Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-02-2011) 11-04-2011, n. 14479

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A.C.R., con sentenza del tribunale di Messina 30/6/2006 era condannato alla pene di legge in relazione a due truffe aggravate ai danni dell’INPS (capi e ed f), due tentate truffe aggravate ai danni dell’INPS (capi b ed e), due falsi ideologici in atto pubblico per induzione (capi a ed). La corte d’appello di Messina con decisione del 29-6-2009, in parziale riforma di quella di primo grado, oltre ad assolvere i coimputati, rideterminava la pena inflitta ad A. in anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 300,00 di multa. A., assunta la qualità di datore di lavoro quale titolare di una impresa priva di struttura e di capacità economica, aveva simulato, in concorso con altri soggetti (promotori ed organizzatori, nonchè con proprietari di terreni e di braccianti agricoli), l’instaurazione di rapporti di lavoro in agricoltura per gli anni 2000 e 2001, inducendo così in errore i funzionari dell’INPS e ottenendo l’iscrizione di braccianti agricoli con diritto alle prestazioni previdenziali ed assistenziali.

In particolare aveva presentato una denuncia aziendale indicante la disponibilità di un terreno in (OMISSIS), esteso ha 65 – in realtà destinato e utilizzato come pascolo erborato -, aveva avviato al lavoro i braccianti assunti tramite fogli di assunzione presentati agli uffici di collocamento e all’INPS, aveva presentato all’INPS i mod. DMAG (dichiarazioni di manodopera agricola trimestrale), in tal modo procurando, o compiendo atti diretti in modo non equivoco a procurare, un ingiusto profitto ai lavoratori, pari alle somme dovute dall’INPS a titolo di indennità di disoccupazione, assegni familiari, contributi pensionistici, prestazioni per malattie e maternità, con danno per l’istituto. La pronuncia di colpevolezza era ancorata in primo luogo alle ammissioni dell’imputato in data 17/6/2003, ritenute utilizzabili in quanto rese in presenza del difensore, e riscontrate dagli accertamenti di PG e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti.

La configurabilità dei reati di truffa era affermata richiamando giurisprudenza di questa corte secondo la quale la simulazione di un rapporto di lavoro inesistente, costituisce artifizio atto ad indurre in errore i funzionari INPS con il conseguente ingiusto profitto delle prestazioni erogate dall’istituto e danno di quest’ultimo.

Il falso ideologico mediante induzione era ritenuto integrato in quanto le dichiarazioni di A. avevano costituito il presupposto dell’iscrizione dei braccianti negli appositi elenchi, qualificabili atto pubblico.

Nelle ipotesi di tentata truffa, veniva esclusa la desistenza volontaria in quanto il prevenuto non aveva abbandonato volontariamente l’azione, ma vi era stato costretto perchè, dopo l’indagine ispettiva, era stato più volte convocato, ma non si era presentato, presso l’INPS di Messina per fornire chiarimenti.

Era esclusa la possibilità di ritenere integrata la violazione amministrativa di cui al R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 116 in luogo dei reati contestati, in considerazione della natura sussidiaria di tale violazione ("salvo che il fatto costituisca reato") e della circostanza che la fittizietà del lavoro in agricoltura implica un quid pluris rispetto alla alterazione dei dati.

Con il ricorso per cassazione il predetto deduceva:

1) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale, inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, mancanza o illogicità della motivazione.

Erroneamente, secondo il ricorrente, la corte, limitandosi a fare acriticamente propria la motivazione del giudice di primo grado, ha ritenuto utilizzabile l’interrogatorio (acquisito stante la sua contumacia) con il quale A., in sede di perquisizione, aveva confessato di aver commesso i fatti; invero lo stesso era stato reso, alle ore 9,30, in assenza del difensore, sopraggiunto solo alle ore 10,30, "a cose fatte", mancando, quindi, la garanzia della loro genuinità. Nè tali dichiarazioni sarebbero utilizzabili nel dibattimento ove qualificate come dichiarazioni spontanee.

2) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 479 c.p., non essendo l’iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli atto pubblico, e non facendo prova della veridicità degli accertamenti se questi sono basati su dichiarazioni rese da terzi o dall’interessato.

3) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e mancanza o illogicità della motivazione: non doveva essere ritenuto integrato il reato di cui all’art. 479 c.p. in relazione all’art. 48 c.p., posto che il PU si era incautamente avvalso delle mendaci dichiarazioni dell’imputato, mentre, alla luce del suo grado di preparazione e del suoi doveri di controllo, avrebbe dovuto, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice (secondo cui l’INPS non era tenuto ad effettuare verifiche circa l’esistenza del rapporto), prendere diretta conoscenza dei fatti oggetto di attestazione, anche perchè la domanda era priva dei requisiti documentali minimi (mancata allegazione del contratto di affitto dei terreni), la ditta dell’ A. non era censita dal punto di vista fiscale, nè registrata presso la camera di commercio e l’ufficio IVA, e nessun contratto di affitto era stato registrato.

4) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e mancanza o illogicità della motivazione, non emergendo, di fatto, alcuna ipotesi di truffa o falso.

Dalla stima tecnica relativa ai valori medi di impiego di manodopera per il tipo di coltura praticata sui fondi, è emerso che terreni con caratteristiche analoghe e con lo stesso tipo di coltura ed estensione richiedevano comunque manodopera per 3250 giornate annue.

Inoltre non è stato provato che almeno una parte dei braccianti, già coimputati di A.C., non le avessero prestate (i controlli sulla consistenza e colture dei terreni erano stati soltanto documentali o comunque effettuati a distanza, percorrendo in autovettura la strada principale che li attraversa).

Motivo per il quale la stessa corte d’appello ha mandato assolti i braccianti, nell’impossibilità di escludere che taluni di essi avessero effettivamente lavorato sui terreni, confermando poi, contraddittoriamente, la condanna di A.C..

5) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e mancanza o illogicità della motivazione, in assenza degli artifizi e raggiri propri della truffa, e quindi del quid pluris idoneo ad eludere le normali possibilità di controllo dell’ente pubblico. Infatti non era stato addirittura allegato il contratto di affitto, la ditta di A. non era registrata, nè censita fiscalmente, nè risultava registrato alcun contratto di affitto dei terreni. I funzionari INPS avevano quindi agito in modo superficiale e negligente, sottraendosi a precisi doveri di controllo.

6) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e mancanza o illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della desistenza volontaria in relazione ai tentativi di truffa, in quanto, se è vero che nell’aprile 2002 erano stati rivolti all’imputato plurimi inviti a presentare la documentazione dal 2000 in poi, ai quali il predetto non aveva dato risposta, essi erano tuttavia neutri, in quanto privi di riferimento all’istruttoria in corso. La sua azione era stata quindi interrotta indipendentemente da fattori esterni suscettibili di influire sulle sue determinazioni.

7) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e mancanza o illogicità della motivazione, in relazione alla mancata applicazione del D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 5 da qualificarsi norma speciale, non sussidiaria, rispetto all’art. 640 c.p..

8) Mancanza o illogicità della motivazione in ordine alla pena inflitta e al diniego di attenuanti generiche (la corte d’appello ha stigmatizzato le gravi modalità del fatto, pur dando atto della presenza di un "suggeritore"), nonostante il ruolo marginale dell’imputato, vittima di ben più esperti profittatori.

9) Prescrizione dei reati, maturata prima della sentenza di secondo grado, e comunque al momento della presentazione del ricorso.

I motivi di ricorso sono tutti inammissibili per le seguenti ragioni.

1) La questione di inutilizzabilità dell’interrogatorio/confessione reso da A. in sede di perquisizione, è manifestamente infondata, se si considera che, come si evince dall’atto allegato al ricorso, le dichiarazioni confessorie furono dal predetto interamente confermate in presenza del difensore. Senza contare che, alla prova di resistenza, tale elemento probatorio si rivela non indispensabile ai fini dell’affermazione di responsabilità, considerato il ricco compendio a carico dell’imputato, evidenziato nelle sentenze di primo e secondo grado, attestante la fittizietà sia dell’impresa gestita dal prevenuto, sia dei rapporti di lavoro con i braccianti ( A. era titolare di una impresa fantasma, priva di qualunque struttura; i terreni indicati come in affitto a tale impresa non erano coltivati, ma adibiti a pascolo e come tali accatastati; il numero delle giornate denunciate era fortemente sovradimensionato rispetto a quello astrattamente necessario alla coltivazione e quindi i costi sarebbero stati sproporzionati ed antieconomici; l’imputato non aveva mai pagato i contributi previdenziali ed assistenziali per i dipendenti).

2) A dimostrazione della manifesta infondatezza dell’assunto secondo il quale l’iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli non costituirebbe atto pubblico, con conseguente esclusione della configurabilità del reato di cui agli artt. 48 e 479 c.p., basterà ricordare che tali elenchi costituiscono documentazione di attività compiuta dal pubblico ufficiale alla quale la legge attribuisce valore costitutivo di diritti e di obblighi: donde la loro natura di atti pubblici (v. la giurisprudenza sul punto di questa corte: n. 10774/2008, n. 1246/1978).

3) Pure palesemente infondato il motivo tendente ad escludere il reato in parola sul presupposto dell’incauto comportamento dei PP.UU., che si sarebbero limitati a prendere atto delle attestazioni del privato senza far luogo ai controlli loro imposti dalla legge.

Infatti tale comportamento rileva, nel senso di escludere la sussistenza del reato di falso ideologico in atto pubblico commesso dal pubblico ufficiale indotto in errore dal privato – dando luogo peraltro al reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico -, soltanto ove l’attività del pubblico ufficiale non solo recepisca le dichiarazioni del privato, ma sia preordinata ad accertarne la reale conformità ai dati richiesti dalla legge (Cass. 200707664, 200713779).

Nella specie, per contro, appare inconferente il richiamo del ricorrente al D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 8 inteso ad accreditare l’obbligo in capo ai funzionari INPS, ai fini dell’emersione del lavoro irregolare in agricoltura, di minuziosi controlli e di aggiornamento delle banche dati. Tale norma stabilisce infatti una serie di forme di controllo sui dati dichiarati, che "possono", ma non debbono, essere attuate dall’INPS. Il che è del resto in linea con la previsione di cui all’art. 5, comma 5 del citato decreto legislativo, secondo la quale "Le denunce aziendali di cui al presente articolo fanno fede a tutti gli effetti".

Mentre non è invocabile -essendo legge successiva al tempus commissi delicti-, a parte la valutazione della sua rilevanza, il dettato del D.L. n. 2 del 2006, art. 1, comma 12 che prevede la sistematica integrazione da parte dell’INPS e dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), delle banche dati, con particolare riferimento alle informazioni relative alle coltivazioni e agli allevamenti realizzati per ciascun anno solare e alle particelle catastali sulle quali insistono i terreni, al fine di rendere più efficaci i controlli finalizzati all’emersione del lavoro irregolare in agricoltura.

4) Tale motivo, dietro l’apparente denuncia di violazione di legge e di vizio della motivazione, si risolve nella sollecitazione di un riesame del merito -non consentito in sede di legittimità- attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.

Invero le sentenze di primo e secondo grado hanno indicato, con articolato impianto motivazionale, tutti gli elementi atti a sostenere la conclusione che l’impresa di cui l’imputato era titolare, esistesse solo in apparenza, e che anche i rapporti di lavoro instaurati con i braccianti, i quali erano stati in tal modo ammessi a beneficiare delle prestazioni previdenziali ed assistenziali erogate dall’INPS, fossero meramente fittizi.

Basti citare, al di là dell’ampia confessione resa da A. C., le seguenti circostanze: l’impresa dell’imputato era priva di qualunque struttura e di capacità economica, e non aveva mai presentato dichiarazioni del redditi; il proprietario dei terreni dichiarati come condotti in affitto, oltre ad esserlo solo per un sesto, esercitava sugli stessi -in conformità al tipo di accatastamento come pascolo arborato, non come noccioleto-, l’allevamento di ovini e caprini, avendo pure richiesto i relativi contributi; il prevenuto nel 2001 aveva lavorato come dipendente di una ditta di (OMISSIS) e, per l’anno 2000 e precedenti, non aveva presentato dichiarazioni dei redditi.

Vano quindi invocare il fatto che terreni con caratteristiche analoghe e con lo stesso tipo di coltura (nella specie solo formalmente esercitata) ed estensione, richiedessero comunque manodopera per 3250 giornate annue. Infatti, a parte il rilevo che i terreni erano di fatto adibiti a pascolo, A. aveva esposto ben 5070 giornate per il 2000 -che avrebbero comportato una retribuzione di L. 300 milioni, e oneri previdenziali pari a L. 76 milioni, mai versati-, e 3939 giornate per il 2001 -con conseguente retribuzione di oltre L. 250 milioni, e oneri previdenziali di quasi sessanta milioni, del pari mai versati-. Con la conseguenza che lo scrupolo della corte territoriale nel non escludere la possibilità che una parte dei braccianti, già coimputati di A.C., assolti in secondo grado, avesse prestato delle giornate dì lavoro, è inidoneo ad avvalorare la censura di contraddittorietà della conferma della condanna del ricorrente, essendo comunque le giornate da questi dichiarate in massima parte certamente fittizie, perchè sproporzionate ed antieconomiche.

5) Integra del pari censura di merito, preclusa in questa sede, l’assunto della mancanza degli artifizi e raggiri atti a vincere i poteri di verifica e controllo dell’INPS. La sentenza di primo grado ha infatti ampiamente spiegato, con motivazione immune da vizi logici, che le semplice eventualità, oltre che difficoltà, dei controlli sui rapporti di lavoro in agricoltura, rende sufficiente ad integrare la truffa, senza esigere la massima diligenza da parte del soggetto ingannato, una qualsiasi simulazione, dissimulazione, o espediente astrattamente idoneo ad indurre in errore, a maggior ragione nel caso in cui, come nella specie, l’induzione in errore si sia di fatto verificata.

6) Pure censura in fatto e comunque manifestamente infondata, è poi quella relativa al mancato riconoscimento della desistenza volontaria in relazione alle due tentate truffe contestate.

Nello stesso ricorso si ammette, infatti, che nell’aprile 2002 erano stati rivolti all’imputato plurimi inviti da parte degli uffici competenti a presentare la documentazione dal 2000 in poi, ai quali il predetto non aveva dato risposta. Essendo tale circostanza più che idonea, in quanto significativa di attenzione da parte dell’INPS, che poteva portare alla scoperta dell’attività truffaldina, ad indurre il prevenuto, come già rilevato dalla corte territoriale, ad interrompere l’attività criminosa, è conseguentemente del tutto infondato sostenere che A.C., solo perchè gli inviti erano privi di riferimento all’istruttoria in corso, si fosse invece determinato a ciò autonomamente.

7) E’ poi manifestamente infondata la questione, già esaurientemente affrontata e risolta nelle sentenze di primo e secondo grado, della ricorrenza, in luogo dei reati contestati, della violazione amministrativa prevista dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 116 e D.L. 11 agosto 1993, n. 375, art. 5. Il carattere di norma sussidiaria, non già speciale, dell’art. 116 citato (che fa parte della normativa inerente al "Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza"), si ricava dal tenore letterale dello stesso, che fa espressamente salve le ipotesi di reato ("Chiunque fa dichiarazioni false o compie altri fatti fraudolenti al fine di procurare indebitamente a sè o ad altri prestazioni che rientrino nelle assicurazioni contemplate nel presente decreto è punito, salvo che il fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa pecuniaria da L. trecentomila a un milione ottocentomila").

Anche l’art. 5 citato (inserito nella normativa "concernente razionalizzazione dei sistemi di accertamento dei lavoratori dell’agricoltura e dei relativi contributi"), che al comma 5 recita "Le denunce aziendali di cui al presente articolo fanno fede a tutti gli effetti. In caso di omissione o di attestazione reticente o infedele degli elementi in esse contenuti, il datore di lavoro è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma non Inferiore a L. duecentomila e non superiore a L. cinquecentomila", è norma destinata ad operare solo in funzione sussidiaria, quando non ricorrano ipotesi di reato. Essa è finalizzata a sanzionare, come risulta evidente dal testo, le mere dichiarazioni mendaci, non già un’ipotesi complessa, quale quella in esame, caratterizzata dall’approntamento di una serie di elementi fittizi di contorno, costituente il quid pluris che integra la truffa ((OMISSIS)) atta a corroborare, rendendola realistica, la dichiarazione mendace (basta citare ad esempio, l’esistenza di un’impresa agricola e di terreni agricoli da coltivare).

8) Manifestamente infondata è infine la censura di mancanza o illogicità della motivazione in ordine alla pena inflitta e al diniego di attenuanti generiche, avendo per contro la corte d’appello puntualmente stigmatizzato il ruolo primario del prevenuto (tra l’altro gravato da un precedente) e le gravi modalità del fatto ("protratto nel tempo, organizzato, con il coinvolgimento di decine di persone) tali da escludere il carattere marginale dell’apporto di A.C..

9) Per quanto l’eccezione di prescrizione sollevata dal ricorrente, sia fondata in ordine al verificarsi, della causa estintiva, anteriormente alla sentenza d. secondo grado, in relazione ai reati di cui ai capi a (commesse nel (OMISSIS) e quindi prescritto a dicembre 2008), b (commesso fino a (OMISSIS), quindi prescritto a settembre 2008), e (commesso in data prossima a (OMISSIS), e quindi prescritto a dicembre 2008), e, successivamente alla stessa sentenza, in relazione a, capi d (prescritto in ottobre 2010), e (prescritto in "luglio 2010), f (prescritto in ottobre 2010), l’inammissibilità de, ricorso preclude la possibilità sia di far valere che di rilevare d’ufficio, anche la causa estintiva maturata prima della decisione di secondo grado, non essendo stata dedotta in tale giudizio, nè rilevata dalla corte d’appello, in tal senso è l’orientamento delle sezioni unite di questa corte (SU 200523428, Bracale), basato sul rilievo che "l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di Impugnazione invalido… precluda ogni possibilità di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata, sia di rilevarla d’ufficio, in quanto, laddove non si forma un valido rapporto di Impugnazione, le cause estintive già maturate, sono relegate a fatti storici, giuridicamente irrilevanti. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile e a tale declaratoria conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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