Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-03-2011) 11-04-2011, n. 14237 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

austo del foro di Brescia che chiede l’accoglimento dei motivi del ricorso.
Svolgimento del processo

Il Tribunale di Brescia, con sentenza in data 30.9.2008 dichiarava F.F., all’epoca dei fatti in servizio presso il Commissariato di Polizia di Stato della questura di Brescia, colpevole dei reati di rapina aggravata, omessa denuncia di reato, favoreggiamento personale, estorsione, falsità ideologica, concussione, calunnia, abuso d’ufficio, estorsione, omissione di atti di ufficio, reati commessi in danno di soggetti extracomunitari controllati nel corso dei servizi d’istituto e quindi con abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti Italia pubblica funzione e lo condannava alla pena di anni cinque, mesi quattro di reclusione e Euro 1200 di multa.

La Corte di appello di Brescia, con sentenza in data 2/3/2010, in parziale riforma della sentenza impugnata dall’imputato lo assolveva, limitatamente al delitto di calunnia, con riferimento ai capi f) e H), nonchè dai reati di rapina, falso, calunnia, concussione rispettivamente ascritti ai capi N, O, P, T, U, V, operato l’assorbimento e la riqualificazione di altri reati ascritti, concessa l’attenuante di cui all’art. 62, numero quattro, c.p. con riferimento al capo Q, rideterminava la pena in anni tre, mesi cinque, giorni 22 di reclusione e Euro 1067 di multa, dichiarando condonata la pena principale nella misura di anni tre di reclusione e l’intera multa.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e mancanza, omessa, o contraddittoria motivazione:

a) con riferimento ai capi a), b), c), per illogica e illegittima attribuzione di valore di prova ad elementi ipotetici privi di valenza indiziaria, palesemente contraddetti da altri elementi di carattere oggettivo e per omessa pronuncia su specifici motivi di appello;

b) con riferimento ai capi e), g), i), per avere ritenuto che il fatto contestato al capo e) (concussione), integrasse la fattispecie di cui all’art. 610 c.p. (violenza privata), già contestata al capo i) e per aver omesso di applicare il principio dell’assorbimento dell’ipotesi cui al capo e), così come riqualificata, nell’ipotesi di cui al capo i);

c) con riferimento ai capi J e k, per la valutazione manifestamente illogica degli elementi di prova, privi di valenza indiziaria per la frammentarietà e non univocità della conversazione telefonica intercettata n. 528, per aver ritenuto erroneamente che i fatti contestati al capo J configurassero il reato di abuso d’ufficio, anzichè l’ipotesi speciale di cui all’art. 361 c.p., (omessa denuncia di reato);

d) con riferimento ai capi L, M, per la valutazione manifestamente illogica degli elementi di prova ed illogica e illegittima attribuzione di tale valore alle dichiarazioni rese da B. A. ai Carabinieri e, successivamente, al Pubblico Ministero, nonostante fossero contraddette dai suoi familiari nonchè da elementi di prova di carattere oggettivo (esami peritali sulla persona dell’imputato), ritenendo la Corte territoriale ora attendibili ora inattendibili le dichiarazioni del medesimo teste, non avendo ritenuto attendibili le prove contrarie e le deduzioni difensive relative agli elementi di prova a discarico; contestava anche la sentenza per avere erroneamente ritenuto che il fatto contestato al capo L) integrasse la fattispecie di estorsione aggravata anzichè il reato di peculato;

e) con riferimento ai capi Q, R, S, per la valutazione illogica degli elementi di prova, avendo affermato la colpevolezza dell’imputato sulla base delle sole dichiarazioni rese da K.S., teste già ritenuto inattendibile e omessa motivazione in ordine a specifiche contestazioni proposte dalla difesa al riguardo, nonchè sull’assenza di dolo in relazione all’omessa denuncia, lamentando anche la mancata redazione del verbale di perquisizione, non avendo l’imputato partecipato personalmente all’attività di controllo del K.; inoltre la Corte ha erroneamente ritenuto che il fatto contestato al capo Q integrasse la fattispecie di estorsione, anzichè il reato di concussione;

f) con riferimento al capo w), per la mancanza di motivazione e illogicità nella valutazione degli elementi di prova, avendo attribuito valenza alle dichiarazione rese da P.E., soggetto pregiudicato e tossicodipendente, nei cui confronti l’imputato ha proposto denuncia-querela per il delitto di calunnia;

g) con riferimento ai capi X e Y per mancata pronuncia su specifici motivi di appello non avendo la Corte specificato le ragioni per le quali non ha ritenuto accogligli le deduzioni difensive.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1) I motivi di ricorso, con cui si deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), sono inammissibili perchè propongono censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata. Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4A sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

La Corte di Appello di Brescia, invero, con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria, con riferimento ai capi a), b), c) rileva come la dedotta ristrettezza dei tempi durante i quali la vicenda avrebbe avuto svolgimento non inficia la valutazione degli elementi di prova a carico dell’imputato, confutando anche le ulteriori argomentazioni difensive, ritenendo attendibili le dichiarazioni rese dal B., riscontrate da una telefonata intercettata tra il F. e il K., ritenendo integrato il delitto di rapina ai danni del F., anche indipendentemente da eventuali percosse ricevute, in quanto essendo soggetto irregolare, la pattuglia aveva la possibilità di arrestarlo, ritenendo provata la circostanza che l’imputato, approfittando di tale situazione, lo avesse indotto a consegnare il telefonino e il denaro che aveva con sè, come evidenziato dalla telefonata intercettata, ritenuta attendibile dalla Corte. Ulteriori elementi di riscontro sono stati individuati nella presenza della pattuglia capitanata dell’imputato alle 17:40, nella circostanza che il F. sia stato fermato proprio in quella zona, in mancanza di prova che una diversa pattuglia forse transitata per controlli nella medesima località, avendo l’imputato ammesso, seppur in maniera vaga, la presenza di un extracomunitario che si dava alla fuga prima di procedere alla sua identificazione, non facendone alcuna menzione nella relazione di servizio; lo stesso F. aveva inoltre dichiarato al telefono, per giustificare il suo ritardo al bar, del controllo di polizia con sottrazione del telefonino e dei soldi, evidenziando come la condotta del prevenuto non era da considerarsi isolata, essendosi reso protagonista di altri episodi simili.

2) Con riferimento ai capi e), g), i), lamenta l’imputato la riqualificazione del fatto di cui al capo e) da concussione (in relazione alla quale l’imputato è stata assolto), in violenza privata, con l’attribuzione di un fatto diverso da quello contestato nel capo d’imputazione.

Anche tale rilievo è infondato; la giurisprudenza di legittimità si ispira, nel verificare la mancata corrispondenza tra accusa contestata e fatto ritenuto in sentenza, al principio secondo cui il parametro che consente di verificare, nel caso in cui sia accertato lo scostamento indicato, l’esistenza della violazione del principio in questione è costituito dal rispetto del diritto di difesa nel senso che l’imputato deve avere avuto, in concreto, la possibilità di difendersi dall’addebito contestatogli.

Si ha dunque il rispetto del principio nei casi in cui della violazione poi ritenuta in sentenza si sia trattato nelle varie fasi del processo ovvero in quelli nei quali sia stato lo stesso imputato ad evidenziare il fatto diverso quale elemento a sua discolpa (si vedano in questo senso, da ultimo, Cass., sez. 4A, 15 gennaio 2007 n. 10103, Granata, rv. 236099; sez. 2A, 23 novembre 2005 n. 46242, Mignatta, rv. 232774; sez. 4A, 17 novembre 2005 n. 2393, Tucci, rv.

232973; 10 novembre 2005 n. 47365, Codini, rv. 233182; 25 ottobre 2005 n. 41663, Canonizzo, rv. 232423; 4 maggio 2005 n. 38818, De Bona, rv. 232427; sez. 1A, 10 dicembre 2004 n. 4655, Addis, rv.

230771).

Naturalmente non deve trattarsi di fatto completamente diverso ed eterogeno in cui l’imputazione venga immutata nei suoi elementi essenziali (v. Cass., sez. 1A, 14 aprile 1999 n. 6302, Iacovone; sez. 6A, 14 gennaio 1999 n. 2642, Catone).

Nel caso in esame, l’imputato ha avuto modo di difendersi ampiamente su tutti gli aspetti che poi sono stati presi in considerazione dalla sentenze di appello con riferimento all’accusa formulata per cui la verifica dell’assenza di un pregiudizio per la sua difesa non può che concludersi negativamente. In relazione all’eccezione formulata deve dunque affermarsi che, se anche dovesse ritenersi verificato lo scostamento tra imputazione e condanna, non vi sarebbe stata alcuna lesione del diritto di difesa, avendo avuto il F., ampie garanzie e possibilità difensive su tutti i punti dell’accusa posti a fondamento del capo della sentenza di condanna.

3) Con riferimento ai capi J) e k) la Corte ha rilevato che le attività indicate nella conversazione intercettata il 4/3/2006 tra il F. e il C. (perquisizioni locali e domiciliari) erano state svolte nella totale illegalità, in assenza dei presupposti di legge, in violazione delle garanzie previste per il loro compimento, omettendo ogni verbalizzazione dell’attività svolta, concretando la condotta i reati contestati di abuso e omissioni di atti d’ufficio e di falso ideologico in atto pubblico.

La Corte ha anche correttamente motivato sulle ragioni per le quali nella fattispecie non poteva ritenersi integrato il meno grave reato di cui all’art. 361 c.p., invocato dell’appellante ritenendo mancare la prova dell’ingiusto vantaggio patrimoniale, anzichè il reato di abuso in atti d’ufficio ( art. 323 c.p.) L’art. 361 c.p. non prevede, a differenza dell’art. 323 c.p., ai fini della configurazione del reato, il fine di recare ad altri un danno o di procurargli un vantaggio e, pertanto, non può ritenersi fattispecie speciale quella disciplinata dall’art. 361 c.p., rispetto al reato di cui all’art. 323 c.p.. Naturalmente sia il danno che il vantaggio di cui all’art. 323 c.p., debbono avere natura patrimoniale e, nella fattispecie, è ravvisabile il vantaggio patrimoniale in favore di terzi, in quanto all’esito del controllo, il proprietario dell’autovettura Opel corsa è rimasto in possesso della stecche di hashish che, invece, avrebbe dovuto essergli sequestrata, non potendosi disconoscere un beneficio economicamente apprezzabile derivante dall’omesso sequestro dello stupefacente.

4) Riguardo ai capi L, M la Corte territoriale ha ritenuto attendibili le dichiarazioni rese da B.A. che ha accusato il F. di essersi impossessato ai suoi danni, nel corso di un controllo eseguito a suo carico presso il campo nomadi, di Euro 100 e di due dosi di cocaina, minacciandolo con la frase "vuoi andare in carcere o vuoi andare a casa?".

La Corte, ai fini della valutazione sull’attendibilità del teste, ha rilevato come lo stesso non conoscesse il F. che aveva indicato in epoca non sospetta ai familiari (avendolo visto per caso di pattuglia mentre passava per strada) come l’autore del sopruso ai suoi danni, circostanza confermata dai familiari stessi (cfr dichiarazioni in data 28/3/2007 rese da B.K. e F. C.).

I giudici di merito rilevano, inoltre, che il teste non aveva alcun interesse a calunniare l’imputato, rilevando la genuinità delle sue dichiarazioni e dei familiari.

5) Con riferimento ai capi Q, R, S, concernenti i reati di estorsione, omessa denuncia e favoreggiamento personale a carico di K.S., con impossessamento della somma di Euro 20, i fatti sono stati confermati da quest’ultimo che ha affermato di essere stato bloccato, nell’occasione, da una pattuglia e perquisito e che il F. ("molto conosciuto tra i frequentatori del castello… perchè ruba i soldi oppure ti incastra facendoti trovare addosso della roba"), aveva rovistato nel suo marsupio, aveva preso Euro 20 e quindi lo aveva lasciato andare.

La Corte ha ritenuto il teste attendibile, trattandosi di clandestino che non aveva interesse a rivelare i fatti, trovando le sue dichiarazioni conferma nella circostanza di averle riferite, in tempi non sospettai M., confutando, con motivazione coerente logica, la diversa versione dei fatti formulata dalla difesa.

6) Con riguardo al capo w), concernente la cessione, da parte del F., di una dose di cocaina a P.E. a titolo di gratitudine per pregresse operazioni di polizia che quest’ultimo, quale confidente, aveva consentito di eseguire all’imputato, la Corte territoriale ha rilevato come il P. sia stato sentito come testimone e avendo l’imputato scelto di essere giudicato con rito abbreviato, non può dedurre l’inattendibilità dello stesso, avendo rinunciato ad incrinare l’eventuale credibilità del testimone, mediante l’esame e il controesame diretto in dibattimento.

La Corte di merito, ha ritenuto credibili le dichiarazioni del teste, considerato lo svolgimento dei fatti, le risultanze delle intercettazioni che hanno evidenziato modalità illecite dell’azione dell’imputato, in mancanza di elementi concreti che smentiscano le affermazioni del teste non risultando mosso da intenti calunniatori.

7) Infine, con riferimento ai capi X e Y concernenti la detenzione di 12 cartucce calibro nove parabellum, munizioni da guerra e di una pistola lanciarazzi, la Corte ha ritenuto non attendibili le giustificazioni del difensore considerando l’efficienza sia della pistola che delle munizioni, la cui detenzione è vietata, indipendentemente dall’uso che intenda farne il soggetto che li detiene. La forza persuasiva di tale apparato argomentativo, che, per la sua decisività, assorbe in sè qualunque altro rilievo avanzato in appello dall’imputato, ritenuto implicitamente non qualificante per confortare una diversa conclusione, non può essere posta in discussione in questa sede, perchè ciò comporterebbe una inammissibile valutazione del fatto, che deve, invece, rimanere prerogativa esclusiva del Giudice di merito. Conseguentemente, i motivo di ricorso con i quali si è dedotto, sotto vari profili, il vizio di motivazione della sentenza impugnata vanno disattesi, perchè inidonei a contrastare e, quindi, a porre in crisi l’adeguatezza e la logica interna dell’iter motivazionale della stessa sentenza.

Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.

Inoltre va osservato che l’omesso esame di un motivo di appello da parte della Corte di merito non da luogo a un difetto di motivazione rilevante a norma dell’alt. 606 cod. proc. pen., nè determina incompletezza della motivazione della sentenza allorchè, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perchè incompatibile con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonchè con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima.

Secondo il disposto dell’art. 597 c.p.p., comma 1, l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione nel procedimento (limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti). Pertanto il giudice d’appello deve tenere presente, dandovi risposta in motivazione, quali sono state le doglianze dell’appellante in ordine ai punti (o capi art. 581, comma 1, lett. e) investiti dal gravame, ma non è tenuto ad indagare su tutte le argomentazioni elencate in sostegno dell’appello quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione, poichè in tal modo quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte dalle spiegazioni fornite dal giudice di secondo grado.

(Sez. 1, Sentenza n. 1778 del 21/12/1992 Ud. (dep. 23/02/1993) Rv.

194804).

Nel caso di specie la Corte di merito ha ritenuto fondata la responsabilità del prevenuto, escludendo implicitamente che le deduzioni difensive non esaminate abbiano rilievo ai fini dell’affermazione di responsabilità.

Non sussistono neanche i presupposti per ritenere assorbito il reato di violenza privata (capo e) in quello di omessa denuncia di reato e favoreggiamento personale (capo i), trattandosi di violazione di interessi giuridici diversi e attesa la diversa obiettività giuridica dei reati; non sussistono, dunque, i presupposti per l’operatività del principio di consunzione in mancanza dell’unità normativa del fatto, trattandosi di condotte differenti, potendosi applicare tale principio solo nel caso in cui una condotta resti assorbita nella previsione dell’altra per la quale è comminata una pena più grave.

La Corte ha anche correttamente ritenuto che i fatti contestati ai capi L) e Q) integrassero la fattispecie di estorsione aggravata anzichè peculato, essendosi il pubblico ufficiale impossessato del denaro in entrambi i casi e dello stupefacente (con riferimento al capo L) al di fuori di ogni potere legale, non avendo redatto un verbale di perquisizione e tantomeno un verbale di sequestro, circostanze tutte che non consentono di ritenere che il denaro e le dosi di cocaina di cui l’imputato si era impossessato fossero legittimamente nella sua disponibilità, per ragioni del suo ufficio e potessero considerarsi, all’epoca dei fatti, corpo di reato, qualificando correttamente la condotta quale estorsione in quanto la minacciata privazione della libertà personale aveva costretto la parte offesa a omettere ogni reazione per reagire alla privazione dei soldi e della droga.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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