Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-02-2011) 11-04-2011, n. 14481

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propongono ricorso per cassazione D.F. e M. M. avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila in data 25 marzo 2010 con la quale è stata integralmente riformata quella di primo grado (emessa in esito a giudizio abbreviato) di assoluzione dal reati di furto ex art. 624 bis c.p. commesso il 26 febbraio 2007 e per l’effetto i ricorrenti sono stati condannati, su appello del Procuratore Generale, alla pena ritenuta di giustizia, previa qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 624 c.p..

Deducono il vizio di motivazione e la violazione di legge ( art. 624 c.p.).

Non risultava argomentato, infatti, nel rispetto del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, il punto controverso della intera vicenda, ossia quello dell’essere stati gli imputati consapevoli della altruità della cosa.

Erano infatti emersi nel processo elementi che avrebbero consentito di dubitare della integrazione dell’elemento psicologico del reato.

Si trattava delle dichiarazioni del Maresciallo dei Carabinieri che aveva proceduto all’arresto dei due, osservando in seguito, tuttavia, che il casolare all’interno del quale era stato perpetrato il furto appariva abbandonato e che all’interno di esso erano presenti accumuli di immondizie.

Anche da altro verbale redatto dai Carabinieri di Pineto e prodotto in udienza dal M. emergeva che i due erano stati controllati, qualche giorno prima, nei pressi del detto casolare, definito "abbandonato".

I ricorsi sono inammissibili.

Con gli stessi vengono invero dedotti motivi presentati come rituali ai sensi dell’art. 606 c.p.p. e cioè volti formalmente a rappresentare il vizio di motivazione e la violazione di legge.

Senonchè la relativa articolazione rende evidente che l’intento della difesa è quello di sollecitare alla Cassazione un rinnovato giudizio sulle risultanze di causa; giudizio, come è noto, interdetto in sede di legittimità.

La sentenza impugnata muove dal rilievo che la sottrazione era stata accertata dai Carabinieri i quali si erano recati sul posto chiamati dalla persona offesa ed avevano visto i due imputati cercare di scappare a bordo di un’auto nella quale avevano caricato i macchinari descritti nella imputazione: un motore elettrico, una saldatrice, sei motopompe, tre trasformatori elettrici, una motosega e fili elettrici per un valore complessivo di circa 2 mila Euro, appena asportati dai locali del casolare nei quale erano stati riposti.

Si afferma anche nella sentenza, del tutto congruamente, che si trattava di beni di un certo valore e riposti all’interno di una costruzione che, per quanto danneggiata da precedenti atti vandalici, era tuttavia chiusa.

A fronte di tale ricostruzione, la parte ricorrente si limita a controdedurre che altre emergenze avrebbero dimostrato la equivocità degli elementi di prova fin qui ricordati.

In altri termini, la difesa lamenta la mancata valutazione delle attestazioni provenienti da militari dell’Arma operanti nella zona (non solo all’atto dell’arresto) riguardo alla condizione del casale, che si presentava come abbandonato e riguardo allo stato interno, ove apparivano raccolti ammassi indistinti di ferraglie.

E, prospettando come accreditabile anche tale condizione dei luoghi e dei beni, la difesa su di essa basa la doglianza riguardante la mancata rilevazione di assenza del dolo.

Senonchè è del tutto evidente che la formulazione del motivo di ricorso, rappresentata nei termini appena indicati, rivela la inammissibilità della censura perchè tutta versata in fatto.

E’ da escludere infatti che si sia in presenza di una lacuna motivazionale dal momento che i giudici del merito hanno piuttosto selezionato il materiale probatorio nell’esercizio del potere di libero apprezzamento dello stesso loro riservato, ed hanno mostrato, plausibilmente, di ritenere che la asportazione di materiale dotato ancora di apprezzabile valore economico, custodito all’interno di un casale di campagna, per quanto non abitato e oggetto di aggressioni vandaliche, è stata posta in essere e valutata dai ricorrenti secondo lo schema oggettivo soggettivo del reato di furto.

Il materiale è stato cioè sottratto nella consapevolezza che non fosse abbandonato, essendo semmai custodito all’interno di un luogo oggetto di proprietà privata, in ragione del non perduto valore economico.

Ed allora, la contraria rappresentazione della vicenda ad opera della difesa non vale a sostanziare e ad evidenziare un vizio di motivazione, ma a tentare una operazione inammissibile che è quella di accreditare, presso il giudice della legittimità, una diversa ricostruzione dei fatti, alternativa a quella già opportunamente e congruamente fatta propria dai giudici dell’appello.

Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 1000,00 per ciascuno.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla Cassa delle Ammende la somma di Euro 1000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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