibera di Giunta regionale n. 304 del 23 giugno 2010, sospensione che ha resistito ai dedotti profili di illegittimità, salvo sotto il profilo della decorrenza, profilo che non rileva agli effetti della perdita dei posti letto di ostetricia e di patologia neonatale.

6. Giova peraltro precisare che l’impugnato provvedimento regionale ha carattere solo temporaneo, nel senso che i suoi effetti di sospensione dell’accreditamento sono stati dichiaratamente limitati all’arco temporale precedente la sentenza del giudice di appello, dopo la quale la Regione si è riservata di adottare una deliberazione definitiva, che allo stato non risulta ancora intervenuta.

7. Le spese di entrambi i giudizi, considerata la questione oggetto della controversia, possono essere integralmente compensate fra le parti costituite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sui ricorsi nn. 6055/10 e 9199/10, come in epigrafe proposti: a) li riunisce; b) accoglie il ricorso n. 6055/10 nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla le note di L. nn. 9021 e 9023 del 1 luglio 2010 nella parte in cui individuano al 24 giugno 2010 la decorrenza della delibera di DGR n. 304 del 23 giugno 2010; c) respinge il ricorso n. 9199/10.

Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari di entrambi i giudizi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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