Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-03-2011) 11-04-2011, n. 14513 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

M.E., F.L. e G.A., rispettivamente direttore e giornalisti del quotidiano "(OMISSIS)" sono stati ritenuti responsabili, con sentenza in data 21-11-2008 del Tribunale Monocratico di Roma, di diffamazione a mezzo stampa, e condannati, concesse generiche equivalenti all’aggravante del fatto determinato, alla pena di Euro 8000 di multa ciascuno i giornalisti, di Euro 6000 il direttore responsabile, pena sospesa per F. e G., non menzione della condanna per F., oltre alla condanna al risarcimento del danno subito da Me.Il. e K.M., costituiti parte civile, nella rispettiva misura di Euro 30.000 e di Euro 20.000. Sentenza confermata dalla corte d’appello di Roma in data 4-2-2010. L’accusa riguarda un articolo a firma G. e F., comparso su (OMISSIS), in cui, facendo richiamo all’arresto di due albanesi trovati in possesso di ventun chili e mezzo di eroina ciascuno, tali m.

g. e Ko.Sh., i giornalisti stabilivano un legame tra costoro e Me.Il. e K.M., coniugi e parlamentari albanesi, indicando m. come autista e guardia del corpo di Me., venuto in Italia grazie all’interessamento di questi che aveva chiesto il rilascio del visto quale suo accompagnatore, Ko. come autista e guardia del corpo della K., i quali, sottoposti ad intercettazione ambientale durante il trasferimento in carcere, avevano detto che a tirarli fuori dal guaio in cui si trovavano, dovevano essere Me. e il capo della polizia di Tirana.

In realtà, come accertato nel procedimento di primo grado, m. e Ko. non erano mai stati nè autisti nè guardie del corpo dei due politici; la richiesta del visto per il primo non era stata inoltrata da Me., ma dal ministero degli esteri albanese; inoltre l’ex procuratore generale della Repubblica di Tirana, R., fonte dei giornalisti, non aveva affermato che Ko. fosse legato alla K., bensì che l’uomo aveva detto di esserlo.

La corte d’appello concludeva quindi che le notizie pubblicate erano false e per di più prospettate in modo insidioso, attraverso sottili deformazioni della realtà, tali da indurre il lettore a ritenere i due politici implicati nel traffico internazionale di eroina.

Era confermata l’esclusione dell’esimente del diritto di cronaca, anche nella forma putativa, in quanto i giornalisti, prima ancora di partire per l’Albania, erano in possesso della lettera del Ministero degli Esteri albanese, che dimostrava come la richiesta del visto non fosse venuta da Me..

Non si riteneva necessaria la rinnovazione parziale del dibattimento per sottoporre ad esame R., il procuratore generale di Tirana, in quanto il contenuto dei contatti di questi con i giornalisti era stato esaurientemente riferito da F. nel suo esame.

Quanto alla specifica posizione di F., asseritamente mero firmatario, a sua insaputa, dell’articolo, la corte riteneva tale tesi inattendibile, nonostante le dichiarazioni al riguardo della teste Gn., capo redattore de "(OMISSIS)".

Il giudizio di equivalenza delle generiche, la pena e la quantificazione del danno erano ritenuti adeguati e non suscettibili di modifica a favore dei prevenuti.

L’avv. Paolo Mazza ha proposto ricorso avverso tale decisione.

Con il primo motivo sostiene violazione di legge, mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul punto della esimente, rilevando da un lato come al giornalismo d’inchiesta, ricorrente nella specie, compete, per orientamento della cassazione civile, maggior tutela in considerazione della ricerca diretta della notizia da parte del giornalista, non mediata dalla ricezione passiva della stessa, dall’altro come le sentenze di primo e secondo grado non avessero tenuto conto della correttezza degli approfondimenti svolti da F. e G., ignorando che gli stessi, recandosi personalmente in Albania, si erano basati sull’acquisizione di documenti e su un’intervista al procuratore R., effettuando quindi plurimi e decisivi controlli della notizia. Documenti rappresentati in particolare dal verbale di arresto di m., dalla richiesta di visto all’ambasciata italiana a Tirana da parte del ministro degli esteri dell’Albania (in cui era testualmente affermato che m. era l’autista di Me.Il.), dall’esame di appunti dei funzionari dell’ambasciata in cui m. era definito l’autista e Me. l’ex Premier Ministro, da una lettera inviata dal ministro degli interni albanese al presidente dell’Albania (relativa all’arresto di Ko. il quale aveva dichiarato di essere stato l’autista della K. durante la campagna elettorale), dal verbale di sequestro a carico di Ko., attestante che nel cellulare di questi al n. 53 era memorizzata l’utenza della K., indicata come moglie di Me..

Il ricorrente si duole quindi del mancato riconoscimento della esimente, quanto meno a livello putativo, avendo i giornalisti agito nella certezza, resa plausibile dalla prudente verifica effettuata, che i fatti fossero veri.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta mancata assunzione di prova decisiva rappresentata dall’esame testimoniale del procuratore R., e vizio di motivazione in ordine alla mancata rinnovazione del dibattimento.

La corte da un lato ha escluso la decisività dell’esame di R., dall’altro ha ritenuto falso il passo dell’articolo, relativo ai rapporti tra Ko. e la K., basato su un’informazione fornita proprio dal primo, affermando che le dichiarazioni di F. al riguardo erano sufficienti.

Il terzo motivo ha ad oggetto vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità di F., avendo la corte riconosciuto che l’articolo era stato scritto dal solo G. – con la conseguenza che le "piccole deformazioni della realtà" sarebbero attribuibili soltanto a lui-, affermando poi, contraddittoriamente, e con mera congettura (esistenza di una norma deontologica), che la sua firma non poteva essere stata posta a sua insaputa, contrariamente a quanto asserito dalla teste Gn..

Con il quarto motivo il ricorrente si duole del vizio di motivazione in ordine all’entità della pena pecuniaria inflitta, di otto volte superiore, ex art. 133 bis c.p., all’importo massimo previsto per la diffamazione, con generico riferimento alle condizioni economiche dei prevenuti, ma senza il sostegno di alcun dato oggettivo.

Il quinto motivo si riferisce alla mancata revoca, senza alcuna motivazione, della sospensione condizionale della pena – revoca richiesta con l’atto di appello sull’assunto dell’applicabilità dell’indulto -, in tal modo precludendo, in particolare a G., imputato in altri procedimenti, la possibilità di usufruire in futuro del beneficio.

Il difensore delle parti civili ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE Il quarto motivo di ricorso è fondato, essendo gli altri da disattendere.

1) Le censure elevate col primo motivo, dietro l’apparente denuncia di vizi della motivazione, oltre che di violazione di legge, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti. La corte territoriale ha invero dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno indotta a negare la sussistenza dell’esimente del diritto di cronaca, anche a livello putativo. Premesso che, perchè sussista tale scriminante, è necessario che sussistano i requisiti della verità della notizia riportata, dell’interesse della stessa per l’opinione pubblica, della correttezza dell’esposizione secondo il principio della continenza, ha infatti evidenziato che le risultanze avevano escluso che m. e Ko. fossero mai stati autisti o guardie del corpo dei due politici albanesi; che la richiesta del visto per il primo non era stata inoltrata da Me., ma dal ministero degli esteri albanese; che la fonte dei giornalisti – l’ex procuratore generale della Repubblica di Tirana, R. – non aveva affermato che Ko. fosse legato alla K., bensì semplicemente che Ko. aveva affermato di esserlo.

La corte territoriale ha quindi tratto coerentemente la conclusione che le notizie pubblicate erano false, escludendo, in modo coerente e logico, la ricorrenza dell’esimente, anche putativa, in particolare sul rilievo del possesso da parte dei giornalisti, prima ancora della loro partenza per l’Albania, della lettera del ministero degli esteri albanese, che dimostrava come la richiesta del visto non fosse proveniente da Me., ma genericamente da quel ministero. Il che, secondo la corte, confermava l’insidiosità della prospettazione della notizia, effettuata attraverso sottili deformazioni della realtà, tali da insinuare nel lettore la convinzione, altamente offensiva della loro reputazione, che i due politici fossero implicati nel traffico internazionale di eroina.

Per quanto, alla stregua della giurisprudenza della cassazione civile citata dal ricorrente, al giornalismo di inchiesta, quale species, debba essere riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare, in relazione ai limiti regolatori dell’attività di informazione, quale genus, una meno rigorosa e comunque diversa applicazione dell’attendibilità della fonte (su cui, tra le altre, Cass. civ. n. 1205/2007), nondimeno la Carta dei doveri del giornalista (firmata a Roma l’8 luglio 1993 dalla Fr. e dall’Ordine nazionale dei giornalisti) prevede, tra i principi ispiratori, testualmente che "il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nei rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile" (Cassazione civile, sez. 3, 09/07/2010 n. 16236).

Tali essendo i doveri del giornalista anche quando, anzichè recepire la notizia, la attinga "autonomamente", "direttamente" e "attivamente", senza mediarla a da "fonti" esterne mediante la ricezione "passiva" di informazioni (Cass. cit), appare infondata la censura del ricorrente allorchè imputa alla corte territoriale di aver trascurato le fonti documentali alle quali F. e G. avevano attinto sottovalutando l’accuratezza dei controlli dagli stessi effettuati. Infatti, da nessuno dei documenti che, in applicazione del principio dell’autosufficienza del ricorso, sono stati allegati allo stesso, è dato evincere, ad accreditare la tesi della convinzione dei giornalisti della verità dell’informazione, la prova della notizia, data per certa nell’articolo, che gli arrestati fossero effettivamente gli autisti dei coniugi pp.oo. e che Ko. fosse venuto in Italia, dove era stato arrestato nel possesso di oltre ventuno chili e mezzo di eroina, grazie ad un visto procuratogli da Me.. Non dal verbale di arresto di m., del tutto silente al riguardo; non dalla richiesta di visto in cui lo stesso è definito autista di Me., essendo tale atto, intestato in modo generico ai Ministero degli Affari Esteri Albanese, privo di qualunque sottoscrizione, tale da renderne impossibile l’imputazione ( m., tra l’altro, sarebbe stato arrestato in occasione di una diversa e successiva venuta in Italia, quale accompagnatore di un altro politico albanese); non dalla nota informativa dell’arresto di Ko., proveniente dai ministro degli interni albanese e diretta al presidente della repubblica di quello stato, in cui si legge soltanto che " Ko.Sh. ha detto durante l’interrogatorio che è stato l’autista di K.M."; neppure, infine, dalla circostanza, accertata, che Ko. avesse nella memoria del proprio telefono cellulare il numero della K., essendo quest’ultima personaggio noto in quanto vice presidente dell’Internazionale Giovanile Socialista albanese di cui Ko. era membro.

2) Con ragione, poi, la corte ha ritenuto non decisiva la prova, oggetto della doglianza articolata con il secondo motivo, costituita dall’esame dell’ex procuratore della repubblica di Tirana, in ordine ai rapporti tra Ko. e la K., avendo lo stesso F. lealmente dichiarato, dando esauriente conto di quanto riferito dalla fonte della notizia, di aver appreso, nel corso dell’intervista al magistrato, non già che erano stati accertati legami tra Ko. e la donna politica, bensì che l’arrestato aveva asserito di essere legato alla predetta.

3) Infondato è anche il terzo motivo che tra l’altro, dietro l’apparente denuncia di vizi della motivazione, si traduce, come il primo, nella sollecitazione di un riesame del merito.

A fronte della firma dell’articolo anche da parte di F., coerentemente e logicamente la corte territoriale ne ha ritenuto la condivisione tra entrambi i giornalisti, non dando credito alla testimonianza del capo redattore Gn. – secondo cui l’articolo sarebbe stato scritto soltanto da G. – sulla scorta di plurimi argomenti: il viaggio in Albania era stato effettuato da entrambi i giornalisti proprio per l’inchiesta sul coinvolgimento dei politici nel narcotraffico; F. aveva contribuito a tutte le ricerche; entrambi erano animati dalla comune convinzione della collusione tra politici albanesi e narcotraffico, ricavabile dall’intervista, di cui F. ha ammesso la paternità, all’ex capo dei servizi segreti albanesi, pubblicata nel box a f. 45 de " (OMISSIS)" dello stesso giorno.

4) Fondato è invece il quarto motivo con il quale il ricorrente si duole del vizio di motivazione in ordine all’entità della pena pecuniaria inflitta agli imputati.

Pur dovendo darsi atto dell’inesattezza del rilevo del ricorrente secondo cui detta pena, calcolata facendo applicazione dell’art. 133 bis c.p., sarebbe di otto volte superiore alla misura massima prevista per la diffamazione, dal momento che il giudice di primo grado ha correttamente ritenuto il concorso formale essendo due le persone offese dall’articolo, tuttavia il riferimento alle condizioni economiche dei prevenuti, non supportato da alcun dato oggettivo, appare in effetti generico ed insufficiente.

Sul punto la sentenza di secondo grado deve essere quindi annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, che valuterà anche la mancata revoca (oggetto del quinto motivo del ricorso), senza alcuna motivazione, della sospensione condizionale della pena, revoca richiesta con l’atto di appello sull’assunto dell’applicabilità dell’indulto. Al rigetto nel resto del ricorso segue la condanna solidale dei ricorrenti alle spese delle parti civili, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte annulla l’impugnata sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma. Rigetta il ricorso nel resto e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese delle Parti Civili, che liquida in Euro 3000 complessivi, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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