Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 01-04-2011) 11-04-2011, n. 14412

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con il ministero dei difensori l’imputato B.L. impugna per cassazione l’indicata sentenza della Corte di Appello di Ancona, che ha confermato la sentenza in data 1.2.2007 con cui il g.u.p. del Tribunale di Urbino lo ha riconosciuto colpevole di concorso in falsa testimonianza per avere "istigato" il proprio dipendente D.M. M. a dichiarare -testimoniando il 3.3.2003 davanti al Tribunale di Urbino, in una causa civile risarcitoria promossa dal B. per un incidente avvenuto tra la sua vettura e quella guidata da F.S. il (OMISSIS) – più circostanze mendaci sulla dinamica del sinistro. Concorso morale, quindi, nel reato di cui all’art. 372 c.p., per il quale – all’esito di giudizio abbreviato incondizionato – il B. è stato condannato, con attenuanti generiche stimate prevalenti sulla recidiva, alla pena di dieci mesi e venti giorni di reclusione.

In punto di fatto la penale responsabilità del ricorrente è stata affermata dalle due conformi decisioni di merito in base alla conclamata falsità della deposizione testimoniale resa dal D. M., emersa sia nel giudizio civile (ove la convenuta F. ha riferito di essere la vittima dell’incidente prodotto dal B., tanto da essere stata risarcita dall’assicurazione dell’imputato), sia soprattutto nel susseguente giudizio penale svoltosi per il reato di falsa testimonianza nei confronti di D.M.M., condannato con sentenza definitiva alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione.

In particolare la patente falsità della dinamica dell’incidente riferita dal D.M., che ha affermato -mentendo- di aver seguito l’auto del B. con la propria macchina (laddove non vi sono stati testimoni oculari del sinistro, all’infuori dei due conducenti e della figlia della F.), è stata desunta in termini inequivoci: a) dai rilievi fotoplanimetrici e dalle tracce degli pneumatici (scarrocciamento) lasciate sul suolo dalle vetture del B. e della F. riscontrate dai Carabinieri di Cagli; b) dagli esiti della consulenza tecnico-dinamica di ufficio disposta nella causa civile, che ha ricondotto all’esclusiva responsabilità del B. l’incidente (invasione della corsia di marcia della F. in una curva senza visibilità); c) dall’avere lo stesso B. al momento del sinistro escluso ai sopravvenuti carabinieri la presenza di eventuali testimoni.

Attesa la pregiudiziale accertata falsità della testimonianza del D.M. (la sentenza penale irrevocabile nei suoi confronti è stata acquisita agli atti per gli effetti di cui all’art. 238 bis c.p.p.), la condotta istigatoria (concorso morale) dell’imputato nella falsità della testimonianza resa dal D.M. è stata argomentata alla stregua di coesistenti dati probatori costituiti;

1) dal complessivo contegno assunto dal B., promuovendo una causa civile di danno (poi estinta prima della decisione) quando già la sua assicurazione aveva risarcito il danno da lui prodotto alla controparte nel sinistro autoveicolare; causa civile connotata, se non da intenti di frode, certamente (come si afferma nella sentenza di condanna del D.M.) da "temerarietà";

2) dall’assenza da parte del D.M. di qualsivoglia diretto personale interesse nel dichiarare il falso, condotta che egli ha tenuto con il solo intento di favorire o agevolare le infondate pretese risarcitorie del B., subendo l’ovvio condizionamento psicologico connesso alla sua posizione di dipendente del B. all’epoca dei fatti;

3) dall’essere il solo B. l’unica possibile fonte conoscitiva e propositiva delle false indicazioni sulla dinamica del sinistro (avvenuto in assenza di effettivi testimoni oculari) trasfuse dal D. M. nella sua testimonianza davanti al giudice civile.

2.- Con il ricorso contro la sentenza di secondo grado si adducono i vizi di violazione di legge e carenza ed illogicità della motivazione di seguito riassunti ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 1. Mancanza o insufficienza di motivazione.

A fronte della generica contestazione di concorso morale in falsa testimonianza mossa al B. la Corte di Appello ha ritenuto di confermare la condanna comminata all’imputato, pur non essendovi prova alcuna nè che il B. e il D.M. si siano "recati insieme avanti all’istruttore civile a rendere falsa testimonianza" (il B. non era presente all’udienza tenutasi il 3.3.2003 in cui ha testimoniato il D.M.), nè che il testimone sia stato istigato dal B.. I giudici di secondo grado non hanno affrontato le problematiche esposte con l’impugnazione avverso la sentenza di primo grado, limitandosi a fondare la responsabilità dell’imputato sulla base del solo criterio di un suo preteso interesse al falso dichiarato dal D.M.. Ma si tratta di tesi non sorretta da reale concretezza, cioè di un "semplice teorema nè provato nè dimostrato". 2. Contraddittorietà e illogicità della motivazione.

I pretesi indizi ravvisati dalla Corte territoriale non sono precisi e non sono concordanti, perchè l’unico indizio è rappresentato dal supposto interesse del B. al falso, essendo l’unico soggetto ad esserne in qualche modo "favorito". In dissonanza con il g.u.p. del Tribunale di Urbino, che aveva ritenuto esservi prova della responsabilità dell’imputato come istigatore e compartecipe della falsa testimonianza, la sentenza di appello fa riferimento a indizi gravi, precisi e concordanti e, dunque, non a concreti elementi di prova.

3. Erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2.

Non vi è prova piena della responsabilità del B. e non vi è pluralità di indizi della stessa, in assenza di utili e positivi riscontri della ipotizzata opera istigatrice dell’imputato.

4. Erronea applicazione degli artt. 110 e 372 c.p., art. 192 c.p.p., commi 1 e 2.

I canoni dell’interesse o del "giovamento" astrattamente derivante al B. dalla testimonianza falsa sono dei meri postulati, che non assurgono a dignità di prova del concorso dell’imputato "nel fatto esclusivo del teste". Nulla impedisce di supporre, da un lato, che il D.M. abbia dichiarato sua sponte al B. di aver assistito all’incidente e di poter testimoniare il suo favore allo scopo di ingraziarsi la benevolenza del datore di lavoro e, da un altro lato, che il D.M. sia stato davvero presente al sinistro o lo abbia visto, non potendosi assolutizzare l’iniziale diniego del B. circa l’assenza di testimoni all’incidente stradale per mancanza di una sua sufficiente "lucidità" nell’immediatezza del fatto, sì da potersi non essere reso ben conto delle modalità dell’incidente.

5. In via subordinata il reato ascritto all’imputato deve considerarsi ormai attinto da causa estintiva per intervenuta prescrizione (decorso del termine prorogato di sette anni e sei mesi) alla data del 3.9.2010. 3.- Il ricorso proposto nell’interesse di B.L. va dichiarato inammissibile.

Le delineate censure si rivelano generiche (id est aspecifiche), nella parte in cui rievocano tematiche di mero spessore fattuale e doglianze già espresse con i motivi di appello, pur idoneamente vagliati e disattesi dai giudici di secondo grado (e -prima ancora, va aggiunto- dallo stesso giudice di primo grado), nonchè palesemente infondate, perchè in tutta evidenza contraddette dal lineare e logico percorso decisorio confermativo della sentenza di primo grado esposto nella motivazione dell’impugnata sentenza.

I primi generici quattro motivi di ricorso, integrati dalla acritica replica dei motivi di gravame sottoposti alla Corte di Appello, costituiscono l’articolazione di un unitario motivo di censura di esclusivo carattere motivazionale, imperniato sulla addotta mancanza di prova della responsabilità concorrente del B. nella falsità testimoniale consumata da D.M.M.. Responsabilità che sarebbe stata fondata soltanto sul criterio dell’interesse del B. sottostante alle menzognere dichiarazioni rilasciate dal D. M..

Ma la sentenza della Corte territoriale e la sentenza di primo grado, che nella loro omogeneità valutativa delle fonti di prova vanno lette congiuntamente, dando vita ad un unitario compendio probatorio e analitico, hanno correttamente applicato i criteri di apprezzamento della prova indiziaria, sulla cui base è stata affermata la responsabilità del B. per concorso morale, con la indicazione di oggettive e complementari evenienze correlate alla complessiva ricostruzione della vicenda processuale.

Conviene osservare, a dimostrazione dell’inconsistenza e illogicità dei rilievi espressi con il ricorso, che l’accompagnamento o meno del D.M. da parte del B. all’udienza civile in cui lo stesso ha testimoniato è dato di assoluta irrilevanza (proprio in rapporto alla contestazione di una condotta di concorso morale) e che la ricostruita dinamica dell’incidente stradale di cui si è reso protagonista il B. sviluppata dalla perizia tecnica svolta nella causa civile consente di escludere con certezza che, in via mera ipotesi, quand’anche il D.M. avesse seguito ad una certa distanza l’autovettura del B., giammai sarebbe stato in grado – per la conformazione della sede stradale e dello stato dei luoghi- di percepire il contegno di guida dell’autovettura della F. marciante in senso contrario a quello del B. (donde l’ulteriore indiscussa falsità delle attestazioni del testimone, ormai sancita da sentenza definitiva, come il ricorso sembra dimenticare).

Se nel concorso morale nel reato ex art. 110 c.p. la partecipazione del concorrente indiretto o morale consiste nell’aver provocato e promosso l’altrui materiale condotta criminosa ovvero nell’averne rafforzato la progettata attuazione, non è revocabile in dubbio che la sola relazione di causalità materiale od oggettiva rispetto alla produzione dell’evento lesivo (nel caso di specie la falsità della testimonianza che integra, come noto, un reato di pericolo) non esaurisce lo spettro di indagine del giudice di merito, occorrendo al riguardo anche una adeguata disamina ricompositiva dell’atteggiamento psicologico del concorrente morale o istigatore.

Questa è la disamina che è stata esattamente condotta dalle due sentenze di merito e sulla base della quale le stesse sono pervenute alla concorde decisione di colpevolezza del ricorrente. In vero all’elemento dell’interesse diretto dell’imputato alla falsa dichiarazione del testimone, dato non seriamente confutabile, i giudici di merito hanno coniugato, ripercorrendo la determinazione fomentatrice della falsità dichiarativa del D.M. (istigazione), lo stato di condizionamento del D.M. per essere un lavoratore dipendente dell’imputato e soprattutto l’evenienza che i fatti e le circostanze falsamente narrate dal D.M. possano essergli state rappresentate, quanto alle artefatte e non veridiche modalità dell’incidente stradale che lo riguarda, dal solo imputato B..

Di tal che adeguatamente e con efficace logica inferenziale il Tribunale prima e la Corte di Appello poi hanno ricomposto la partecipazione del ricorrente alla fase ideativa e preparatoria del reato di falsa testimonianza commesso, quale – in sostanza – mero nuncius o veicolo dei propositi giudiziari e risarcitoli del B. – dal testimone D.M. (cfr. Cass. S.U. 30.10.2003 n. 45276, Andreotti, rv. 226101).

D’altro canto in tema di concorso ideale o morale non è possibile sul piano logico pretendere in ogni caso la prova positiva, oggettivamente non sempre possibile, dell’adesione di volontà previa del concorrente nell’azione materiale (nel caso di specie testimonianza) del correo, essendo al riguardo sufficiente – sul piano indiziario ed in uno ai convergenti dati individuati per il B. prima descritti – constatare, come ritenuto dall’impugnata sentenza di secondo grado, che senza il sottostante intervento propulsivo del B. il D.M. non si sarebbe indotto a dichiarare il falso, una volta citato nella causa civile come testimone su indicazione del proprio datore di lavoro, in corretta applicazione del temperato criterio eziologico della causalità efficiente della condotta del concorrente morale.

La genetica inammissibilità dei dedotti motivi di ricorso, impedendo l’istaurarsi di un valido rapporto impugnatorio, preclude la rilevazione e declaratoria dell’attuale sopravvenuto spirare (successivo all’impugnata decisione di secondo grado) del termine di prescrizione per il reato ascritto al ricorrente (Cass. S.U. 27.6.2001 n. 33542, Cavalera, rv. 219531; Cass. S.U., 22.3.2005 n. 23428, Bracale, rv. 231164).

Alla dichiarata inammissibilità dell’impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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