Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-03-2011) 11-04-2011, n. 14496

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A.P., con sentenza in data 17-11-2008 del Giudice di Pace di Regalbuto, confermata dal Tribunale di Nicosia il 16-3-2010, è stato ritenuto responsabile del reato di ingiuria, commesso tra (OMISSIS), nei confronti di S.A. C., sua ex convivente, e di Al.An., divenuto compagno della predetta dopo la rottura tra questa e l’imputato.

L’avv. Salvatore Liotta ha proposto ricorso per cassazione nell’interesse del prevenuto lamentando, con il primo motivo, erronea applicazione dell’art. 599 c.p., e illogicità della motivazione in relazione alle esimenti della ritorsione e della provocazione, non riconosciute per la ritenuta sussistenza di un’attività persecutoria dell’imputato, protratta nel tempo, nei confronti della coppia S. – Al., mentre, secondo il ricorrente, poichè risulta che A. si era a sua volta querelato, nello stesso periodo, nei confronti dei due, sarebbe integrata una costante situazione di reciprocità di ingiurie e minacce.

Con il secondo motivo si deduce inosservanza degli artt. 192 e 197 bis c.p.p., essendo stata ritenuta attendibile la p.o. S., unica fonte di prova del reato, nonostante il suo interesse quale parte civile e l’assenza di riscontri alle sue dichiarazioni, necessari in quanto imputata di reato connesso. La richiesta è quindi di annullamento della impugnata sentenza.

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

Il primo motivo è affetto da genericità, in quanto trascura completamente di indicare gli episodi di ingiuria ascrivibili alle persone offese che sarebbero in rapporto di reciprocità o in nesso psichico con le ingiurie oggetto del procedimento, essendo all’evidenza insufficiente il generico richiamo a querele a suo tempo presentate dal prevenuto nei confronti della ex compagna S., prodotte nel giudizio di primo grado, che tra l’altro non sono idonee a dimostrare la sussistenza di quelle ingiurie.

Senza contare, comunque, la difficoltà di ravvisare le indicate esimenti in una situazione che il ricorrente stesso ammette essere di perdurante contrasto tra le parti, a causa della rottura del rapporto sentimentale tra la S. e A., il quale non gradiva la presenza di Al. accanto all’ex convivente.

Le censure elevate col secondo motivo, dietro l’apparente denuncia di vizi della motivazione, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.

Premesso che la S., a differenza da quanto sostenuto dal ricorrente, non è stata sentita come teste assistito ex art. 197 bis c.p.p., non essendo quindi necessari riscontri, i giudici di primo e secondo grado hanno dato pienamente conto delle ragioni che li hanno indotti a prestar fede alle sue dichiarazioni. Essi le hanno infatti sottoposte a rigoroso vaglio, formulando all’esito un giudizio di attendibilità basato tra l’altro sulla valutazione del contesto (la rottura con l’imputato); sul contenuto delle ingiurie reiterata mente (riferite al nuovo compagno della donna); sulla testimonianza dell’app. T. (relativa alle richieste di intervento della p.o. a causa di discussioni con l’ex compagno), e giungendo motivatamente alla conclusione di una protratta attività persecutoria del prevenuto nei confronti della coppia.

Nella linea argomentativa così sviluppata non si constata alcuna caduta di consequenzialità, che emerga ictu oculi dal testo del provvedimento, mentre il tentativo del ricorrente di valorizzare l’interesse civilistico della S. si risolve nella prospettazione di una lettura del materiale probatorio alternativa a quella fatta motivatamente propria dai giudici di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione.

Il ricorso va conseguentemente rigettato con la condanna del ricorrente alle spese processuali e alla rifusione di quelle di parte civile, liquidate in dispositivo, il cui pagamento va disposto in favore dello Stato essendo la parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese di P.C., che liquida in Euro 1500, oltre accessori come per legge, da corrispondere ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 110, comma 3.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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