T.A.R. Emilia-Romagna Parma Sez. I, Sent., 05-04-2011, n. 97 Annullamento dell’atto in sede giurisdizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con bando di gara del 03.09.2008 l’Azienda U.S.L. di Reggio Emilia ha indetto un procedura aperta, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per l’affidamento della progettazione esecutiva e per l’esecuzione dei lavori per la realizzazione di un magazzino farmaceutico e deposito per attività connesse all’area logistica delle aziende sanitarie dell’area vasta Emilia Nord.

Il prezzo a base d’asta ammonta a euro 9.777.771, 95.

Il disciplinare di gara (punto 2, pagina 9) prevede che si proceda in seduta pubblica all’apertura dei plichi contenenti la documentazione amministrativa nonché alle conseguenti verifiche di legge; in seduta riservata si procederà alla valutazione delle proposte progettuali in variante o migliorative del progetto poste a base di gara e all’attribuzione del relativo punteggio; in seduta pubblica si procederà alla lettura dei punteggi assegnati alle singole offerte tecniche, all’apertura delle buste "C" contenenti le offerte relative al prezzo offerto; di seguito a tali operazioni si perverrà, quindi, al calcolo del punteggio complessivo assegnato ai concorrenti e sarà redatta la graduatoria finale.

Gli adempimenti appena richiamati sono stati affidati a due diverse commissioni: l’una presieduta dalla dott.ssa Gambarelli e deputata agli adempimenti amministrativi, l’altra presieduta dall’ing. Bonacini deputata alla valutazione delle offerte tecniche da effettuarsi in modalità riservata.

Alla procedura di gara hanno partecipato, tra gli altri, il C.C.C. (d’ora in poi C.C.C.) e un raggruppamento di imprese avente come mandatario il C.I.E. (C.M.E.) di Modena.

Il C.C.C. ha indicato, tra le cooperative esecutrici dei lavori, la Cooperativa O. di Reggio Emilia.

Nella busta dei documenti amministrativi del Consorzio sono state inserite le dichiarazioni degli amministratori e dei direttori tecnici di O., da cui è risultato che il direttore tecnico di O. è il geometra Adriano Bonacini, fratello del presidente della II commissione, deputata alla valutazione delle offerte tecniche e all’attribuzione dei punteggi.

La commissione incaricata di valutare la completezza della documentazione amministrativa, si è riunita in seduta pubblica il 30.10.2008 e in tale circostanza si è presa visione della dichiarazioni della ditta O., da cui è risultato che il geometra Bonacini riveste la qualifica di direttore tecnico nella cooperativa O..

L’altra commissione ha proceduto in più sedute riservate alla valutazione delle offerte tecniche e all’attribuzione dei punteggi relativi alle offerte tecniche: C.M.E. ha conseguito 26,3 punti mentre C.C.C. ha ottenuto 45 punti.

A seguito della lettura delle offerte economiche e dell’attribuzione dei relativi punteggi da parte della commissione presieduta dalla dott.ssa Gambarelli è risultato che C.M.E. ha conseguito per l’offerta economica punti 50.505 contro i 49,252 del raggruppamento C.C.C.

La commissione ha modificato il punteggio ottenuto da C.M.E. a cui, per l’offerta tecnica, sono stati assegnati 0 punti in luogo del 26,23 già ricevuti nell’ambito della sessione riservata alla valutazione delle offerte tecniche.

L’appalto è stato quindi aggiudicato a C.C.C. la cui offerta è stata, in una seduta successiva della commissione presieduta dalla dott.ssa Gambarelli, giudicata non anomala.

L’aggiudicazione definitiva è stata disposta con determinazione dirigenziale 16.02.2009 n. 2009/RST/025.

L’atto di aggiudicazione definitiva è stato pubblicato all’albo pretorio della stazione appaltante fino al 04.03.2009.

Con il ricorso in epigrafe, notificato in data 22.04.2009 e depositato in data 5.05.2009, il consorzio C.M.E. impugna tutti gli atti della procedura di gara e, in particolare, gli atti delle Commissioni presiedute dai signori Gambarelli e Bonacini, nonché l’atto con il quale quest’ultimo è stato nominato presidente dalla commissione tecnica.

Sono, inoltre, impugnati gli atti presupposti, il bando e il disciplinare di gara nella parte in cui sono stabiliti i criteri di giudizio.

Le tesi esposte da parte ricorrente sono affidate ai seguenti mezzi:

Violazione dell’art. 84 del D.lgs. n. 163/2006. Violazione dell’art. 51 c.p.c. Violazione dei principi generali in materia di procedure concorsuali pubbliche. Eccesso di potere per difetto di motivazione. L’art. 84 del Codice dei contratti pubblici, in tema di composizione della commissione giudicatrice, richiama l’art. 51 del c.p.c. che, al 1 comma n. 2, stabilisce che il giudice, che è parente fino al quarto grado di una delle parti, ha l’obbligo di astenersi. La stessa disposizione sancisce l’astensione in ogni caso in cui esistano "gravi ragioni di convenienza". Da ciò si desume che non può fare parte della commissione giudicatrice di un appalto la persona che è parente, fino al quarto grado, dell’amministratore o del direttore tecnico di un’impresa che partecipa alla procedura di aggiudicazione. In ogni caso l’amministrazione ha l’obbligo di valutare se sussistono le gravi ragioni di convenienza che precludano la nomina a componente della commissione giudicatrice. Il caso di specie, in cui l’ing. Bonacini è stato nominato presidente della commissione incaricata di valutare le offerte tecniche ed è fratello del direttore tecnico della cooperativa O., rientra pienamente nella disciplina dell’articolo 51, 1° comma del c.p.c. Infatti, ai sensi dell’art. 38 d.lgs. 163/2006 i direttore tecnico e gli amministratori dell’impresa sono equiparati quanto ai requisiti di ordine generale. Inoltre, seppure il geometra Bonacini, fratello del presidente della commissione, è direttore tecnico della O. e non del Consorzio, l’art. 38, 7° comma d.lgs. 163/2000 chiarisce che il consorzio concorre non per sé stesso ma per il consorziato, che viene indicato come l’impresa che realizza il lavoro. Il vero concorrente è, pertanto, il consorziato, in capo al quale devono sussistere i requisiti previsti dall’art. 38 d.lgs. 163/2006; rispetto alle cariche sociali del consorziato devono essere valutate le cause di incompatibilità previste dall’art. 51 c.p.c., cosa che non si è verificata nel caso di specie, in quanto la stazione appaltante non si è posta il problema della verifica di dette cause rispetto ai soggetti che ricoprono cariche sociali nell’impresa che di fatto eseguirà i lavori.

Violazione del disciplinare di gara. Violazione dei principi generali. Eccesso di potere per sviamento. Contraddittorietà e illogicità manifesta. Il disciplinare di gara stabilisce che la valutazione delle offerte tecniche e l’attribuzione dei punteggi deve avvenire, in seduta riservata, prima dell’apertura in seduta pubblica, delle offerte economiche, il che corrisponde a un principio di carattere generale. Nel caso di specie, la commissione tecnica ha attribuito all’offerta della C.M.E. il punteggio di 26,3; successivamente tale punteggio è stato rideterminato e portato a 0 (zero); ciò dopo che si era già proceduto all’apertura delle offerte economiche e dopo che C.M.E. aveva fatto rilevare la parentela del presidente della commissione, Bonacini, con il direttore tecnico di O.. Tutto ciò in violazione dei principi generali in materia di procedure concorsuali pubbliche oltre che in violazione del disciplinare di gara.

Violazione dell’art. 84 D.lgs. n. 163/2006. Le violazioni dell’articolo rubricato riguardano tre profili: la norma prevede una sola commissione, mentre, nel caso di specie, ne sono state nominate due; la seconda commissione non vedeva la presenza tra i suoi componenti di alcun esperto nello specifico settore del contratto da stipulare; la commissione giudicatrice era composta da una sola persona, il presidente. Peraltro il disciplinare di gara parla di una sola commissione, pur senza predeterminarne la composizione.

Altra violazione del disciplinare di gara e dei principi generali. Le due commissioni hanno disatteso il criterio di valutazione stabilito dalla legge e dal disciplinare di gara, in quanto hanno modificato il prezzo offerto, atteso che la commissione tecnica, esprimendo il proprio giudizio sulle varianti migliorative, ha modificato l’importo del prezzo offerto. Così facendo, attraverso il giudizio sulle varianti non migliorative, che sono state valutate due volte, vi è stata, sostanzialmente, una rettifica d’ufficio dell’offerta economica.

Violazione dell’art. 83 d.lgs. d.lgs. n. 163/2006. Eccesso di potere per difetto di motivazione. E’ stato violata la norma indicata in quanto il bando di gara si è limitato a assegnare un punteggio per ciascun elemento di giudizio, ma non ha indicato i sub punteggi, che sono stati, invece, determinati dalla commissione di gara, la cui discrezionalità, in tal modo, è stata eccessivamente dilatata; la medesima commissione ha stabilito i criteri sulla cui base decidere il carattere migliorativo o meno delle varianti progettuali proposte dopo avere esaminato le offerte tecniche, in tal modo integrando i criteri del disciplinare quando già si conosceva il contenuto delle offerte tecniche.

Eccesso di potere per falso supposto di fatto, illogicità e difetto di motivazione. Il punteggio dell’offerta C.M.E. è stato illegittimamente azzerato sul presupposto che le varianti proposte non abbiano carattere migliorativo rispetto al progetto posto a base di gara. Ciò non corrisponde al vero, per cui si invoca la C.T.U.; inoltre, i criteri di valutazione delle offerte tecniche e, in particolare, delle proposte migliorative, non corrispondono all’effettivo valore delle offerte stesse.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione aggiudicatrice, eccependo la tardività del ricorso e insistendo sulla sua infondatezza nel merito.

Si sono costituiti i controinteressati C.C.C. nonché O. S.C., depositando due ricorsi incidentali in data 28 maggio 2009 e 30 giugno 2009, quest’ultimo a seguito dell’ostensione dei documenti richiesti con istanza di accesso agli atti.

Con i due ricorsi incidentali si rileva che C.M.E. non ha proposto migliorie valutabili e, in ogni caso, non ha dichiarato di non voler proporre migliorie, per cui l’offerta della ricorrente avrebbe dovuto essere esclusa in quanto in violazione di chiare prescrizioni del disciplinare di gara in ordine alle modalità di composizione dell’offerta, prescrizioni che, anche se non assistite dall’espressa clausola della sanzione dell’esclusione, avrebbero comunque dovuto condurre all’esclusione in quanto condizioni essenziali di partecipazione.

In data 07.05.2009 è stata respinta l’istanza di misura cautelare monocratica, in quanto il contratto di appalto con l’impresa vincitrice risultava già stato stipulato in data 29.04.2009.

In data 26.05.2009 la ricorrente ha rinunciato alla richiesta di istanza cautelare collegiale.

In vista dell’udienza di merito le parti hanno depositato memorie e documenti riepilogativi delle rispettive posizioni.

Alla pubblica udienza del 09.02.2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Preliminarmente il Collegio ritiene di dovere affrontare la questione di tardività del ricorso sollevata sia dalla difesa dell’amministrazione sia da quella delle controinteressate.

1. L’eccezione fonda sulla comunicazione dell’aggiudicazione definitiva dell’appalto alla ricorrente, effettuata in data 17.02.2009. Poiché la nota indica sia gli estremi del provvedimento di aggiudicazione definitiva sia il nominativo dell’aggiudicatario, il termine per la proposizione del ricorso decorrerebbe dalla data di ricevimento della nota stessa, avvenuto il 20.02.2009. Il timbro dell’ufficiale giudiziario sul ricorso risulta essere stato apposto in data 23.04.2009, quindi con un giorno di ritardo rispetto al termine prescritto.

Il Collegio reputa fondata l’eccezione di tardività, in quanto il chiaro tenore dell’articolo 79 comma 5 d.lgs. 163/2006 induce a ritenere che le amministrazioni sono tenute a comunicare d’ufficio, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni, l’aggiudicazione definitiva. I soggetti destinatari di tale comunicazione sono, in primo luogo, il concorrente che segue nella graduatoria, tutti candidati che hanno presentato un’offerta in gara, coloro che sono stati destinatari di un provvedimento di esclusione se hanno proposto impugnativa avverso tale atto o sono ancora in termini per farlo ovvero coloro che hanno impugnato il bando o la lettera di invito, se ancora non vi è stata una pronuncia giurisdizionale di rigetto.

Invero, le informazioni più dettagliate di cui al comma 2, lett. c), dell’articolo 79 sono fornite su richiesta scritta dell’interessato.

Appare, pertanto, sufficientemente chiaro da tale ricostruzione che il momento da cui decorre il termine per l’impugnazione è quello della comunicazione obbligatoria di cui all’articolo 79 coma 5 e non quello di cui al comma 2.

Conseguentemente, nel caso di specie, avendo l’amministrazione comunicato, l’aggiudicazione definitiva ai sensi del comma 5 con la nota del 17.02.2009, è dalla data del suo ricevimento che decorre il termine per l’impugnativa.

Rispetto a tale momento, il ricorso è fuori termine, in quanto il timbro dell’ufficiale giudiziario riporta la data del 23.4.2009 e quindi risulta notificato dopo il termine di sessanta giorni dal ricevimento della nota della stazione appaltante.

2. Nonostante la tardività della proposizione del ricorso, giacchè la ricorrente ha chiesto, oltre che l’annullamento dell’aggiudicazione e degli atti presupposti, anche il risarcimento dei danni, residua comunque l’interesse della ricorrente alla pronuncia sul risarcimento ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. 104/2010.

Occorre, quindi, trattare, preliminarmente rispetto alla domanda di risarcimento, i due ricorsi incidentali proposti dalle controinteressate, che potrebbero travolgere l’impugnativa della ricorrente, ove fosse accertato che questa avrebbe dovuto essere esclusa dal procedimento di gara.

Come detto, i due ricorsi incidentali sono stati depositati sia da C.C.C. che da O..

In tali atti i due soggetti controinteressati opinano che l’offerta tecnica della ricorrente avrebbe dovuto essere esclusa in quanto la commissione non avrebbe ritenuto migliorative le proposte presentate; l’avere presentato proposte che la commissione ha ritenuto inidonee equivarrebbe al non avere presentato alcuna proposta. L’offerta avrebbe dovuto essere esclusa per non essere stata inserita, all’interno della busta contenente l’offerta tecnica (plico B), la specifica dichiarazione di non volere proporre migliorie, prevista a pagina 5 del disciplinare di gara.

L’assunto è infondato in quanto la dichiarazione circa l’intenzione di non proporre migliorie non era prevista "a pena di esclusione"; inoltre, ciò che più rileva, è che la ricorrente ha proposto nell’offerta tecnica talune proposte migliorative, che sono state ritenute non idonee da parte del seggio di gara.

Conseguentemente, non corrisponde ad una corretta interpretazione dei dati che la ricorrente non abbia presentato alcuna proposta migliorativa, per cui non può essere accolta le tesi della illegittimità della sua mancata esclusione.

3. Nell’esaminare i motivi del ricorso principale, deve darsi la precedenza al motivo che il Collegio ritiene assorbente rispetto agli altri e che conduce a ritenere fondato il gravame.

Si tratta, in particolare, del motivo n. 5, con il quale è censurata la violazione dell’art. 83 del d.lgs. n. 163/2006, il quale stabilisce che il bando di gara indica, oltre al punteggio previsto per ciascun elemento di giudizio, anche i sub punteggi da assegnare a ciascun delle voci riconducibili a ciascuno degli stessi elementi.

Nel caso di specie, il bando di gara attribuisce all’elemento prezzo 55 punti, al valore tecnico ed estetico delle proposte migliorative 35 punti, al costo di utilizzazione e manutenzione 10 punti. Il disciplinare di gara si limita, anch’esso in modo piuttosto generico, a specificare taluni elementi in relazione ai quali sarà valutato il valore tecnico e estetico delle opere, ma si tratta di dati non esaustivi (come si desume dall’espressione "in particolare") e per i quali non sono esplicitati i relativi punteggi.

A riprova della genericità dei criteri previsti nella lex specialis di gara, vi è la circostanza che la commissione tecnica si è trovata nella condizione di integrare gli elementi in base ai quali le proposte devono essere considerate migliorative.

Ad aggravare tale situazione vi è la circostanza che la commissione ha effettuato tale operazione nella seduta del 03 dicembre 2008, dopo avere esaminato le offerte tecniche, comportamento questo non conforme alle disposizioni sancite dal codice dei contratti e ai principi generali in materia di pubblici incanti.

Inoltre, l’organo tecnico ha rifiutato tutte le proposte migliorative alternative laddove il disciplinare di gara prevedeva la non ammissibilità delle proposte migliorative che presentavano elementi difformi rispetto a quelli vincolanti esplicitati nella lex specialis di gara. In tal modo ha escluso tutte le proposte migliorative della ricorrente, non perché ritenute incompatibili o peggiorative rispetto al progetto, bensì perché consistenti in scelte progettuali diverse da quelle, non vincolanti, del progetto originario.

Peraltro, ciò è avvenuto senza motivare tale scelta, per cui se ne desume la fondatezza della censura relativa a tale difetto.

Alla luce della fondatezza del quinto motivo di ricorso, si ritiene di poter assorbire gli ulteriori profili di doglianza e di esaminare la richiesta di risarcimento del danno per equivalente proposta dalla ricorrente.

E’ quindi necessario esaminare la richiesta di risarcimento del danno per equivalente proposta dalla ricorrente.

4. La ricorrente afferma in proposito nell’atto di ricorso che il danno deriva non dalla mancata aggiudicazione, ma dalla perdita della possibilità di aspirare all’aggiudicazione all’esito di una procedura illegittima. Poiché i partecipanti alla gara erano tre, il danno può essere ragionevolmente quantificato in un terzo dell’utile di impresa a cui l’aggiudicatario avrebbe diritto, in quanto la ricorrente aveva una possibilità su tre di aggiudicarsi la gara.

Nella memoria del 26 gennaio 2011 la ricorrente ha ulteriormente specificato la propria richiesta di risarcimento del danno, quantificandola nella metà dell’utile di impresa derivante dall’offerta economica presentata al seggio di gara, somma da incrementare di un ulteriore 1% a ristoro del danno curriculare, oltre a interessi e rivalutazione monetaria.

Il Collegio rileva, in punto di fatto, che la ricorrente si è classificata terza in graduatoria e i lavori relativi all’appalto in parola sono terminati e verranno consegnati i primi di aprile dell’anno 2011, come affermato nella memoria del controinteressato e comprovato dei certificati di pagamento; trattasi, peraltro, di circostanza che non è contestata da parte ricorrente.

Nel caso di specie, non può che accedersi alla soluzione della riparazione in forma pecuniaria in quanto deve ritenersi conforme all’interesse della stazione appaltante e all’interesse generale garantire la continuità del servizio in corso, privilegiando l’opzione del risarcimento per equivalente anziché quella della riedizione dell’intera procedura di gara.

5. Il profilo dell’accertamento della sussistenza della colpa è destinato a perdere consistenza alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia CE, sez. III – 30/9/2010 (causa C314/2009).

La Corte ha infatti ritenuto che gli Stati membri non possono subordinare la concessione di un risarcimento al riconoscimento del carattere colpevole della violazione della normativa sugli appalti pubblici commessa dall’amministrazione aggiudicatrice. Ha statuito la Corte che "il tenore letterale degli artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1, 5 e 6, nonché del sesto "considerandò della direttiva 89/665 non indica in alcun modo che la violazione delle norme sugli appalti pubblici atta a far sorgere un diritto al risarcimento a favore del soggetto leso debba presentare caratteristiche particolari, quale quella di essere connessa ad una colpa, comprovata o presunta, dell’amministrazione aggiudicatrice, oppure quella di non ricadere sotto alcuna causa di esonero di responsabilità". Tale conclusione è suffragata da un duplice rilievo: da un lato gli Stati membri possono prevedere per questo tipo di ricorsi termini ragionevoli da osservarsi a pena di decadenza, e ciò per evitare che i candidati e gli offerenti possano in qualsiasi momento allegare violazioni della normativa suddetta (esigenza di certezza), e dall’altro gli stessi hanno la facoltà di prevedere che, dopo la conclusione del contratto successiva all’aggiudicazione dell’appalto, i poteri dell’organo responsabile delle procedure di ricorso siano limitati alla concessione di un risarcimento.

In questo quadro complessivo il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività perseguito dalla direttiva soltanto a condizione che la possibilità di riconoscerlo "… non sia subordinata… alla constatazione dell’esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall’amministrazione aggiudicatrice". Ciò posto, anche l’inversione dell’onere della prova a carico dell’amministrazione aggiudicatrice non è accettabile, poiché genera "il rischio che l’offerente pregiudicato da una decisione illegittima di un’amministrazione aggiudicatrice venga comunque privato del diritto di ottenere un risarcimento per il danno causato da tale decisione, nel caso in cui l’amministrazione suddetta riesca a vincere la presunzione di colpevolezza su di essa gravante".

6. La questione da affrontare è la determinazione della misura del risarcimento.

6.1. Non può essere accolta la pretesa della ricorrente di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta.

Già la giurisprudenza più recente ha in proposito statuito che il criterio del 10% del prezzo a base d’asta -se pure è in grado di fondare una presunzione su quello che normalmente è l’utile che un’impresa ritrae dall’appalto – non può essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata, poiché rischierebbe di rendere il risarcimento dei danni più favorevole per l’imprenditore dell’impiego del capitale: appare allora preferibile l’indirizzo che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, prova desumibile, in primis, dall’esibizione dell’offerta economica presentata al seggio di gara (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 17/10/2008 n. 5098).

Tale principio trova oggi conferma nell’art. 124 del decreto legislativo 104/2010, che, nel rito degli appalti, prevede il risarcimento del danno (per equivalente) "subito e provato" (per una prima applicazione del principio T.A.R. Lombardia Milano, sez. I – 19/10/2010 n. 7001).

6.2 Occorre in questa fase verificare se la parte ricorrente ha rispettato il principio basilare sancito dall’art. 2697 c.c., secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda: come noto, il diritto entra nel processo attraverso le prove e si debbono disattendere le domande risarcitorie formulate in maniera del tutto generica, senza alcuna allegazione degli elementi presupposti.

Il Collegio ritiene di sciogliere positivamente il quesito, poiché l’esistenza ("an") del danno è insita nel sacrificio della chance di aggiudicazione dell’appalto e gli elementi prodotti in giudizio sono sufficienti ad emettere una pronuncia che statuisca sul "quantum" spettante a titolo di riparazione pecuniaria.

Risulta poi opportuno individuare i criteri generali che serviranno da guida per la formulazione della proposta risarcitoria da parte dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia ed il raggiungimento di un accordo con la ricorrente (art. 34 comma 4 del Codice del processo amministrativo).

In particolare, la stazione appaltante dovrà:

o attenersi all’offerta economica presentata da C.M.E. – C.I.E. in sede di gara, considerando anche le proposte migliorative;

o determinare il margine di guadagno che residua dopo l’applicazione del ribasso indicato in sede di gara;

o ridurre detta somma a un terzo;

o diminuire ulteriormente l’importo di cui sopra del c.d. "aliunde perceptum", ossia del guadagno che – in assenza di prova contraria – la ricorrente ha presumibilmente prodotto nello svolgimento di altre attività nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione, nella misura forfettaria del 50%;

o aggiungere gli interessi dovuti nella misura legale, da calcolarsi dalla data della notifica del ricorso al soddisfo, alla somma ottenuta applicando i criteri sopra indicati.

La ricorrente chiede, inoltre, il danno curriculare nella misura dell’1% calcolato sulla metà dell’ordinario utile d’impresa.

Il danno curriculare consiste nel vantaggio economicamente valutabile che l’impresa ricava dal fatto stesso di eseguire un appalto pubblico, in quanto ciò accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti.

Ritiene il Collegio che tale ulteriore voce di danno non possa essere riconosciuta, in quanto la ricorrente si è classificata terza e non vi è prova che, senza le illegittimità sopra rilevate che hanno caratterizzato l’operato della commissione di gara, si sarebbe aggiudicata l’appalto.

L’amministrazione dovrà pertanto proporre alla ricorrente un accordo in ordine alla somma da riconoscere a titolo risarcitorio, che tenga conto dei criteri sopra indicati.

Qualora l’amministrazione e la ricorrente non raggiungano alcun accordo decorsi 120 giorni dalla notificazione o comunicazione della presente decisione, C.M.E., C.I.E., potrà chiedere a questo Tribunale l’adozione delle misure necessarie: in quella sede il Collegio si riserva di nominare un Commissario ad acta e di trasmettere gli atti alla Corte dei Conti, ove ricorrano i presupposti.

Le spese di giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza per quanto concerne la stazione appaltante; possono essere compensate nei confronti della controinteressata.
P.Q.M.

Definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

– dichiara irricevibile per tardività la domanda di annullamento degli atti impugnati;

– respinge i ricorsi incidentali;

– accoglie la domanda di risarcimento del danno per equivalente e, per l’effetto, condanna l’amministrazione aggiudicatrice a corrispondere la somma da determinare secondo i criteri e le modalità indicate in narrativa.

Condanna l’amministrazione aggiudicatrice al pagamento delle spese di giudizio a favore della ricorrente, che liquida in euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00), oltre IVA e C.P.A. come per legge.

Compensa le spese di giudizio nei confronti della controinteressata.

Condanna altresì l’amministrazione soccombente a rifondere alla ricorrente le spese del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 6 bis del D.P.R. 30/5/2002 n. 115.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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