Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 02-03-2011) 11-04-2011, n. 14534 Custodia cautelare in carcere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza emessa in data 20.10.2010 il Tribunale del Riesame di Torino respingeva la richiesta di riesame avanzata da C. G. avverso l’ordinanza dell’11.10.2010 del GIP del Tribunale di Torino, che gli applicava la misura cautelare carceraria per reati in materia di stupefacenti del tipo cocaina (commessi il 9.10.2010).

Il fatto come riportato nell’ordinanza impugnata.

Da un appostamento della Polizia sia all’esterno che all’interno dell’edificio di Via (OMISSIS), nonchè nei pressi del vicino ristorante MC DONALD’S, la mattina del 9 ottobre 2010 emergeva che giungeva ivi una VW Golf condotta da S.D. che parcheggiava sulla rampa di accesso al ristorante.

S. scendeva dall’auto, andava ad acquistare un pacchetto di sigarette nel complesso commerciale di cui faceva parte il ristorante, e poi entrava nello stabile anzidetto.

Al sesto piano di questo edificio abitava il ricorrente, C. G..

S. entrava nell’abitazione di C. per poi uscire poco dopo e prendere l’ascensore.

Uscito dallo stabile, S. si dirige a piedi verso il parcheggio del ristorante, dove da una decina di minuti si trovava, in attesa, V.J..

I due salivano su di una BMW; V. si mise alla guida.

Il veicolo faceva "solo qualche metro a passo d’uomo", per fermarsi sulla rampa di uscita del parcheggio;

S. scendeva dirigendosi nuovamente verso il condominio di C..

V. ripartiva a bordo della BMW: gli operanti lo seguivano per poi bloccarlo all’angolo fra Via (OMISSIS).

V. mostrava subito agli operanti l’involucro contenente quasi 50 grammi di cocaina che aveva con sè.

Nel frattempo, S. tornava nell’abitazione di C..

Poco dopo S. e C. uscivano insieme dall’appartamento, prendevano l’ascensore che era ancora al piano, uscivano dallo stabile e salivano a bordo della VW Golf con cui S. era giunto pochi minuti prima.

A questo punto i due venivano bloccati.

Gli operanti trovavano: nascosti sopra una canalina interna all’ascensore, posta in alto lateralmente rispetto all’illuminazione, 3 involucri contenenti in tutto 42,45 grammi di cocaina;

nell’abitazione di C., dei ritagli di cellophane di colore bianco ritenuto identico a quello delle tre confezioni trovate nell’ascensore, due bilancini di precisione, ed altro cellophane di colore azzurro ritenuto identico a quello dell’involucro che aveva V..

C. aveva nel portafogli 170,00 Euro in banconote e, nel borsello, "numerosissimi fogli manoscritti e block notes riportanti nomi e accanto cifre di denaro e diverse utenze telefoniche", come si leggeva nel verbale di perquisizione e sequestro; all’interno di una giacca custodita in un armadio all’interno dell’appartamento dell’indagato ricorrente, gli operanti trovano altri 3.250,00 Euro in contanti.

Il V. rendeva delle spontanee dichiarazioni prima dell’udienza di convalida, ma il relativo verbale non era nel fascicolo a disposizione del Tribunale.

Avanti il G.I.P., il V. anzitutto confermava tali dichiarazioni, per poi aggiungere, tra l’altro, di aver acquistato lo stupefacente che sarebbe servito a sè e a qualche suo amico che lo avrebbe pagato; del pari anche i 50 gr. di cocaina comprati prima sarebbero stati da lui consumati, ma negava di aver acquistato la droga dal C..

Il Tribunale, valutato il mendacio delle dichiarazioni rese dal C. e dallo S. (secondo cui il loro incontro avrebbe avuto l’unico scopo di andare alla ricerca di una vettura usata per il primo), riteneva che lo S. fosse dapprima salito dal C. per ritirare lo stupefacente che doveva consegnare al V., traendone riscontro dall’identità apparente della plastica (azzurra) con cui era confezionata la droga del V. e quella trovata a casa del C. e, dall’analogo elemento accomunante tra la droga rinvenuta in ascensore ed altri ritagli della predetta plastica (bianca) reperiti nell’abitazione del C., ravvisava anche un legame sufficientemente solido tra lo stupefacente trovato nell’ascensore e il C..

Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione il difensore di fiducia di C.G., deducendo la mancanza di motivazione e/o l’inosservanza di norme processuali in ordine alla sussistenza di ulteriori elementi di riscontro dei gravi indizi di colpevolezza.

Ribadisce le tesi difensive disattese dal Tribunale del riesame sia in relazione alla ragione dell’incontro tra lo S. e C. (visionare un’auto usata); la negazione dello S. circa la ricezione dello stupefacente dal C., laddove invece, il V. considerava il C. coinvolto perchè presente (come " B.") agli accordi assunti nel bar tra S. e il V. stesso.

Contesta, poi, l’efficacia di riscontro nella somiglianza della plastica, poggiandosi su quanto asserito al riguardo dallo stesso Tribunale circa la necessità di approfonditi accertamenti ulteriori e la riconducibilità del denaro rinvenuto ad origine illecita.

Deduce, infine, la violazione di norme processuali stabilite a pena nullità o inutilizzabilità e specificamente dell’art. 309 c.p.p., commi 5 e 10, non essendo state trasmesse al Tribunale le dichiarazioni rese dal V. prima dell’udienza di convalida.

Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse aspecifiche, oltre che manifestamente infondate.

Giova premettere che eccede dalla competenza della Cassazione ogni potere di revisione e di apprezzamento degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nonchè ogni valutazione sulle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare e del tribunale della libertà (Cass. pen. Sez. 4^, 17.8.1996, n. 2050, Rv. 206104).

Allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Cass. pen. Sez. Un. 22.3.2000, n. 11 Rv. 215828).

Detto altrimenti: in tema di misure cautelari personali, l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato.

Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda nè la ricostruzione dei fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvono in realtà nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito.

Nel caso di specie, il Tribunale del riesame ha spiegato con doviziose argomentazioni e minuziosa analisi degli elementi investigativi raccolti, la convergenza degli elementi indiziari sull’odierno ricorrente in ordine ad entrambi i reati ascrittigli.

La riconosciuta necessità di ulteriori accertamenti in ordine ai ritagli di plastica dei due diversi colori rinvenuti nell’appartamento e corrispondenti a quella che avvolgeva lo stupefacente dell’ascensore e quello consegnato dal V. e sulle tracce di droga sui bilancini di precisione è prefigurata solo per tuziorismo probatorio, cioè per aver la certezza della prova a carico, ma chiaramente la circostanza oggettiva rilevata non esclude la ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza, poichè, come osservato dal Giudice di merito, la prospettazione accusatoria è l’unica che spiega persuasivamente sia il motivo per cui lo S. abbia dato appuntamento al V. per consegnargli la droga proprio sotto l’abitazione del C., sia il motivo per il quale lo S. si sia portato dal C. prima di incontrare il V. per poi ritornare a prendere il ricorrente dopo la consegna dello stupefacente.

La reiterazione delle prospettazioni difensive benchè disattese con adeguata motivazione dal Giudice a quo, implica anche l’aspecificità delle relative censure oggi prospettate.

Invero, già è stato spiegato che la mancata trasmissione delle iniziali dichiarazioni del V., non è rilevante perchè gli elementi in possesso del Tribunale erano comunque sufficienti ai fini della pronuncia in ordine alla sussistenza dei gravi indizi e del resto, le spontanee dichiarazione del V., come rilevato dall’ordinanza custodiale, rilevavano fondamentalmente in relazione alla posizione dello S..

Per non dire che tali dichiarazioni sono state comunque confermate dal V. dinanzi al GIP, consentendone la piena ricostruzione (pag. 2 ordinanza impugnata).

Del resto, è stato affermato, in proposito, che in tema di riesame delle misure cautelari, l’ordinanza perde efficacia soltanto in conseguenza della mancata trasmissione nei termini di tutti gli atti presentati con la richiesta al G.I.P. e non in conseguenza di una trasmissione parziale degli atti medesimi (Cass. pen. Sez. 4^, n. 8114 del 17.11.2005 Rv. 233530).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

Non conseguendo dalla presente sentenza la rimessione in libertà dell’indagato si deve disporre, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, che la cancelleria trasmetta copia del presente provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario competente.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al direttore dell’Istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *