T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 05-04-2011, n. 3004 Università

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in esame i ricorrenti – medici specialisti per avere conseguito il diploma di specializzazione presso Università italiane – previa strumentale impugnazione della determina con la quale il Ministero della Sanità ha denegato il pagamento della borsa di studio – chiedono:

accertarsi il proprio diritto a percepire il trattamento economico loro spettante per la frequenza ai corsi di specializzazione nel periodo anteriore all’emanazione del D.Lvo n. 257/1991;

di poter fruire dello speciale punteggio da utilizzate nelle procedure concorsuali di accesso alle strutture sanitarie pubbliche.

Essi deducono:

violazione delle direttive del Consiglio C.E.E. n. 75 del 6/6/1973 e n. 82 del 26/1/1982 in tema di formazione dei medici specialisti;

violazione del giudicato di cui alla sentenza Tar Lazio n. 601/1993 e del Consiglio di Stato n. 735/1993;

eccesso di potere sotto vari profili.

Si sono costituiti, per mezzo dell’Avvocatura di Stato, il Ministero della Sanità, il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica, il Ministero del Tesoro, la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Giova una breve ricostruzione dei fatti e del quadro normativo di riferimento.

Gli interessati, avendo frequentato le scuole di specializzazione tra il 1983 ed il 1991, hanno chiesto alle intimate amministrazioni – con atto stragiudiziale di diffida e messa in mora – di percepire i benefici connessi all’impegno per il periodo di frequenza del corso di specializzazione come riconosciuti dalle direttive del Consiglio CEE n. 75/363 e n. 82/1976 in tema di formazione di medici specialisti.

Sennonché, il Legislatore, con il D.Lvo n. 257/1991, nel recepire le suddette direttive CEE, aveva limitato l’applicazione alla disciplina comunitaria a partire dall’anno accademico 1991/1992, lasciando sopravvivere il precedente regime per le specializzazioni già in corso.

In pratica, la normativa di recepimento comunitaria escludeva dal nuovo e più favorevole regime i medici ammessi, come i ricorrenti, alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti.

Il Tar Lazio, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dei decreti applicativi della disciplina comunitaria, con sentenze n. 601/1993 – confermata in appello dal Consiglio di Stato con sent. n. 735/1994 – e n. 279/1994 riteneva fondate le censure di illegittimità del decreto n. 257/1991 e dei decreti applicativi dello stesso, per diretto contrasto con la disciplina comunitaria, nella parte in cui i medici già iscritti a scuole di specializzazione erano stati esclusi dal nuovo sistema, in quanto siffatta discriminazione non era prevista dalle direttive comunitarie. In particolare, il giudice amministrativo rilevava l’illegittimità dei decreti nella parte in cui veniva data attuazione alle direttive soltanto a partire dall’anno accademico 199/1992, lasciando sopravvivere il precedente regime per quelle già in corso, così dettando una disciplina disomogenea ma non voluta dalla normativa europea la quale enuncia, invece, principi di carattere transitorio dai quali si evince l’eccezionalità di un sistema di formazione specialistica a tempo ridotto non retribuito.

Il Tar del Lazio, con le citate pronunce, disapplicava la normativa interna costituita dalle parti del D.Lvo n. 257/1991 lesive dei diritti della categoria ricorrente, annullava i decreti attuativi contrastanti con la disciplina comunitaria e riconosceva la sussistenza delle condizioni per l’immediata applicabilità delle nuove regole comunitarie anche ai medici impegnati nei corsi di specializzazione.

Gli odierni ricorrenti fondano le azionate pretese sulle menzionate decisioni del giudice amministrativo, ritenendosi discriminati nel trattamento economicogiuridico rispetto ai medici appartenenti alla stessa categoria. Sostengono, altresì, che illegittimamente le intimate amministrazioni hanno violato il giudicato senza estenderlo anche ad essi.

L’Avvocatura di Stato, riportandosi alle deduzioni del Ministero della Sanità, ha eccepito la prescrizione del diritto azionato dai ricorrenti, la genericità della domanda nonché l’infondatezza della pretesa patrimoniale anche per i noti limiti alla estensione del giudicato.

Il Collegio ritiene, innanzitutto, che la presente controversia appartiene – ratione temporis, ai sensi dell’art. 5 del c.p.c. – alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego.

Fondata s’appalesa, invece, l’eccezione di prescrizione.

Le pretese dei ricorrenti attengono tutte ad un periodo anteriore al quinquennio precedente la prima delle richieste notificate alle intimate amministrazioni.

Ed invero, l’atto stragiudiziale di diffida e messa in mora (primo atto interruttivo della prescrizione, cui è seguito l’odierno ricorso giurisdizionale) è stato notificato alle amministrazioni nel 1999.

Le pretese (accertamento del diritto di fruire della borsa di studio e di ottenere l’assegnazione dello speciale punteggio) sono relative al periodo 19831991.

E’ evidente come il diritto fosse giunto a prescrizione ( art. 2947 Cod. civ.) avuto riguardo all’annualità più recente, già nel 1996.

La prescrizione del diritto opera anche a volere qualificare la pretesa azionata in termini di risarcimento per inadempimento o mancata trasposizione di una direttiva nello Stato membro. Come ampiamente illustrato dalla difesa erariale, la Corte di Giustizia Europea (causa C445/06, sentenza del 24 marzo 2009) ha affermato che il diritto in questione deve essere azionato sin da quando "si producono i primi effetti lesivi a carico del privato, a prescindere dalla constatazione di inadempimento dello Stato membro o dal recepimento della direttiva.

I ricorrenti sostengono nella memoria conclusiva che la posizione soggettiva da essi posseduta ha consistenza di interesse legittimo tutelata mediante l’impugnazione dei provvedimenti di cui hanno chiesto l’annullamento per disparità di trattamento e mancata estensione di giudicato, a fronte di sentenze che hanno annullato una normativa che ha di per sé carattere generale.

Il Collegio non condivide le suddette argomentazioni.

L’estensione degli effetti di un giudicato a soggetti estranei alla lite, ma titolari di posizioni giuridiche del tutto analoghe alla fattispecie decisa, non costituisce per l’Amministrazione adempimento di uno specifico obbligo.

In materia di pubblico impiego, inoltre, già l’art. 22, D.P.R. 1 febbraio 1986 n. 13 riconosceva ampia discrezionalità all’Autorità procedente, prima che il divieto di estensione ultra partes fosse definitivamente introdotto nell’ordinamento dall’art. 22 comma 34, L. 23 dicembre 1994 n. 724.

La giurisprudenza amministrativa ha, infine, chiarito, con un orientamento ormai consolidato, che in tema di divieto di estensione di decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato in materia di pubblico impiego, non è ragionevole dubitare della costituzionalità dell’art. 22 comma 34 l. 23 dicembre 1994 n. 724, sotto il profilo della disparità di trattamento, in quanto la posizione giuridica di coloro che abbiano presentato un tempestivo ricorso si differenzia sotto il profilo soggettivo da quella degli altri dipendenti che rimanendo inattivi avevano prestato acquiescenza al provvedimento.

Quanto alla dedotta posizione soggettiva, essa, come noto, va qualificata alla stregua, non già della teoria della prospettazione bensì, del petitum sostanziale. E non vi è dubbio che le ragioni sulle quali i ricorrenti fondano la pretesa di fruire della borsa di studio sottendono l’esistenza di un diritto soggettivo di credito (come detto, prescrittosi) il cui accertamento prescinde dalla impugnazione di atti trovando fonte e regolazione direttamente nella legge, secondo la sequenza fattonorma, senza alcuna intermediazione di potere amministrativo.

Può, invece, ipotizzarsi la posizione di interesse legittimo con riguardo alla domanda di fruire dello speciale punteggio a conclusione dei corsi di specializzazione. In tal caso, però, l’azione risulterebbe patentemente tardiva, e perciò irricevibile, essendosi conclusi i corsi nel 1991.

In disparte quanto sopra argomentato, il Collegio ritiene comunque il ricorso privo di pregio per genericità della domanda.

Il diritto alla corresponsione della borsa di studio è subordinato all’accertamento di talune circostanze e condizioni in presenza delle quali soltanto può ritenersi sussistente in capo all’amministrazione il corrispondente obbligo di adempimento.

Tali condizioni, riprese anche nella legge n. 370/1999, dovevano essere allegate dall’interessato a comprova del proprio diritto.

Esse consistono:

nella frequenza del corso di specializzazione per l’intera durata del corso legale di formazione;

nell’impegno di servizio a tempo pieno, attestato dal direttore della scuola di formazione/specializzazione;

nel mancato svolgimento per tutta la durata del corso di specializzazione di qualsiasi attività liberoprofessionale esterna;

nel mancato svolgimento di attività lavorativa anche in regime di convenzione o di precarietà con il servizio sanitario nazionale.

Di tutte queste condizioni, parte ricorrente non ha fatto completa allegazione rendendo la propria domanda generica e, perciò, infondata.

In conclusione, il ricorso è infondato e va, perciò, respinto.

Per le spese di giudizio, considerato che il ricorso viene esaminato in data odierna insieme ad analoghi ricorsi presentati da altri ricorrenti, anche collettivamente, si ritiene equo disporre la liquidazione delle spese a carico nella misura di Euro 300,00 per ogni ricorrente e, perciò, per il presente ricorso in complessivi Euro 2.400,00.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali nei confronti delle amministrazioni evocate in giudizio nella misura stabilita in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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