Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 02-03-2011) 11-04-2011, n. 14532

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di V. S. avverso l’ordinanza emessa in data 4.2.2010 dalla Corte di Appello di Napoli che, riconoscendo il diritto del V. ad ottenere la riparazione per l’ingiusta detenzione (in carcere per 5 giorni e agli arresti domiciliari per altri 25 giorni) subita perchè imputato dei reati di cui agli artt. 416, 319, 319 bis, 321, 353 e 479 c.p. dai quali era stato poi assolto con formula ampia, liquidava in suo favore la complessiva somma di Euro 15.000,00.

Il ricorrente ritiene insufficiente la somma liquidata in relazione ai danni subiti e al titolo di reato che gli era stato contestato, e denuncia la carenza di motivazione del provvedimento impugnato oltre alla violazione di legge.

Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.

Il ricorso è infondato.

La motivazione del provvedimento, nella parte relativa alla determinazione dell’indennità liquidata, appare adeguatamente articolata e resiste, pertanto, alle censure mosse in ricorso.

Invero, la liquidazione dell’indennizzo per la riparazione dell’ingiusta detenzione è svincolata da parametri aritmetici o comunque da criteri rigidi, e si deve basare su una valutazione equitativa che tenga globalmente conto non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà (Cass. pen. Sez. 4^, n. 40906 del 6.10.2009, Rv. 245369).

Orbene, il giudice deve attenersi ad un criterio equitativo nella determinazione dell’indennizzo (comprensivo anche del discredito e delle sofferenze morali) che non costituisce risarcimento del danno, essendo inapplicabili i principi della responsabilità da fatto illecito ( art. 2043 c.c.) alla determinazione della somma necessaria per l’equa riparazione" della custodia cautelare subita (Cass. pen. Sez. 4^, n. 129 del 31.1.1994, Rv. 196974), e la giurisprudenza di legittimità, in tema di liquidazione del quantum relativo alla riparazione per ingiusta detenzione, si è stabilmente orientata (v.

Cass. pen. Sezioni Unite, 9.5.2001, n. 24287 Rv. 218975) nella necessità di contemperare il parametro aritmetico – costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2, (Euro 516.456,90) e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, lett. c), espresso in giorni (sei anni ovvero 2190 giorni), moltiplicato per il periodo anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita – con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto, che non può mai comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito.

Quindi dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tenuto presente, è costituito dal parametro aritmetico (individuato, alla luce dei criteri sopra indicati, nella somma di Euro 235,82 per ogni giorno di detenzione in carcere ed nella metà di tale somma per ogni giorno di arresti domiciliari, in ragione della ritenuta minore afflittività di tale modalità di custodia restrittiva.

Siffatto parametro non è vincolante in assoluto ma, raccordando il pregiudizio che scaturisce dalla libertà personale a dati certi, costituisce certamente il criterio base della valutazione del giudice della riparazione, il quale, comunque, potrà derogarvi in senso ampliativo (purchè nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge) oppure restrittivo, a condizione però che, nell’uno o nell’altro caso, fornisca congrua e logica motivazione della valutazione dei relativi parametri di riferimento.

Nel caso di specie, come si è detto, la Corte di Appello ha dato ampiamente conto del criterio seguito nella determinazione dell’indennizzo liquidato: il giudice, del resto, benchè abbia l’obbligo di motivare in ordine alla valutata equità dell’indennizzo non è tenuto ad una determinazione dell’importo che tenga dettagliatamente conto delle eventuali varie voci di danno, visto che il legislatore ha costruito l’equa riparazione non come risarcimento del danno (cioè rifusione dei danni materiali, intesi come diminuzione patrimoniale o lucro cessante), sebbene come indennizzo, come atto dovuto, di solidarietà nei confronti di chi è stato ingiustamente privato della libertà.

Invero, la Corte mostra di aver tenuto nella debita considerazione tutti i nocumenti principali (durata e natura della restrizione) ed apprezzato in via equitativa gli aspetti connessi, quali i nocumenti psicologici e morali nonchè valutato l’esistenza di concreti pregiudizi economici dell’attività professionale di avvocato svolta dal ricorrente per il notevole discredito nell’immediatezza a seguito della sospensione dall’esercizio professionale e dei riflessi ingenerati nell’opinione pubblica, riconducibili alla detenzione, a tal fine incrementando in modo congruo e significativo (di oltre due volte) l’importo risultante dell’applicazione del puro criterio nummario sopra richiamato, pari ad Euro 4.126,85, per la detenzione carceraria e domiciliare.

E’ appena il caso di rilevare che il richiamo al periodo di latitanza, nella materia de qua, è stato operato, non già ai fini probatori, ma solo per evidenziare come i riflessi negativi derivati dall’ingiusta detenzione siano stati sostanzialmente "accentuati" (cioè aggravati) dalla scelta del richiedente di sottrarsi per circa quattro mesi alla cattura, con la conseguente detrazione di tale aggravamento alla valutazione dell’indennità riconoscibile.

Il ricorso va, pertanto, rigettato e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., a tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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