T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 05-04-2011, n. 3008 Procedimento e provvedimento disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Collegio ritiene possibile, allo stato degli atti, l’immediata definizione della causa e di ciò è stato fatto avviso alle parti presenti in camera di consiglio.

Con il ricorso in esame, il ricorrente, maggiore dell’aeronautica militare all’epoca dei fatti, impugna il decreto ministeriale n. 320 del 29 luglio 2010 con il quale il generale di Corpo d’Armata gli ha inflitto la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari perché "ufficiale in servizio dell’aeronautica militare rubava dal portafoglio di un subordinato quattro assegni bancari non compilati, li compilava con dati falsi e li usava per far fronte a dei debiti personali…".

Il ricorrente riferisce di essere stato condannato alla pena, sospesa, di due mesi e venti giorni di reclusione con sentenza 19 settembre 2008 della Corte d’Appello di Roma, divenuta irrevocabile il 3 marzo 2009. In data 28 gennaio 2010 il comandante di corpo operativo ha disposto nei suoi confronti l’apertura di una inchiesta formale disciplinare contestandogli i fatti di cui sopra. All’esito del procedimento disciplinare, previa audizione dinanzi al consiglio di disciplina, è stato emesso l’impugnato decreto.

Come seguono le censure dedotte in ricorso:

a)il procedimento disciplinare è stato aperto con l’inchiesta formale in data 28 gennaio 2010 e si è concluso con il d.m. del 29 luglio 20910, oltre il termine perentorio di novanta giorni come disciplinato dal’art. 9 della L. m. 19/1990;

b)non è stato consentito al ricorrente il diritto di difesa mediante assistenza di un difensore;

c)sproporzionalità e gravità della sanzione rispetto ai fatti ed al comportamento in servizio del ricorrente.

Con ordinanza n. 1641/2010 sono stati chiesti documentati chiarimenti all’amministrazione.

L’incombente è stato assolto.

L’amministrazione ha depositato ulteriore documentazione in data 29 gennaio 2011.

Il difensore del ricorrente ha controdedotto con memoria depositata il 31 gennaio 2011.

Il ricorso è infondato.

Il Tribunale di Viterbo, dopo avere riqualificato il reato di "furto militare" in "furto" ( art. 625 c.p.) e dichiarato il non luogo a procedere per il reato di falsità in titoli di credito, accertava la responsabilità penale dell’ufficiale per il reato di "furto" e lo condannava a mesi due e giorni 20 di reclusione ed al pagamento della multa di Euro 200,00.

La sentenza veniva confermata in appello passando in giudicato il 3 marzo 2009.

L’amministrazione veniva a conoscenza del provvedimento il 10 novembre 2009.

Questi i fatti giudiziari, l’amministrazione ha avviato il procedimento disciplinare in data 28 gennaio 2010 (inchiesta formale disciplinare).

Il provvedimento disciplinare è stato adottato il 29 luglio 2010.

La questione, in punto di diritto, trova soluzione nell’art. 9 della legge n. 19 del 1990 secondo l’interpretazione che di esso ha fornito la giurisprudenza. Detto articolato riguarda, segnatamente, i procedimenti disciplinari (e solo quelli) attivati a seguito di condanna penale riportata dal pubblico dipendente.

La disposizione dianzi indicata prevede che il procedimento disciplinare "…deve essere proseguito o promosso entro centoottanta giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni".

Il ricorrente lamenta il fatto che alla data di adozione della determinazione impugnata (29 luglio 2010) era decorso il termine perentorio dei 90 gg, entro il quale il procedimento avrebbe dovuto essere definito.

La censura non ha pregio.

Sulla questione si era già pronunciata la Plenaria con decisioni nn. 4, 5 e 7 del 25 gennaio 2000 stabilendo che il termine di 90 gg. decorre dalla "scadenza virtuale" del primo (termine di avvio del procedimento), sicché il tempo che non può essere superato, a pena di violazione della perentorietà del termine, è quello totale di 270 gg. (180 + 90) desumibile dalla legge.

La questione è successivamente tornata all’attenzione della Plenaria, su ordinanza di remissione del CGARS; orbene, la Plenaria, con decisione n. 1 del 14 gennaio 2004, ha confermato l’orientamento precedente anche alla luce della sopravvenuta legge 27 marzo 2001, n. 97, ribadendo che i due termini non sono in rapporto antitetico e vanno considerati unitariamente, dal che la massima che il termine di 90 gg. stabilito dall’art. 9 comma 2 L. 7 febbraio 1990 n. 19 per la conclusione del procedimento disciplinare nei confronti del dipendente pubblico inizia a decorrere non già dalla data dell’effettivo avvio del procedimento stesso ma dalla scadenza dei centoottanta giorni, sempre previsti dall’art. 9 legge citata, che costituiscono il periodo temporale massimo entro il quale -avuta conoscenza della sentenza penale di condanna – deve avere inizio o proseguire il procedimento sicché il tempo che non può essere superato, a pena di violazione della perentorietà del termine, è quello totale di 270 giorni.

Orbene, nel caso in esame il provvedimento disciplinare è stato adottato il 29 luglio 2010 allorquando non era ancora trascorso il periodo temporale massimo stabilito in 270 gg., decorrente dal precedente 28 gennaio.

In conclusione, risulta tempestiva la conclusione del procedimento disciplinare. La Sezione ribadisce, pertanto, il principio più volte affermato dalla Plenaria (nel 2000 e nel 2004) e, cioè, che il tempo che non può essere superato – pena violazione della perentorietà del termine – è quello complessivo di 270 gg.. Orbene, partendo dal dies a quo del 28 gennaio 2010 si ricava che i 270 gg. andavano a scadere nel mese di ottobre successivo; ne consegue, che il provvedimento definitivo è stato adottato abbondantemente nei termini di legge.

E’ bene precisare, ad ogni buon fine, che il termine decadenziale di cui si discetta, previsto per la conclusione del procedimento disciplinare nei confronti degli impiegati civili dello Stato, si applica anche al procedimento disciplinare nei confronti del personale militare. Infatti, dopo l’intervento della Corte costituzionale contenuto nelle decisioni 145/76 e 264/90, deve ritenersi ingiustificata in materia ogni differenziazione tra dipendenti civili e dipendenti militari e, quindi, costituzionalmente imposta la previsione di un termine di decadenza per l’adozione del provvedimento disciplinare.

L’interessato si duole di un vulnus al proprio diritto di difesa non avendogli, l’amministrazione, consentito la nomina di un difensore militare di fiducia.

La censura è infondata.

L’art. 68 del regolamento di disciplina militare (ratione temporis vigente) trova applicazione per i procedimenti preordinati all’irrogazione di sanzioni di corpo e non di stato.

Il procedimento disciplinare per violazioni punite con sanzioni disciplinari di stato non prevede la difesa tecnica dell’incolpato mediante la nomina di un difensore di fiducia militare. La sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 1992, nel dare atto della peculiarità dell’ordinamento militare, si riferisce alle disposizioni concernenti il procedimento per l’irrogazione di sanzioni disciplinari di corpo, mentre la disposizione oggi denunciata riguarda il procedimento per l’irrogazione di sanzioni disciplinari di stato.

La nota con cui l’amministrazione ha comunicato al ricorrente che "durante la seduta non è prevista l’assistenza del difensore" è perfettamente aderente alla disciplina di settore ratione temporis vigente (oggi vedi art. 1370 del D.Lvo n. 66/2010).

Più in generale, il comportamento dell’amministrazione neppure appare illegittimo per violazione degli artt. 3, 24 e 97 Cost. ed eccesso di potere.

Le regole procedurali dell’attività amministrativa di esercizio del potere disciplinare sono diverse sì, ma tutte dirette ad assicurare comunque di volta in volta una esatta valutazione degli interessi coinvolti nella decisione da adottare; regole che quando si traducono – nella peculiarità dell’ordinamento militare – nella limitazione della difesa tecnica ad alcune soltanto delle fattispecie disciplinari, non appaiono tali da comportare una lesione nè del principio di imparzialità dell’azione amministrativa garantito dall’art. 97 cost. nè del diritto ineludibile dell’interessato ad una adeguata difesa entrambi garantiti, comunque, dall’esistenza, anche in tale ipotesi, di quel nucleo minimo di garanzie procedimentali che, alla stregua dei principi generali dell’ordinamento, è da riconoscersi all’incolpato nell’ambito di un procedimento disciplinare, anche al di là delle espresse previsioni normative di settore, e che si specificano, per quanto qui rileva, nel diritto alla preventiva contestazione degli addebiti ed in quello ad una adeguata istruttoria, che contempli l’esame delle difese dell’interessato: nucleo, questo, che non risulta nè in astratto nè in concreto violato dall’amministrazione.

Neppure è ravvisabile, nella fattispecie, una manifesta sproporzione o irrazionalità della misura sanzionatoria applicata nei confronti del ricorrente. Il Collegio non può, infatti, trascurare – nei limiti della verifica esterna del potere esercitato – la natura e consistenza dei fatti contestati al ricorrente, il comportamento da costui tenuto, il ruolo ricoperto all’interno dell’organizzazione militare, le funzioni esercitate, le responsabilità istituzionali, la delicatezza dei compiti, i precedenti disciplinari e le qualifiche in sede di valutazione non eccellenti; elementi, tutti, che sono stati apprezzati dall’amministrazione non certo, o necessariamente, in considerazione della entità della condanna, bensì, e soprattutto in relazione ai valori dell’ordinamento militare, propri dell’Istituzione, funzionali all’immagine della medesima avuto riguardo ali particolari compiti ed all’impegno civile che l’Arma dei Carabinieri assolve, storicamente, nella società civile; valori la cui tutela è demandata alla stessa amministrazione militare che nel procedere alla fatti contestati, ai fini della loro rilevanza disciplinare, fa esercizio della propria discrezionalità senza che residui spazio per il sindacato del giudice amministrativo in ordine alla scelta di comminare una determinata sanzione disciplinare.

Il fatto, poi, che il giudice penale abbia applicato le circostanze attenuanti, solo perché prevalenti rispetto a quelle aggravanti, e sospeso la pena, nulla aggiunge in proposito poiché tali evenienze rilevano, nel diverso procedimento disciplinare, come elementi rimessi all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione procedente nella graduazione della sanzione.

Anche la circostanza che il militare si sarebbe ravveduto successivamente ai fatti contestati (vedi elogi) non incide ai fini della proporzionalità della sanzione costituendo, questa, la risultante di un giudizio storico e non prognostico.

In conclusione, il ricorso in esame è infondato e va, perciò, respinto.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero della Difesa che si liquidano in Euro 1.500,00

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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