Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-02-2011) 11-04-2011, n. 14486 Falsità ideologica in atti pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.A. è imputato del delitto ex artt. 81, 479 e 476 c.p., perchè, in qualità di rilevatore dei dati censuari, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, attestava falsamente, con annotazione sull’apposito modulo, che D.P.O. era residente in (OMISSIS) e, al fine di recarle danno, ne falsificava la firma, apposta in calce al relativo modulo.

Il Tribunale di Frosinone, con sentenza 8.7.2008, lo condannava alla pena di giustizia e al risarcimento danno in favore della costituita PC. La CdA di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, in parziale riforma della pronunzia di primo grado lo ha assolto dal delitto ex art. 476 c.p. in relazione alla falsificazione della firma della PO, confermando nel resto.

Ricorre per cassazione il difensore e deduce; 1) violazione di legge sostanziale e processuale e carenze dell’apparato argomentativo, in quanto erroneamente la CdA ha ritenuto non violato il principio di corrispondenza tra contestazione e sentenza, posto che, rinviato a giudizio per rispondere di falsità ideologica (in ordine al contenuto della dichiarazione trascritta sul predetto modulo), è stato condannato per falsità materiale. Trattasi di due addebiti alternativi e inconciliabili. Conseguentemente deve ritenersi violato il diritto di difesa in quanto il M. è stato condannato per una condotta diversa da quella che gli è stata ab origine contestata, 2) idem, atteso che il delitto di falso documentale non può essere commesso fin quando l’atto resta nella legittima disponibilità di chi lo ha redatto. L’alterazione deve dunque essere necessariamente operata da altri. Non corrisponde poi al vero che lo stesso imputato si sia contraddetto, affermando in un primo tempo che alla PO era stato consegnato un modulo in bianco e quindi uno "riciclato", in quanto trattatasi di un modulo già usato, ma adeguatamente "sbianchettato". Per altro, come è pacificamente emerso, la D.P. effettivamente abitava in via (OMISSIS), presso il figlio, avendo, per sua stessa ammissione, più volte e per lunghi periodi, abbandonato il suo alloggio popolare in via (OMISSIS).

Nè è logica la ricostruzione operata dai giudici di merito, in base alla quale M., compilato correttamente il modulo in presenza della PO e della figlia, lo avrebbe poi cancellato col bianchetto e vi avrebbe soprascritto le false informazioni. Invero nessuno impediva all’imputato di distruggere tale modulo e di utilizzarne uno "pulito". A tutto voler concedere, poi, il predetto modulo si deve ritenere incorporante una scrittura privata. Il reato commesso sarebbe dunque quello di cui all’art. 485 c.p., con conseguente improcedibilità per tardività della querela. La dichiarazione trascritta sul predetto modulo, invero non fa che "fotografare" una situazione e lo scritto è semplicemente strumentale alle successive elaborazioni che sono appannaggio della autorità competente; in ogni caso manca qualsiasi movente all’azione ascritta al M., 3) mancata assunzione di prova decisiva, dal momento che i giudici di merito sostengono che, dopo la "sbianchettatura" il modulo sarebbe stato soprascritto. In realtà, al di sotto del "bianchetto" non compare alcun segno grafico e per attestare il contrario, sarebbe stata necessaria una perizia, 4) prescrizione, intervenuta il 3.7.2009, cioè dopo la pronunzia della sentenza di appello, ma prima della scadenza del termine per impugnare.
Motivi della decisione

Il modulo utilizzato per raccogliere le notizie utili per il censimento della popolazione non può davvero considerarsi scrittura privata.

Invero, i dati raccolti dagli incaricati devono poi essere elaborati, per fini statistici, dalle competente autorità.

Si tratta dunque di un atto interno (che tuttavia riflette dati raccolti presso la popolazione), ma di un atto che, innanzitutto, è redatto per incarico di una PA e che, in secondo luogo, si inserisce in un articolato procedimento amministrativo.

Orbene, la giurisprudenza di questa Sezione ha da tempo (es. ASN 200349417-RV 227659) chiarito che la nozione di atto pubblico comprende, non solo gli atti destinati ad assolvere una funzione attestativa o probatoria esterna, con riflessi diretti ed immediati nei rapporti tra privati e PA, ma anche gli atti cd. interni.

Tali devono intendersi, sia quelli destinati a inserirsi (come anticipato, nel caso in scrutinio) nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, che quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale – conforme o meno allo schema tipico – ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi.

D’altra parte, lo stesso ricorrente ha affermato che le notizie contenute nei predetti moduli "fotografano" la situazione che l’incaricato rileva, sia pure a fini di elaborazione "interna". Sulle notizie che lo stesso raccoglie e fornisce alla PA, vengono effettuate attestazioni, cui seguono eventuali deliberazioni.

Cosi è accaduto nel caso in esame, nel quale la attestazione che la PO fosse residente in via (OMISSIS), e non in via (OMISSIS), ha determinato – si legge in sentenza – l’IACP a dichiararla decaduta dal diritto di occupare l’alloggio sito in tale ultima via.

Tanto premesso, la censura sub 1) è infondata.

Invero, a suo tempo, le SU ebbero a chiarire (sent. n. 16 del 1996, ric. Di Francesco, RV 205619) che, con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che ne scaturisca un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione, da cui derivi un reale pregiudizio dei diritti della difesa.

Si verte, insomma, in materia di garanzie e di difesa.

Ne consegue che la violazione non sussiste se l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (ASN 200436003- RV 229756).

Orbene, il capo di imputazione addebita al M. (oltre ad avere falsificato la firma della PO, imputazione dalla quale è stato assolto) di avere attestato falsamente che la D.P. fosse residente in via (OMISSIS).

Gli articoli indicati sono, tanto l’art. 476 c.p., quanto l’art. 479 c.p., e la condotta che concretamente gli è stata ascritta (e in merito alla quale egli ha effettivamente articolato la sua difesa) è consistita nel raccogliere le dichiarazioni della D.P. e nell’averle poi alterate, mediante la sopra ricordata opera di "sbianchettatura".

All’esito di tale operazione, la donna risultava aver dichiarato che ella era residente in via Piana, piuttosto che in che in via (OMISSIS).

La contestazione per altro riguardava, come è evidente, quanto risultava da un documento scritto, da un documento certo nella sua materialità, presente in atti e disponibile.

Non si vede dunque in quale equivoco potrebbe esser caduto il M. (e/o il suo difensore), atteso che era sotto i loro occhi "il prodotto" della attività contro jus ascritta all’imputato.

La seconda censura è manifestamente infondata.

Il falso è immutatio veri e non si vede perchè tale immutatio non possa essere operata anche dal soggetto che ha redatto l’atto (in ipotesi, originariamente veritiero), se egli stesso lo manomette, ovvero se lo forma in maniera che ab initio non rispecchi la verità fattuale.

Se poi si tratta di atto pubblico, la disponibilità di chi lo ha redatto è, ovviamente, momentanea in quanto, altrimenti, il potere certificativo dell’atto stesso non avrebbe modo di esplicarsi.

Nel caso in esame, in quanto atto interno, il suo contenuto doveva inserirsi nell’ambito di un procedimento amministrativo (come, del resto, accadde).

Irrilevante è poi il fatto che la D.P. abitasse o meno, al momento del censimento, in via (OMISSIS), se, come sembra di comprendere, nel modulo dovevano essere riportate le sue dichiarazioni e non il risultato di un accertamento autonomamente condotto dal rilevatore.

In ogni caso, non era il luogo di abitazione ciò che rilevava, ma il luogo di residenza. Per quel che riguarda, poi, l’uso di moduli "puliti" o riciclati (moduli già usati, ma "sbianchettati", come vorrebbe il ricorrente), è di tutta evidenza che il giudice di legittimità non può certo prendere in considerazione brani di verbale dibattimentale, selezionati dalle parti secondo un’ottica che non può che essere funzionale alla dimostrazione delle rispettive tesi.

A ben vedere, per altro, che si sia trattato di interi moduli "sbianchettati" o di semplici fogli cc.dd. intercalari che quei moduli andavano a comporre, la differenza non ha, evidentemente, alcun rilievo.

Anche la terza censura è manifestamente infondata.

Invero la perizia, per il suo carattere "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva: ne consegue che il relativo provvedimento di diniego non è che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione (ASN 200714130-RV 236191 e numerosissime conformi).

L’ultima censura è, viceversa, fondata, essendo in effetti la prescrizione maturata il 20.12.2009, vale a dire dopo la sentenza di secondo grado.

In presenza di ricorso non inammissibile (Cfr. censura sub 1) detta causa di estinzione deve ritenersi operativa.

La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione, ma, per le ragioni sopra esposte, il ricorso va rigettato agli effetti civili e il ricorrente va condannato al ristoro delle spese sostenute dalla P.C. in questo grado di giudizio, spese che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi duemila (2000) Euro, oltre accessori, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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