T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 01-04-2011, n. 567 Bellezze naturali e tutela paesaggistica Legittimazione processuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con un primo ricorso a questo Tribunale, notificato il 17 ottobre 2007, depositato il successivo 26 ottobre e iscritto al n.r.g. 1690/2007, il Comitato in epigrafe, premettendo considerazioni sulla propria legittimazione ad agire, chiedeva l’annullamento dei provvedimenti, pure evidenziati in epigrafe, con cui la Provincia di Arezzo, in data 31 dicembre 2003, aveva autorizzato, con prescrizioni, la C. spa all’esercizio delle operazioni di gestione dei rifiuti, fino al 31 dicembre 2008, presso l’impianto di smaltimento e recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, da lei gestito in Comune di Civitella in Val di Chiana e con cui, in data 21 agosto 2007, ne aveva disposto l’integrazione per ulteriori quantitativi massimi.

Il Comitato ricorrente, in sintesi, lamentava quanto segue:

"Violazione dei principi di precauzione – Violazione e falsa applicazione art. 32 Cost. – Violazione e falsa applicazione della normativa comunitaria, nazionale e regionale sulla valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale (AIAIPPC) – Eccesso di potere per carenza istruttoria – Sviamento di potere".

I provvedimenti apparivano illegittimi sia perché non tenevano conto della previsione normativa che, a fronte della tipicità dell’impianto in questione, sanciva l’obbligo di previa procedura di v.i.a. sia perché la configurazione dell’impianto stesso aveva comportato modifiche essenziali che richiedevano tale obbligatoria procedura.

Inoltre, il Comitato ricorrente chiedeva anche la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno ingiusto verificatosi in capo ai soggetti facenti parte del medesimo e tutti residenti nelle vicinanze dell’impianto, a causa del superamento di limiti massimi consentiti per diverse sostanze inquinanti, riscontrato anche dall’ARPAT di Arezzo.

Con separata istanza, notificata il 6 dicembre 2007 e depositata il successivo 18 dicembre, il Comitato ricorrente chiedeva anche la sospensione dei provvedimenti impugnati, rappresentando quali elementi di pericolo i richiamati sforamenti di concentrati inquinanti.

Si costituiva in giudizio la Provincia di Arezzo, rilevando primariamente la tardività del ricorso, in riferimento all’impugnato provvedimento del dicembre 2003, e l’inammissibilità dello stesso, in riferimento a quello dell’agosto 2007, perché l’efficacia dello stesso era limitata all’anno 2007 ed era superata dall’intervenuta autorizzazione integrata ambientale rilasciata alla C. spa.

Quest’ultima pure si costituiva in giudizio, con memoria di pura forma, rilevando la carenza di legittimazione nonchè l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso, come successivamente illustrato in una memoria depositata il 15 gennaio 2008.

Alla camera di consiglio del 16 gennaio 2008, la trattazione della domanda cautelare era rinviata, su istanza di parte ricorrente, a quella del merito della controversia.

Con motivi aggiunti ritualmente notificati e depositati il 18 febbraio 2008, il Comitato ricorrente chiedeva anche l’annullamento del provvedimento dirigenziale provinciale del 6 dicembre 2007 con il quale era rilasciata alla C. spa l’autorizzazione integrata ambientale per l’impianto in questione.

In particolare il Comitato, richiamando integralmente i motivi di cui al ricorso introduttivo che riteneva applicabili anche al nuovo provvedimento impugnato, lamentava ulteriormente:

"III Motivo. Nullità della emessa autorizzazione integrata ambientale".

Richiamando la differenza ontologica tra procedimento per la v.i.a. e procedimento per il rilascio dell’a.i.a., il Comitato ricorrente riteneva che nel caso di specie il primo non aveva preceduto il secondo, non potendosi neanche dare luogo a v.i.a. in ratifica, essendo la valutazione ambientale un presupposto preliminare e preventivo dell’autorizzazione in questione.

"Violazione di legge".

L’a.i.a. rilasciata violava in modo palese i principi della disciplina sulle emissioni in atmosfera, consentendo di immettere inquinanti senza alcun valore limite nei periodi di avviamento e di spegnimento né qualificava la potenzialità massima termica del forno, come imposto dal d.lgs. n. 133 del 2005, art. 5, comma 6, ma fissava dei parametri presuntivi sulla base del flusso di rifiuti, consentendo così in futuro la possibilità di aggirare la normativa e di mutare il flusso dei rifiuti senza svolgere una procedura di v.i.a.. Inoltre non trattava in alcun punto gli scarichi ed i valori relativi per le acque di lavaggio dei fumi, in violazione della normativa del "codice ambiente" sugli scarichi e senza fissazione di ulteriori parametri, e rimandava a successivi provvedimenti, non noti, da parte del Comune l’integrazione in materia di inquinamento acustico, senza neanche il necessario approfondimento in sede istruttoria dell’esame della nutrita documentazione depositata nel corso del procedimento.

Le altre parti costituite depositavano memorie ad ulteriore sostegno ed illustrazione delle proprie eccezioni e tesi difensive di merito. In particolare la C. spa estendeva ad un terzo difensore il mandato difensivo.

La pubblica udienza del 14 ottobre 2009 era rinviata su istanza di parte per consentire la trattazione organica nella medesima udienza con altri ricorsi proposti in relazioni ai medesimi provvedimenti impugnati nella presente sede.

Con un secondo ricorso, notificato il 29 maggio 2010, depositato il successivo 10 giugno e iscritto al r.n.g. 951/2010, il medesimo Comitato chiedeva l’annullamento del provvedimento dirigenziale provinciale nel frattempo adottato il 16 marzo 2010 con il quale era stata rilasciata una nuova a.i.a. per l’impianto della C. spa, in sostituzione di quella del 2007 oggetto dei precedenti motivi aggiunti.

Ripercorrendo le premesse del contenzioso e insistendo sulla propria legittimazione processuale a ricorrere, il Comitato ricorrente lamentava quanto segue.

"I. Violazione dei principi di precauzione – Violazione e falsa applicazione art. 32 Cost. – Violazione e falsa applicazione della normativa comunitaria, nazionale e regionale sulla valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale (AIAIPPC) – Eccesso di potere per carenza istruttoria – Sviamento di potere".

Il Comitato ricorrente, in sostanza, riproponeva il primo motivo del ricorso n. 1690/2007, rimarcando che l’a.i.a. non assorbe la v.i.a., che quest’ultima la deve precedere e che, nel caso di specie, tale rapporto di consequenzialità non era stato rispettato, ricorrendo un’ipotesi di modifica sostanziale dell’impianto, ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 152/06, come novellato nel 2008.

Analogamente al primo ricorso, anche in questo il Comitato ricorrente concludeva l’esposizione chiedendo il risarcimento del danno subito dai proprietari di immobili finitimi facenti parte del Comitato medesimo.

Si costituivano anche in questo giudizio la Provincia di Arezzo e la C. spa, chiedendo la reiezione del ricorso.

In prossimità della nuova udienza di merito del 22 dicembre 2010, rinviata dal 26 ottobre 2010, tutte le parti depositavano memorie a sostegno delle rispettive tesi ed eccezioni difensive.

Alla pubblica udienza del 22 dicembre 2010, quindi, le cause erano trattenute in decisione.
Motivi della decisione

Il Collegio ritiene di disporre la riunione dei due ricorsi al fine di deciderli con un’unica sentenza, attesa la connessione soggettiva e parzialmente oggettiva dei medesimi in relazione ai motivi di ricorso proposti.

Il Collegio, passando all’esame del primo ricorso, deve considerare le eccezioni preliminari sollevate e ritiene fondata quella di carenza di legittimazione attiva del Comitato ricorrente.

Il Collegio, infatti, secondo l’orientamento recente di questo Tribunale (TAR Toscana, Sez. I, 2.12.10, n. 6710), evidenzia che la legittimazione a ricorrere sussiste in quanto un soggetto giuridico possa vantare la titolarità di una posizione incisa dell’azione amministrativa e ciò non accade quando un comitato spontaneo di cittadini è invece caratterizzato da una forma associativa temporanea, essendo volto alla protezione dei soggetti che ne sono parte e non ha una sua personalità giuridica distinta da questi ultimi, né può ritenersi dotato di quel carattere di stabilità consistente nel fatto di svolgere all’esterno la propria attività da tempo ed in via continuativa (Cons. Stato, Sez.V, 23.4.07, n.1830; Sez. VI, 11.7.08, n. 3507).

Nel caso di specie il Collegio rileva la circostanza che la costituzione del Comitato ricorrente sia avvenuta solo il 9 settembre 2007, pochi giorni prima della proposizione del ricorso n. 1690/2007.

Come ricordato, la giurisprudenza ha affermato che deve essere esclusa la legittimazione ad agire dei comitati istituiti in forma associativa temporanea, con scopo specifico e limitato, costituenti una mera proiezione degli interessi dei soggetti che ne fanno parte e che quindi non sono portatori in modo continuativo di interessi diffusi radicati nel territorio. Diversamente si consentirebbe una sorta di azione popolare che non é ammessa dall’ordinamento (T.A.R. Lazio Lt I, 8.7.09, n. 670; T.A.R. Puglia, Ba, Sez. III, 15.4.09, n. 866).

Nel caso di specie, al momento della proposizione del ricorso, non può ritenersi "radicato" nel territorio il Comitato ricorrente, costituitosi solo nel settembre 2007, come detto.

Il Collegio, inoltre, ribadendo recente specifica giurisprudenza di questa Sezione (TAR Toscana, Sez. II, 21.1.11, n. 121 e 31.8.10, n. 5144), evidenzia che, in generale, le associazioni ambientaliste, non comprese nell’elenco di cui all’art. 13 della legge n. 349 del 1986, sono legittimate a impugnare i provvedimenti lesivi di interessi ambientali qualora perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale, abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità, abbiano un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso.

Come ricordato nelle due sentenze ora richiamate, anche se è vero che l’affidamento al Ministero dell’ambiente, ex art. 13 l. 8 luglio 1986 n. 349, del potere di accertamento della legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste e dei comitati non esclude la possibilità per il giudice di valutare, caso per caso, la sussistenza della legittimazione in capo ad una determinata associazione ad impugnare provvedimenti lesivi di interessi ambientali – come riconosciuto dallo stesso Comitato ricorrente citando Cons. Stato, Sez. IV, 21.11.05, n. 6467 – la verifica di tale capacità di agire, anche in relazione all’art. 18 l.n. 349/86, è comunque assoggettata a precise e circoscritte condizioni (Cons. Stato, Sez. IV, 2.10.06, n. 5760 e 19.2.10 n. 1001), diversamente configurandosi un’azione popolare non prevista dall’ordinamento.

In concreto, contrariamente a quanto pur suggestivamente e diffusamente illustrato negli scritti difensivi del Comitato ricorrente, un’associazione non riconosciuta, territorialmente delimitata, deve garantire il possesso dei requisiti, quanto a scopo, rappresentanza, articolazione territoriale, non occasionalità o contingibilità, attività costante di promozione di iniziative volte all’accrescimento dell’interesse verso valori ambientali propri del territorio di riferimento non dissimili, nel dovuto rapporto rispetto all’ambito territoriale di riferimento, a quelli propri delle associazioni riconosciute, essendo stati tali requisiti individuati dalla legge in via eccezionale e nella giusta mediazione – a temperamento del principio di personalità dell’azione in riferimento alla protezione di un interesse personale e attuale – come condizione necessaria al riconoscimento di un’iniziativa processuale a tutela di interessi ambientali coinvolgenti interessi diffusi della collettività.

Diversamente, difetterebbe l’elemento di collegamento soggettivo con l’insieme degli interessi diffusi aventi a riferimento i valori ambientali da promuovere e perseguire, i quali solo divenendo stabilmente propri del soggetto esponenziale non sarebbero più adespoti e come tali lasciati all’esclusiva cura della pubblica amministrazione (di questa Sezione, n. 5144/10 cit.).

Nel caso di specie non si riscontrano in capo al Comitato ricorrente i suddetti integrali requisiti.

Infatti è" depositato in atti l’atto costitutivo in cui si legge (art. 2) che il medesimo "…persegue il fine della solidarietà civile, culturale e sociale e che ha lo scopo di tutelare in via continuativa e stabile la salute dei cittadini e l’ambiente nel territorio della Val di Chiana" (come da modifica del Consiglio Direttivo del 1 ottobre 2007) ma tali profili appaiono del tutto generici, in assenza di prova della effettiva e consolidata rappresentatività fondata sul collegamento stabile con il territorio interessato che deve però consolidarsi, obiettivamente, in un periodo di tempo significativo, che nel caso di specie è essente in quanto il Comitato risulto costituito solo il 9 settembre 2007.

La carenza di adeguata consistenza e rappresentatività degli interessi considerati, inoltre, deve valutarsi anche con riferimento al numero degli associati (T.A.R. Toscana, Sez. II, 5.2.98, n. 145) e questi, a quel che risulta nell’atto costitutivo, erano solo in numero di tredici.

Quel che traspare dall’atto costitutivo è, quindi, solo un’iniziativa di poco anteriore alla proposizione del ricorso n. 1690/2007 – pur essendo l’impianto autorizzato da tempo – e quindi strumentalmente finalizzata al promuovimento dell’azione giurisdizionale che di li a poco sarebbe stata intentata, con la conseguenza che ciò non consente di ritenere la legittimazione del Comitato ricorrente (Tar Toscana, Sez. II, n. 5144/10 cit.).

Ad analoga conclusione deve pervenirsi anche in riferimento al ricorso n. 951/10.

E’ vero, infatti, che nel frattempo erano decorsi circa tre anni dalla proposizione del precedente ricorso e dei motivi aggiunti, ma è altrettanto vero che non risulta dimostrato che, nel frattempo, il Comitato ricorrente abbia dato luogo ad una costante opera di radicamento nel territorio e di proposizione di iniziative a sostegno dello scopo sociale in tutte le sedi indicate nell’atto costitutivo depositato in giudizio.

Nella specie, oltre a quanto dedotto in precedenza in merito al ricorso n. 1690 del 2007, si richiamano nuovamente i principi generali in argomento sintetizzati dalla giurisprudenza cui il Collegio ritiene di aderire.

Può considerarsi indirizzo, infatti, ormai consolidato quello secondo cui l’interesse diffuso si trasforma in interesse collettivo, e diventa, quindi, interesse legittimo tutelabile in giudizio, solo nel momento in cui, indipendentemente dalla sussistenza della personalità giuridica, l’ente dimostri la sua rappresentatività rispetto all’interesse che intende proteggere. Rappresentatività che deve essere desunta da una serie di indici elaborati – non senza contrasti in effetti – dalla giurisprudenza nel corso degli ultimi anni.

In particolare, è stato evidenziato che se deve trattarsi di un ente il cui statuto preveda come fine istituzionale la protezione di un determinato bene a fruizione collettiva, cioè di un dato interesse diffuso o collettivo, l’ente medesimo deve essere in grado, per la sua organizzazione e struttura, di realizzare concretamente le proprie finalità ed essere dotato di stabilità, nel senso che deve svolgere all’esterno la propria attività in via continuativa (Cons. Stato, Sez. VI, 11.7.08, n. 3507). L’azione, pertanto, deve assumere connotazioni tali da creare in capo all’ente una situazione sostanziale meritevole di tutela, al fine di escludere la legittimazione a ricorrere delle c.d. "associazioni di comodo", la cui attività non riflette effettive esigenze collettive e continuative (TAR Campania, Sa, Sez. II, 20.12.10, n. 13718).

Infine, l’organismo collettivo deve essere portatore di un interesse localizzato, nel senso che deve sussistere uno stabile collegamento territoriale tra l’area di afferenza dell’attività dell’ente e la zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso ("criterio della c.d. vicinitas").

Ebbene, il Collegio rileva che ancora al momento della proposizione del ricorso in esame non risulta che il Comitato ricorrente avesse svolto attività significative da cui desumere l’esistenza di un’azione stabile e continuativa a sostegno dell’interesse di riferimento.

Non risultano, infatti, iniziative specifiche – quali ulteriori ricorsi giurisdizionali relativi ad altre problematiche, convegni, visite guidate, borse di studio o altro – cui fare riferimento per dimostrare la legittimazione del Comitato ricorrente, considerando che i presupposti processuali – tra cui rientra senz’altro la legittimazione ad agire – devono sussistere al momento della proposizione della domanda e non possono essere desunti da eventi verificatisi successivamente (Cons. Stato, Sez. VI, n. 3507/08 cit.).

Non è tanto, quindi, il numero degli associati a rilevare – che il Comitato ricorrente afferma di essere nell’ordine delle centinaia – ma la costanza e varietà delle iniziative assunte che si assumono come elementi qualificanti ai fini della legittimazione a ricorrere.

Poiché, per costante principio giurisprudenziale, la prova della legittimazione attiva incombe sulla parte ricorrente (C.G.R.S., 13.12.10, n. 1477; TAR Valle Aosta, 18.3.99, n. 56; TAR Veneto, Sez. I, 12.5.93, n. 445; Tar Lazio, Sez. III, 20.6.91, n. 337), per quanto dedotto, deve quindi concludersi nel senso che, al momento della proposizione del secondo ricorso, il Comitato ricorrente era privo di effettiva rappresentatività rispetto all’interesse che intendeva proteggere, in quanto la sua azione risultava carente di stabilità e continuità, non potendo dirsi che il Comitato abbia svolto attività significative da cui desumere l’esistenza di un’azione caratterizzata nel senso illustrato.

Alla luce delle precedenti deduzioni, quindi, il ricorso n. 1690/2007 ed i relativi motivi aggiunti nonché il ricorso n. 951/2010 devono essere dichiarati inammissibili per carenza di legittimazione attiva.

Ne consegue che anche la domanda risarcitoria collegata non può trovare accoglimento.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sui ricorsi ed i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:

1) dispone la riunione dei due ricorsi;

2) li dichiara inammissibili per carenza di legittimazione attiva;

3) rigetta la domanda risarcitoria;

4) condanna il Comitato ricorrente a corrispondere alla Provincia di Arezzo ed alla C. spa le spese di lite, che liquida in euro 2.000,00 oltre accessori di legge per ciascuna.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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