Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-03-2011) 11-04-2011, n. 14241

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 24 maggio 2010, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa il 4 dicembre 2009 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Acqui Terme nei confronti di D.L.A. e D.L.M., ha assolto D. L.A. e D.L.M. dal reato di cui all’art. 416 c.p. di cui al capo A2) perchè il fatto non sussiste; ha assolto D.L. A. dal reato di estorsione di cui al capo E2) per non aver commesso il fatto; ha assolto D.L.M. dal reato di estorsione di cui al capo Q2) per non aver commesso il fatto e, riconosciute ad entrambi gli imputati le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, ha rideterminato la pena inflitta per i residui reati a D.L.A. in anni sette, mesi uno e giorni dieci di reclusione ed Euro 1.600,00 di multa e la pena inflitta a D.L. M. in anni tre e mesi otto di reclusione ed Euro 600,00 di multa.

Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati. Nel ricorso proposto da D.L.A. si osserva, quanto alla imputazione di cui al capo C2), che la versione della persona offesa sarebbe contraddetta da altre emergenze erroneamente svilite dai giudici a quibus. Quanto al reato di cui al capo Q2), valgono gli stessi rilievi, posto che i fatti descritti dalla persona offesa non sarebbero stati in alcun modo riscontrati.

L’aumento per la continuazione, infine, sarebbe stato motivato dai giudici dell’appello ripetendo le argomentazioni svolte dal primo giudice. Nel ricorso del D.L.M. si svolgono le identiche censure prospettate dal D.L.A. in riferimento al comune capo sub C2).

I ricorsi sono palesemente inammissibili. Di tutto il concatenato succedersi delle vicende che hanno formato oggetto degli addebiti ascritti ai ricorrenti, i giudici del gravame hanno fornito una puntuale ricostruzione che ha messo a fuoco, in termini del tutto esaurienti sul piano della descrizione degli elementi di fatto raccolti a carico degli imputati e con rigore logico sul versante della relativa valutazione in chiave probatoria, l’univoco e convergente concorrere del materiale posto a base dello scrutinio di colpevolezza. Tanto la versione dei fatti offerta dalla parte offesa che l’apprezzamento delle dichiarazioni testimoniali sono state, infatti, sottoposte a vaglio critico anche in funzione diretta delle censure in proposito mosse in sede di appello, pervenendo a risultati del tutto appaganti pure sul versante dell’odierno sindacato di legittimità. Gli assunti volti a screditare le dichiarazioni accusatorie versate in atti, si rivelano, in tale cornice, nulla più che un assunto solo labialmente prospettato, mentre le varie considerazioni che i ricorrenti propongono nei motivi rassegnati, evocano rilievi di merito – peraltro già puntualmente scandagliati dai giudici a quibus – tesi ad un improprio riesame del fatto, evidentemente eccentrico in questa sede. Quanto, infine, al trattamento sanzionatorio ed all’aumento per la continuazione, il relativo motivo di ricorso è palesemente inammissibile per genericità oltre che per manifesta infondatezza, posto che la motivazione offerta sul punto nella sentenza impugnata si rivela del tutto esente dalle prospettate censure di inadeguatezza.

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in euro mille ciascuno, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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