Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 02-03-2011) 11-04-2011, n. 14526 Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 15.7.2008 il G.U.P. del Tribunale di Vibo Valentia, all’esito del giudizio abbreviato, condannava Pu.

G., con circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili da liquidarsi in separata sede (disattendendo la richiesta di provvisionale), avendolo riconosciuto colpevole del delitto di cui all’art. 589 c.p. in danno di Pa.

B., così riqualificando il fatto di cui alle imputazioni per le quali il dr. Pu. era stato rinviato a giudizio e consistenti:

a) nella violazione dell’art. 328 c.p., per aver omesso (dolosamente) un atto del proprio ufficio, in quanto, richiesto di effettuare urgentemente un intervento nei confronti di D.P.B., alle ore 0,25 del 19 luglio 2005 (in (OMISSIS)), per un trauma cranico (.. dovuto ad un caduta accidentale verificatasi alle ore 23,00), avrebbe ritardato indebitamente di fare sottoporre ad esame TAC dell’encefalo e a costante monitoraggio, per accertare la (presunta) sussistenza di un’emorragia cerebrale in atto;

b) nella "violazione" dell’art. 586 e 589 perchè, in conseguenza della condotta di cui al capo a), ritardando in tal modo la diagnosi di emorragia cerebrale in atto ed il conseguente intervento chirurgico e farmacologico, effettuato solo alle 11,30 del 19.07.2005, cagionava il decesso di D.P.B. (in (OMISSIS)).

Quanto alla descrizione della dinamica dei fatti, risultava pacifica la seguente ricostruzione, che veniva poi richiamata integralmente dalla sentenza della Corte di Appello, con particolare riferimento alla scansione temporale degli eventi, a cominciare dall’arrivo del paziente, D.P.B., caduto dalle scale della sua abitazione, presso l’Ospedale di (OMISSIS), alle ore 0,25 circa del 19-6-2005, dal quale veniva dimesso da parte del dott. Pu., previo esame neurologico e flebo disintossicante, con la diagnosi di "escoriazione al cuoio capelluto in paziente con ebbrezza alcolica".

Dopo circa due ore (intorno alle ore 3,30: deposizione dell’infermiera S.), i familiari del D.P., avendo notato un peggioramento delle condizioni del loro congiunto, si recavano nuovamente presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di (OMISSIS), dove il dott. Pu. li invitava a chiamare il 118, per chiedere l’intervento della Guardia Medica.

Risultava, quindi, che il paziente aveva fatto nuovamente ingresso nella citata struttura alle ore 5,00, con la diagnosi "Disartria, cefalea, ictus cerebrale secondario a caduta", e che il dott. Pu. ne aveva disposto l’invio all’Ospedale di (OMISSIS) per TAC cerebrale e consulenza neurologica, in quanto l’apparecchiatura dell’ospedale di (OMISSIS) non era funzionante.

L’arrivo presso l’ospedale di (OMISSIS) doveva essere collocato, sulla scotta delle emergenze acquisite, intorno alle ore 6,06, mentre la TAC era stata effettuata alle ore 6,33, evidenziando un focolaio emorragico, con emorragia sub-aracnoidea diffusa.

Il paziente era stato ricoverato nel reparto di neurologia, dove era stato sottoposto a due diverse osservazioni, alle ore 9,30 e alle ore 11,00, all’esito delle quali, alle ore 11,30, era stato sottoposto ad intervento chirurgico.

Era stata effettuata, quindi, un’ulteriore TAC, sulla scorta della quale si era deciso di sottoporre il paziente ad un nuovo intervento, ma le condizioni del D.P., ormai gravissime, non avevano mostrato alcun segno di ripresa, fino all’exitus, avvenuto alle ore 11,00 del 21.7.2005.

Con la predetta sentenza, il GUP affermava la responsabilità penale dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art. 589 c.p., ravvisata in una condotta imprudente che – spiegava il Giudice – doveva "conclusivamente essere individuata nell’aver ritardato l’invio del paziente presso l’ospedale di (OMISSIS) dove avrebbe potuto effettuare l’accertamento strumentale … e l’intervento chirurgico necessari (v.si a pag. 7 sentenza GUP). Ed ancora – scriveva sempre il primo Giudice – "il ritardo nella sottoposizione a monitoraggio del paziente …è da individuarsi non tanto per non aver tenuto in osservazione ospedaliera il paziente … ma perchè non ha provveduto all’immediato trasferimento dell’infortunato ad un centro attrezzato per gli esami strumentali e per l’eventuale intervento d’urgenza" (a pag. 8 sentenza GUP di Vibo Valentia).

Tale condotta sarebbe stata posta in essere alle ore 0,25 del 19 luglio 2005, quando (come si evince dalla stessa sentenza del GUP) a quell’ora non vi era alcun segno di impegno cerebrale, ma vi era, piuttosto, una situazione clinica obbiettiva che anzi l’escludeva (il trauma cranico,… alle ore 0.25 non aveva evidenziato conseguenze di natura neurologica, i cui segni invece erano insorti successivamente, qualche tempo prima che i congiunti del D.P. allertassero nuovamente i presidi sanitari, intorno alle ore 4,44) (così a pag.

14 della sentenza GUP).

Confermando, con sentenza in data 27.5.2010, quel giudizio di colpevolezza, la Corte di Appello di Catanzaro, adita su appello sia dell’Imputato sia delle parti civili, asseriva, tra l’altro (a pagg.

7-8 della sentenza impugnata), che si doveva ritenere configurabile la colpa dell’imputato ravvisata "nella mancata percezione del livello di rischio del paziente e nella non corretta interpretazione del significato di una osservazione ospedaliera per pazienti a rischio di complicanze emorragiche cerebrali, che aveva comportato un apprezzabile ritardo nel far giungere il medesimo in un presidio sanitario adeguatamente attrezzato per tali emergenze".

Avverso tale ultima sentenza ricorrono per cassazione sia i difensori di fiducia di Pu.Gi. sia il difensore e procuratore speciale delle parti civili costituite.

Per l’imputato sono stati articolati 8 motivi di ricorso.

1. La violazione dell’art. 521 c.p.p. e conseguente nullità della sentenza per mancanza di correlazione tra accusa e il reato di omicidio colposo posto a base della sentenza impugnata.

Si evidenzia, in proposito, che la sentenza di primo grado era stata emessa a seguito di giudizio abbreviato e che quindi l’imputato, in relazione alla concreta possibilità di difendersi, era vincolato a tale particolare rito. Inoltre si sottolinea la diversità dell’oggetto dell’imputazione inizialmente contestata quale "indebito" (cioè doloso ex art. 328 c.p.) ritardo e il ritardo ritenuto in sentenza alla stregua di non precisate regole di condotta professionale.

2. La violazione dell’art. 43 c.p., comma 3 e art. 589 c.p. e vizio motivazionale per mancata considerazione di elementi di prova decisiva.

Il Giudice di secondo grado avrebbe dovuto specificare il titolo atto a rendere(ai sensi dell’art. 43 c.p., comma 3) colposa la condotta (negligenza o imprudenza o imperizia o violazioni di leggi o regolamenti): laddove sul punto la motivazione era contraddittoria a fronte della completa aderenza del comportamento del Pu. alle linee guida per la diagnosi e il trattamento del Trauma cranico lieve dell’adulto secondo l’AUSL di Romagna, prodotto in udienza.

Inoltre, la Corte territoriale non aveva evidenziato, benchè avesse dichiarato di aderire all’accertamento sul fatto operato dal primo Giudice, che il Pu. – come rilevato nel primo motivo d’appello – aveva, dopo un’ora circa di visite e flebo, affidato il paziente "ai familiari facendo loro presente che se avessero notato qualcosa di anomalo nel suo comportamento avrebbero dovuto chiamare il servizio di emergenza sanitaria 118 in quanto sarebbe stato necessario trasportarlo a (OMISSIS) per eseguire una TAC, in quanto l’apparecchiatura dell’Ospedale di (OMISSIS) non era funzionante": cioè quella di chiamare il 118 era una prescrizione chiara del Pu. e ne connotava positivamente l’operato, mentre la Corte aveva gravemente travisato i fatti, (in contrasto con la sentenza di 1^ grado a pag. 3) affermando che dopo due ore il Pu. aveva invitato i familiari a chiamare il 118 per chiedere l’intervento della Guardia medica (ometteva, cioè, di scandire i passaggi della prescrizione in sede di dimissione e della successiva ripresentazione dei familiari al pronto soccorso per riferire dell’aggravamento del congiunto e l’esatta risposta del Pu.).

3. La violazione di legge in relazione all’art. 40 c.p. ed il vizio motivazionale relativamente al mancato riconoscimento della inidoneità del comportamento addebitato al dr. Pu. di produrre l’evento.

Si evidenzia come il ritardo di quattro ore e mezza nel disporre il trasferimento a (OMISSIS) imputato al Pu. andava contenuto, sulla scorta della ricostruzione degli eventi quali emergenti dagli atti e dalla sentenza del GUP, in appena 15 minuti e quindi non incidente sugli avvenimenti che avevano portato il paziente al decesso.

4. Ancora la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine all’interruzione del nesso di causalità ex art. 41 c.p., comma 2, non essendo stati considerati gli avvenimenti a valle della fase di osservazione (ritardo, ascrivibile ai familiari e successivo ritardo nell’effettuazione dell’operazione, tra le 6,05 e le 11,30); mancanza di motivazione circa l’ambito del ritardo attribuito al Pu., in relazione agli altri ritardi e a gli altri interventi medici (due interventi chirurgici).

5. Ancora la violazione di legge ed il vizio motivazionale in riferimento all’affermazione del nesso di causalità, non potendosi affermare con certezza, in difetto totale della relativa prova, che la mancata anticipazione dell’operazione chirurgica potesse essere effettivamente attribuita al Pu., in quanto l’arrivo del paziente a (OMISSIS) era ancora tempestivo poichè era ancora utilmente operabile.

La Corte aveva fondato il convincimento su una mera congettura, in quanto nulla sosteneva la motivazione nel ritenere sussistente la capacità salvifica di quel "tempestivo invio (delle ore 00,25)" a (OMISSIS).

Nè si apprezza con quale prova la Corte avesse potuto sostenere che il monitoraggio intraospedaliero avrebbe consentito di anticipare l’intervento chirurgico (qualche ora dopo il primo esame neurologico presso il P.S. dell’Ospedale (OMISSIS)), mentre con valutazione ex post, a nulla era valso per il paziente giungere nell’ambiente ospedaliero in condizioni di utile operatività.

La Corte aveva omesso, tra l’altro, di valutare che proprio la diagnosi del dr. Pu. aveva suscitato un’indagine strumentale tempestiva e mirata che aveva subito dato indicazione dell’intervento chirurgico che sarebbe stato possibile effettuare per oltre tre ore e mezza.

Non si comprende in qual modo il supposto ritardo addebitato al Pu. avesse impedito, in termini di rigorosa efficienza causale, ai neurochirurghi di (OMISSIS) di effettuare con urgenza, appena dopo il primo esame TAC (6,35, da cui già si evinceva il punto di focolaio emorragico) e comunque in tutto l’arco di presumibile operatività (valore 11 del GCS: Glasgow Come Scale), perdurato ininterrottamente fino alle ore 9,30 (orario dell’effettivo peggioramento) quell’auspicabile intervento chirurgico di craniotomia fronto-temporale destra (effettuato solo alle 17,30 di quel giorno).

6. La carenza motivazionale in ordine alle censure medico legali e logiche mosse nell’atto d’appello alla relazione del consulente del P.M., dr. C., alle cui conclusioni il GUP aveva aderito.

7. La violazione di legge in ordine all’acquisizione della predetta relazione del dr. C., incaricato di espletare anche l’esame autoptico, poichè inutilizzabile, non essendo stato dato avviso al Pu. e al suo difensore, come già denunciato al GUP. 8. La violazione di legge in ordine all’omessa dichiarazione di tardività dell’appello (il cui termine sarebbe spirato il 30.10.2008) della parte civile.

Con motivi aggiunti, depositati il 14.2.2011, sono stati nuovamente illustrati taluni dei motivi di ricorso predetti con particolare riferimento al primo (difetto di correlazione tra accusa e sentenza);

e prospettata la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine all’indeterminatezza del capo d’imputazione, poichè a seguito della trasposizione dall’ipotesi dolosa sub a) a quella colposa sub b) risultava omessa la descrizione della condotta ascritta all’imputato.

Viene ribadita la violazione di legge ed il vizio motivazionale circa il nesso di causalità con il richiamo ai principi stabiliti dalla nota sentenza " F." e rilevato che, eliminando concettualmente la condotta ascritta al Pu., non solo non vi era certezza alcuna che l’evento non si sarebbe verificato, ma la sua produzione appariva altamente probabile, poichè non vi era alcun dato processuale che consentisse di ricavare che l’anticipazione del ricovero a (OMISSIS) avrebbe evitato l’innescarsi della concatenazione causale che aveva condotto all’evento morte, anzi vi era prova del contrario.

Si evidenzia, ancora, che non era verificato se, in presenza della condotta omessa, l’evento sarebbe stato certamente evitato e il difetto di valutazione di cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento, non potendo essere il Pu. in grado di prevedere la successione assolutamente abnorme degli eventi successivi al suo intervento diagnostico.

Nell’interesse delle parti civili si deduce la violazione di norme sostanziali e processuali, nonchè il vizio motivazionale, per la conferma della sentenza del GUP in relazione all’assoluzione dal reato di cui all’art. 328 c.p. e al rigetto della richiesta di provvisionale. Ci si duole, altresì, dell’omessa valutazione da parte della Corte territoriale circa le domande avanzate con l’atto di appello di condanna dell’imputato alla sospensione dall’albo professionale e dall’esercizio della professione sanitaria e alla pubblicazione della sentenza di condanna nonchè al pagamento delle spese processuali anche del 2 grado di giudizio.

Con motivi aggiunti si rappresenta la tempestività dell’appello proposto dalle parti civili (depositato il 28.10.2008), ci si duole della condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali, e si supporta la correttezza delle sentenze di merito in ordine alla ritenuta responsabilità penale del dr. Pu., contestando la fondatezza dei motivi di ricorso addotti dalla difesa dell’imputato.
Motivi della decisione

Il ricorso dell’imputato è infondato.

Le censure sub 1, 6 e 7 della premessa sono aspecifiche, attesa la mera riproposizione delle medesime doglianze già prospettate in appello e disattese dalla Corte territoriale con congrua e corretta motivazione (v. pagg. 4 – 5 sent.). Dette censure sono comunque infondate.

Infatti, in ordine a quella sub 1, come le SS.UU. di questa Corte (n. 36551 del 15.7.2010, Rv. 248051) hanno recentemente affermato, "in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione".

E di certo non può ritenersi che l’inserimento dell’oggettiva condotta omissiva ipotizzata in ordine all’originariamente contestato delitto di cui all’art. 328 c.p. (afferente al ritardo a far sottoporre a costante monitoraggio e a TAC il paziente) nell’ampia fattispecie del delitto di omicidio colposo, peraltro specificamente collegata al predetto reato testualmente quale effetto della condotta ipotizzata come dolosa, abbia comportato quella "trasformazione radicale" della fattispecie dei cui elementi fattuali ed essenziali l’imputato era stato comunque messo al corrente, tanto da essere esaminato sul punto e posto in condizioni di apprestare ogni più adeguata difesa in ordine a tutti gli aspetti del comportamento tenuto nell’occasione. Nè la scelta dell’imputato di essere giudicato allo stato degli atti comporta una cristallizzazione del fatto reato nei limiti dell’imputazione: invero, non viene meno con la sentenza emessa a seguito del giudizio abbreviato il potere del giudice di dare in sentenza al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, previsto dall’art. 521 c.p.p., comma 1, non rilevando che in tale rito non sia applicabile, per l’esclusione fattane dall’art. 441 cod. proc. pen., l’art. 423 cod. proc. pen. (Sez. 6^, n. 9213 del 26.9.1996, Rv. 206207), e, per quanto sopra rilevato, la riqualificazione del fatto non implica una indebita compressione del diritto di difesa dell’imputato, specie laddove in concreto questa gli sia stata ampiamente offerta.

Quanto al motivo sub 6, va ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui (Sez. 4^, 24 ottobre 2005, n. 1149, Rv. 233187) "nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni suddette".

Analoga infondatezza si deve ribadire in ordine alla censura sub 7, circa l’inutilizzabilità della relazione tecnica (autoptica) del consulente del P.M., trattandosi di accertamento tecnico non ripetibile eseguito senza preventivo avviso all’odierno imputato:

invero, ricorre l’obbligo di dare l’avviso all’indagato e al difensore solo nel caso in cui al momento del conferimento dell’incarico al consulente sia già stata individuata la persona nei confronti della quale si procede, mentre tale obbligo non ricorre nel caso che la persona indagata sia stata individuata successivamente nel corso dell’espletamento delle operazioni peritali (Cass. pen. Sez. 4^, n. 20591 del 23.2.2010, Rv. 247327): e nel caso di specie, come rilevato dai giudici di merito, al momento dell’accertamento l’odierno ricorrente non era stato ancora iscritto nel registro degli indagati, avendo assunto tale qualità solo a seguito di formale iscrizione, solo all’esito delle conclusioni rassegnate dal consulente. Altrettanto infondata è la censura sub 8, dal momento che, come anche dimostrato dal difensore delle parti civili in sede di motivi aggiunti, l’atto d’appello delle parti civili fu depositato (come da annotazione della cancelleria in calce alla sentenza del GUP) in tempo utile e cioè il 23.10.2008, laddove il termine di 45 giorni, previsto nel caso di specie (sentenza depositata nei termini, ma con riserva per ex art. 544 c.p.p. di 60 giorni) per l’impugnazione, spirava il 30.10.2008.

Anche la censura sub 2, inerente alla colpa, è infondata.

Premesso che la Corte territoriale ha inteso fare una mera sintesi dei fatti che ha comportato necessariamente nella descrizione omissioni di taluni particolari, è da rilevare che la stessa Corte, aderendo integralmente per relationem, come in sua legittima facoltà, alla motivazione della sentenza di primo grado (che, com’è noto, si fonde con quella di appello in un unicum inscindibile, trattandosi, per giunta, di doppia pronunzia conforme), ha condiviso la medesima ricostruzione della vicenda che riporta sia il primo invito del Pu. ai familiari, in occasione della dimissione del congiunto, a chiamare il 118 e a trasportarlo all’ospedale di (OMISSIS) qualora avessero notato qualcosa di anomalo nel comportamento del paziente, sia il ritorno dei familiari verso le ore 3,30 per riferire del peggioramento delle condizioni del paziente e del nuovo invito loro rivolto dal Pu. a chiamare il 118 o la guardia medica, sia del rientro al Pronto Soccorso di Serra S. Bruno dei familiari assieme al paziente verso le ore 5,00 (dopo l’inutile telefonata effettuata alle ore 4,44 al 118), allorchè lo stesso Dr. Pu. chiedeva l’intervento del 118 (pagg. 3-4 sentenza di primo grado).

Sicchè il Giudice d’appello ha certamente tenuto conto del completo excursus del comportamento del dr. Pu. laddove vi ha ravvisato gli estremi della colpa. E della sussistenza di questa non vi sono dubbi di sorta: a parte il rilievo che il paziente con trauma cranico chiuso e che presentava un fattore di rischio costituito dall’ebbrezza alcolica, giunto al pronto soccorso alle ore 0,25 avrebbe dovuto essere tenuto in osservazione "per almeno sei ore in ambiente ospedaliero qualificato per espletare una valida osservazione e gestire tempestivamente, alla bisogna, la complicanza" (pag. 15 della sentenza di primo grado che richiama la relazione peritale), la sentenza impugnata ha puntualmente enucleato la colpa dell’imputato, sulla scorta delle convergenti osservazioni dei consulenti del P.M. e del perito nominato dal GUP (che ha sottolineato il livello di rischio aumentato in un paziente con trauma cranico ma in stato di ebbrezza alcolica anche lieve, per il quale non era nemmeno possibile valutare pienamente le condizioni neurologiche) ed in linea con quanto ritenuto dal GUP, come accennato in premessa, "nella mancata percezione del livello di rischio del paziente e nella non corretta interpretazione del significato di una osservazione ospedaliera per pazienti a rischio di complicanze emorragiche cerebrali, che aveva comportato un apprezzabile ritardo nel far giungere il medesimo in un presidio sanitario adeguatamente attrezzato per tali emergenze".

Insomma, è stata ben delineata la condotta colposa omissiva e i profili della colpa nell’imprudenza, imperizia e negligenza, laddove la valutazione delle linee guida dell’AUSL di Romagna, prodotte dalla difesa, che si assumono rispettate dal ricorrente, come sopra rilevato in relazione alla censura sub 6, deve ritenersi essere stata effettuata dal complesso dell’apparato motivazionale con esito negativo o, in ogni caso, apprezzata come irrilevante.

Per quel che concerne i residui motivi sub 3, 4 e 5, concernenti il rapporto di causalità, si deve rilevare quanto segue.

I giudici di primo e secondo grado hanno correttamente ricostruito in fatto la vicenda processuale, argomentando sulla base di elementi probatori esaustivamente acquisiti, adeguatamente apprezzati anche in relazione alle deduzioni tecniche svolte dal perito nominato dal GUP (dalle cui conclusioni in tema di nesso di causalità, però, il GUP e, con esso anche la Corte territoriale, si è nettamente ma motivatamente discostato) nonchè dai consulenti tecnici del P.M..

Parimenti, correttamente applicati risultano i principi in tema di accertamento del rapporto di causalità, fondato sul criterio della "condicio sine qua non" integrato con il riferimento alla cd. legge scientifica di copertura, desumibile dalle indicazioni fornite dai periti. In particolare, si sono considerate le emergenze ricavabili dai criteri scientifici applicabili in materia, in correlazione al caso concreto, onde, tenuto conto dell’esclusione di fattori alternativi, pervenire con elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica alla conclusione per cui, qualora l’azione doverosa omessa (l’invio immediato all’ospedale di (OMISSIS)) fosse stata invece compiuta (causalità omissiva), l’evento lesivo non si sarebbe verificato (v. Cass. Sez. Un. 10.12.2002, n. 30328, Rv.

222139; Cass. Sez. 4^, n. 32121 del 16.6.2010, Rv. 248210).

In particolare, si osserva anzitutto che è fuorviante l’articolato esame delle cause dei frazionati periodi di tempo di cui si compone il complessivo ritardo nell’invio all’Ospedale di (OMISSIS) per concludere che esso, in effetti, si riduce ad appena 15 minuti.

Invero, sebbene il dr. Pu. sia intervenuto solo nella breve fase iniziale dell’osservazione, è chiaro che non avendo "percepito", come suo dovere professionale, il "livello di rischio del paziente" ed avendo omesso di considerare la corretta "osservazione ospedaliera" necessaria per il medesimo, aveva, con la sua colposa omissione, innescato la seriazione causale di ritardi (oltre quello relativo al trattenimento del paziente per circa un’ora presso il pronto soccorso di (OMISSIS), quello imputabile ai familiari, di circa due ore e mezza, quello relativo al tragitto fino all’ospedale di (OMISSIS) di 35 minuti) che non potevano certo ritenersi imprevedibili nè estranei alla produzione dell’evento letale conclusivo. In proposito, la Corte (pag. 10 sent), ha correttamente rilevato che l’anticipazione dell’osservazione in un ambiente ospedaliero avrebbe potuto con elevata probabilità non solo modificare in senso favorevole il determinismo morboso consentendo di intervenire già qualche ora dopo il primo esame neurologico presso il pronto soccorso di (OMISSIS) e prima che insorgessero i chiari segni dell’impegno neurologico cerebrale e che il trauma cranico sviluppasse un danno cerebrale di natura emorragica, evidenziando come al momento del trasferimento a (OMISSIS), le condizioni del paziente si fossero già aggravate, tanto desumendo dall’indice 13 del CGS (il cui valore si rapporta in modo inversamente proporzionale alla mortalità), rilevato nella scheda d’intervento del servizio 118 (al momento del trasporto da (OMISSIS)) che denota un significativo danno cerebrale; mentre all’Ospedale di (OMISSIS), all’esito dell’esame neurologico, il CGS era già sceso al valore di 11. Per vero, la condotta dei medici dell’Ospedale di (OMISSIS) che sottoposero a duplice intervento il paziente solo alle 11,30 e poi alle 17,30 dopo che il medesimo era giunto colà fin dalle 6,06 in condizioni di essere utilmente operato, non può valere a elidere completamente il nesso causale tra l’omissione colposa ascritta al Pu. e l’evento, ponendosi quale causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento, ex art. 41 c.p., comma 2.

Deve, al riguardo, ribadirsi il principio, richiamato dalla sentenza impugnata, secondo cui non può ritenersi interruttiva del nesso di causalità la condotta colposa di un secondo soggetto quando essa non abbia le caratteristiche dell’assoluta imprevedibilità e inopinabilità; condizione, questa, che non può, in particolare configurarsi quando, nel caso di colpa medica, tale condotta sia consistita nell’inosservanza, da parte di soggetto successivamente intervenuto, di regole dell’arte medica già disattese da quello che lo aveva preceduto (Cass. pen. Sez. 4^, n. 9967 del 18.1.2010, Rv.

246797; n. 6215 del 10.12.2009, Rv. 246421).

Infatti, in tema di successione nella posizione di garanzia, il principio dell’affidamento, nel caso di ripartizione degli obblighi tra più soggetti, comporta anche che, qualora l’affidante ponga in essere una condotta causalmente rilevante, la condotta colposa dell’affidato non vale di per se ad escludere la responsabilità dell’affidante medesimo (Cass. pen. Sez. 4^, n. 25310 del 7.4.2004, Rv. 228954).

Ed in base ai principi affermati da dottrina e giurisprudenza sull’efficacia della causa sopravvenuta per ritenere esistente il rapporto di causalità non può certo escludersi tale efficacia nel caso di un comportamento colposo che abbia creato i presupposti per il verificarsi dell’evento dannoso e sul quale non siano intervenute modifiche rilevanti da parte del successore nella posizione di garanzia per eliminare le situazioni di pericolo che questo comportamento aveva creato o esaltato. Anzi in questo caso il successore nella detta posizione ha proseguito nella colposa condotta in precedenza condivisa con gli altri garanti e ne ha aggiunto di personali.

Orbene, se il paziente fosse stato trasferito la notte stessa del 19.6.2005 fin dalle ore 0/25 all’Ospedale di (OMISSIS) quegli aggravamenti poi insorti circa alle 3,25 (0,25 + 1 ora presso il P.S. + due ore in casa) ma diagnosticati al P.S. solo alle 5,00, deve ritenersi che sarebbero stati scoperti ben più sollecitamente già a (OMISSIS) ove avrebbero potuto anticipare sia le TAC sia gl’interventi chirurgici.

Nè si può ritenere che i ritardi poi verificatisi a (OMISSIS), ed in particolare quello di 3 ore dall’esecuzione della prima TAC dopo mezz’ora dall’arrivo (ad ore 6,33) del paziente presso quella struttura ospedaliera (poichè dopo furono effettuate le due osservazioni alle ore 9,30 ed 11,00 prima di procedere all’intervento, avvenuto alle 11,30) si sarebbero comunque verificati anche in caso di tempestivo trasferimento del paziente all’ospedale di (OMISSIS).

Si tratta di una "traslazione" temporale ad un momento antecedente non solo virtuale ma anche del tutto ipotetica che presuppone, almeno, le medesime condizioni circostanziali sussistenti alle ore 6,06 – 6,33.

Premesso che non è stata accertata la causa dello specifico ritardo verificatosi all’Ospedale di (OMISSIS) (se cioè fisiologica – quale l’arresto cardiaco intorno alle ore 10: v. sent. di primo grado pag.

17 – ovvero imputabile a colpevole omissione altrui), è chiaro comunque come appaia ben probabile (ed anzi confermato dalla progressiva riduzione del CGS) che ad un orario anticipato di oltre tre ore fossero In atto circostanze ben diverse, tra cui le migliori condizioni del paziente che, monitorate ab initio dall’osservazione strumentale, o al massimo con quella dilazione di mezz’ora rispetto all’arrivo poi in concreto verificatasi, in una all’eventuale diversità del personale sanitario di turno, avrebbero indotto ad un più sollecito intervento operatorio in una fase certamente esente da tumultuosi peggioramenti e che comunque nulla consentisse di pronosticare la verificazione, anche in tale ipotesi, di quei consistenti ed incisivi ritardi verificatisi tra le 6,33 (orario della prima TAC) e le 9,30 – 11,30.

In ogni caso, anche qualora fosse dimostrabile la predetta traslazione temporale anticipatoria se, cioè, si fossero verificati i medesimi ritardi in caso di arrivo tempestivo presso l’Ospedale di (OMISSIS) (cioè ad orario anticipato di oltre tre ore rispetto a quello effettivo), è consequenziale ritenere che la dilazione fatale di tre ore per l’effettuazione del primo intervento sarebbe stata anch’essa anticipata, a sua volta, quanto meno del medesimo lasso temporale, sicchè con elevata probabilità gli eventi avrebbero avuto un’evoluzione ben diversa e con esito comunque non letale, poichè il peggioramento dello stato del paziente con avvio verso uno "stadio di irreversibile compromissione cerebrale …" si verificò non prima delle ore 9,30 (pag. 10 sent. di primo grado, che richiama sul punto la relazione peritale).

Anche il ricorso delle parti civili è destituito di fondamento.

Si deve rilevare l’infondatezza di tutte le censure addotte in relazione alla condanna al pagamento delle spese processuali che segue per legge al rigetto dell’appello e al rigetto di concessione della provvisionale, adeguatamente motivato nella sentenza di primo grado con adesione del giudice d’appello ad essa.

Il motivo di ricorso delle parti civili in ordine alla pretesa condanna ad una pena detentiva "più congrua e di giustizia" anche per il reato di cui all’art. 328 c.p. e con irrogazione di sanzioni accessorie è inammissibile, attesa la limitazione del ricorso della parte civile ai soli effetti civili ( art. 576 c.p.p., comma 1) ed in assenza di ricorso del Procuratore generale.

Consegue il rigetto di entrambi i ricorsi e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Giusti motivi, tra i quali la reciproca soccombenza, inducono a compensare integralmente tra le parti le spese sostenute per questo giudizio.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Compensa integralmente le spese tra le parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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