Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-03-2011) 11-04-2011, n. 14234

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Brescia, con sentenza in data 13.3.2009, dichiarava E.B. colpevole del reato di cui alla L. n. 143 del 1991, art. 12 per aver indebitamente utilizzato, non essendone titolare, i codici di una carta di credito intestata a B.M., acquistando biglietti aerei e di uno spettacolo teatrale per un importo complessivo di Euro 447,88 e, concesse le attenuanti generiche, la condannava alla pena di mesi otto di reclusione e Euro 206 di multa, pena sospesa.

La Corte di appello di Brescia, con sentenza in data 27/4/2010, riduceva la pena inflitta a mesi cinque, giorni 10 di reclusione e Euro 200 di multa.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputata deducendo:

a) la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dell’imputata davanti ai Carabinieri di Mazzano;

b) l’erronea ritenuta insussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 e l’eccessiva quantificazione della pena.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

1) Relativamente al primo motivo, risulta sanata l’eventuale nullità della sentenza discendente dalla dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni dell’imputata davanti agli ufficiali di P.G., per la mancata necessaria assistenza del difensore, ai sensi dell’articolo 350 c.p.p. avendo l’interessato successivamente esercitato la scelta del rito abbreviato, esplicazione del proprio diritto di difesa, operando la richiesta del rito speciale un effetto sanante della nullità ai sensi dell’art. 183 cod. proc. pen.(Sez. U, Sentenza n. 39298 del 26/09/2006 Ud. (dep. 28/11/2006) Rv. 234835).

Sempre sul punto, deve rilevarsi che allorchè con il ricorso per Cassazione si lamenti l’illegale assunzione di una prova è consentito procedere in sede di legittimità alla cd. "prova di resistenza", e cioè valutare se gli elementi di prova eventualmente acquisiti illegittimamente abbiano avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito, mediante il controllo della struttura della motivazione, al fine di stabilire se la scelta di una certa soluzione sarebbe stata la stessa senza l’utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute sufficienti.

(Si vedano fra le tante: Sez. 5, Sentenza n. 569 del 18/11/2003 Ud. – dep. 12/01/2004 – Rv. 226972; Sez. 2, Sentenza n. 40381 del 18/10/2005 Ud. – dep. 07/12/2006 – Rv. 235303). La Corte territoriale ha rilevato, al riguardo che, in ogni caso, sussistono anche ulteriori elementi probatori, oltre alle dichiarazioni confessorie dell’imputata, concordanti tra loro, quali le indagini di polizia giudiziaria, le dichiarazioni dei testi, gli accertamenti sulle utenze telefoniche e sull’utilizzo di biglietti acquistati con la carta di credito intestata a terze persone.

2) Col secondo motivo viene censurata l’illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 e sull’entità della pena inflitta, richieste che la Corte d’Appello ha, disatteso rilevando che la circostanza attenuante non era riconoscibile in considerazione dell’entità effettiva del danno, pur apportando una considerevole riduzione alla sanzione irrogata in primo grado, tenendo conto del comportamento processuale dell’imputata. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, "al fine di accertare la tenuità del danno, bisogna verificare la sussistenza di tale carattere prima sotto il profilo oggettivo, in base al valore della "res" o della somma, e poi sotto quello soggettivo, in relazione alle condizioni economiche del soggetto passivo. Qualora però l’esito della prima considerazione sia negativo, la seconda indagine è del tutto superflua". (Cass. Sez. 3 sent. n. 11035 del 21.10.1993 dep. 2.12.1993 rv 195944). Anche il rilievo relativo alla determinazione della pena va disatteso; in proposito questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio – condiviso dal Collegio – che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen.. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (Sez. 4, Sentenza n. 41702 del 20/09/2004 Ud. – dep. 26/10/2004 – Rv.

230278) e la Corte di appello ha, peraltro, già diminuito la pena inflitta riducendola da mesi otto a mesi cinque di reclusione.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *