Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 16-02-2011) 11-04-2011, n. 14397

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 4.4.2007 il Tribunale di Forlì, all’esito di giudizio ordinario scandito da un’articolata e meticolosa istruttoria dibattimentale, ha dichiarato l’imputato S.S. colpevole degli ascritti reati di maltrattamenti e di lesioni volontarie plurime, commessi in (OMISSIS) in danno della piccola N.A. di (OMISSIS) anni, figlia della sua convivente C.L., affidataria della bambina e moglie separata del padre della stessa, Nu.Al., costituitosi parte civile. Per l’effetto il Tribunale, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, ha condannato il S. alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione ed al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separata sede) in favore della parte civile.

Il giudice di primo grado con ampia motivazione ha ricostruito le dinamiche della vicenda intrafamiliare sottesa alle contestazioni mosse al S., valutando la colpevolezza dell’imputato suffragata, per entrambi i reati attribuitigli, da convergenti e persuasivi elementi di prova, che rinvengono il proprio nucleo fondamentale nelle dichiarazioni della piccola A., raccolte con le forme dell’incidente probatorio tre anni dopo i fatti di causa (il (OMISSIS)), con le quali la bambina – pur essendo ormai scomparsa dal suo ambiente relazionale e di riferimento parentale la persona del S. – ha confermato l’instaurazione da parte del convivente della madre, nel non lungo periodo di vita comune della coppia (tre mesi circa), di un regime di particolare severità e rigore punitivo nei suoi confronti, in qualche modo assecondato dalla madre, che a sua volta non manca di rimproverarla e "picchiarla", per tolleranza e acquiescenza o anche (a causa della giovane età della C.) per l’incapacità di farsi pienamente carico delle esigenze educative della bambina. In particolare le dichiarazioni della bambina hanno ricondotto alla volontaria azione del S. i due episodi di lesioni personali, dai quali hanno tratto origine le indagini sfociate nell’attuale procedimento. Episodi avvenuti: il primo il (OMISSIS), quando è la stessa madre a portare la piccola presso il pronto soccorso ove le viene riscontrato un trauma facciale con ecchimosi varie al volto e al collo (prognosi sette giorni), attribuito ad un accidentale urto casalingo della bambina contro un porta, ma che la piccola dichiarerà essere frutto della deliberata volontà del S. che le ha sbattuto una porta addosso; il secondo in data (OMISSIS), allorchè è il padre della piccola – edotto dalla madre (la bambina trovandosi quel giorno affidata ai nonni paterni), che ha riscontrato strani lividi sul corpo della nipotina – a condurla al pronto soccorso, ove si accerta ulteriore trauma alla regione zigomatica (prognosi giorni cinque), evento che la C. attribuisce ad una caduta da bicicletta della piccola, assicurando che nessuno l’ha picchiata, ma che la bambina riconduce alle percosse del convivente della madre, con cui piangendo rifiuta di tornare per paura delle "botte" del S. e della stessa madre. Atteggiamento, quest’ultimo, che innesca l’intervento della psicologa R. e della assistente sociale Sa., entrambe esaminate in dibattimento, che hanno avvalorato il quadro accusatorio nei confronti del S. (la C. essendo stata prosciolta dal concorso nei reati all’esito dell’udienza preliminare), alla luce delle coerenti confidenze raccolte dalla piccola A. in successivi momenti temporali, descrittive del clima di gratuita durezza verso di lei assunto dall’imputato.

Nel giudizio di colpevolezza del Tribunale alle molteplici fonti testimoniali raccolte (dichiarazioni rese, oltre che dalla psicologa e dall’assistente sociale, dalla nonna paterna della bambina, da funzionane di polizia e altri) si coniugano gli accertamenti del medico legale dott. M., che nel rilevare (il (OMISSIS)) la dislocazione polisettoriale di lividi ed ematomi sul corpo di A. li ha ritenuti incompatibili con una semplice caduta da bicicletta (una biciclettina con rotelle alta dal suolo non più di quindici centimetri), e con gli esiti della perizia psichiatrica del dott. B., che ha concluso per la piena capacità di percezione della realtà esterna manifestata dalla piccola A. e l’assenza di tracce di possibili influenze esterne, dirette o indirette, condizionanti le sue narrazioni dei fatti.

2. La Corte di Appello di Bologna, adita dall’impugnazione del S., con l’indicata sentenza in data 13.1.2009 ha confermato la decisione del Tribunale, di cui ha condiviso la ricostruzione della vicenda e l’analisi valutativa del complessivo comportamento dell’imputato, quale delineato dalle descritte fonti rappresentative.

In particolare, con il conforto di una motivazione non meno diffusa e puntuale di quella della sentenza di primo grado, aderente all’indiscutibile delicatezza della problematica oggetto di giudizio, la Corte territoriale ha considerato infondati i rilievi difensivi secondo cui – da un lato – la bambina avrebbe accusato di un ripetuto atteggiamento di aggressività nei suoi confronti il S. (una volta avrebbe perfino scagliato dalla finestra il cagnolino cui era molto affezionata) nell’inconsapevole tentativo di salvare il suo rapporto con la madre reso difficile dall’inadeguatezza genitoriale della donna e – da un altro lato – la piccola sarebbe stata suggestionata in qualche misura dal pregiudiziale atteggiamento di prevenzione della famiglia del padre (nonni e altri congiunti) verso il S., aspetto poco approfondito dal perito psichiatrico che ha attestato la piena capacità testimoniale "protetta" della bambina.

Sotto il primo profilo la Corte felsinea ha osservato che in realtà la bambina non esclude affatto anche la madre dal racconto della sua vita insieme al S., tant’è che non esita a riferire di essere stata sgridata e sculacciata più di una volta anche dalla mamma. Quanto alla addotta suggestionabilità della bambina, la Corte ha evidenziato come le accuse nei riguardi del S. siano state espresse, rimanendo invariate in seguito, nell’immediatezza del ricovero ospedaliero della bambina (dopo le accertate lesioni dell'(OMISSIS)), cioè quando la bambina non ha alcun rapporto specifico con il padre e i nonni paterni. Sicchè le emergenze processuali non consentono di nutrire seri dubbi sulla piena credibilità della piccola A..

3. Contro la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, proponendo i seguenti due motivi di censura.

1. Erronea applicazione dell’art. 572 c.p. e contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine alla ribadita attendibilità delle accuse provenienti dalla piccola persona offesa.

I giudici di secondo grado hanno affermato tale attendibilità con il supporto di argomenti di stile e superficiali, non facendosi carico di analizzare le singole incoerenze e discrasie interne della narrazione della bambina. Ciò vale in special modo per l’esclusa natura accidentale delle lesioni riportate dalla piccola il (OMISSIS), la cui volontarietà ad opera di terzi è desunta unicamente dall’accertata non accidentalità, almeno in parte, delle lesioni riscontrate il successivo (OMISSIS).

Incongruamente, poi, i giudici di merito (dei due gradi di giudizio) hanno sottovalutato i rilievi difensivi sulla oggettiva suggestionabilità di A., che nell’immediatezza degli accadimenti ripete di essere caduta dalla bicicletta (episodio dell'(OMISSIS)), soltanto nel prosieguo esponendo un quadro accusatorio verso il S.. In altri termini la sentenza impugnata non ha compreso come, le rivelazioni "ritardate" della bambina manifestino ragionevolmente lo spettro di una suggestione esercitata proprio nei tre anni successivi ai fatti (che precedono l’audizione protetta del 2004) dalle persone cui ella è affidata (nucleo familiare del padre).

2. Difetto e illogicità di motivazione in ordine alla ravvisata sussistenza degli elementi costitutivi del contestato reato di maltrattamenti.

Sul piano oggettivo (elemento materiale) la Corte di Appello rinviene un affidabile indice della condotta illecita del S. nello stato di "vero e proprio terrore" mostrato dalla bambina alla sola idea di dover tornare a casa con la madre e il convivente dopo il suo ricovero in ospedale. Ma così ragionando i giudici di appello operano un travisamento dei dati probatori, che non consentono di configurare un ripetitivo contegno del S., a prescindere dalla assoluta brevità del rapporto di convivenza con la piccola, tale da dar vita a quella sistematicità (abitualità) vessatoria indispensabile per la sussistenza della fattispecie di cui all’art. 572 c.p..

Analogamente sul piano soggettivo la Corte di Appello, sul presupposto della natura generica del dolo integrante il reato, ritiene di trovare traccia di una deliberata volontà dell’imputato di sottoporre la bambina ad un regime di vita familiare vessatorio e punitivo, di cui tuttavia le emergenze processuali non forniscono adeguata dimostrazione, trasponendo dalla ipotizzata consumazione dei due episodi di lesioni la induttiva prova di una costante volontà di maltrattamento esternata dall’imputato.

4. L’impugnazione di S.S. deve essere dichiarata inammissibile per indeducibilità e manifesta infondatezza, rispettive, dei due motivi di ricorso.

A. La censura relativa al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della piccola persona offesa è, nei suoi pur articolati enunciati, generica (in quanto passivamente riproduttiva degli omologhi rilievi esposti con l’atto di appello contro la sentenza del Tribunale, resi oggetto di diffuso ed autonomo esame della Corte di Appello non semplicisticamente recettizio delle valutazioni già formulate dal Tribunale), ed altresì non consentita (non deducibile), perchè imperniata su una rivisitazione e reinterpretazione delle fonti di prova, non sotto il profilo delle loro inferenze valutative, ma soltanto in chiave fattuale.

Reinterpretazione non proponibile nel giudizio di legittimità, segnatamente a fronte della completezza del vaglio delle evenienze processuali operato dalla Corte territoriale e della coesione e logicità che connotano la motivazione della sentenza impugnata.

In vero il giudizio di affidabilità e credibilità del narrato della piccola N.A. espresso dalla Corte territoriale non è basato soltanto sull’analisi dei dati descrittivi offerti dalla bambina, risultati coerenti e immuni da inverosimiglianze o discrasie non giustificabili, e degli esiti della perizia che ne ha confermato la capacità testimoniale, ma è altresì incentrato su una serie di elementi esterni di riscontro che, nel rispetto dei canoni dettati dall’art. 192 c.p.p., accreditano il paradigma accusatorio che avvince la posizione processuale del ricorrente. In questa ottica la sentenza impugnata segnala innanzitutto che le lesioni accertate sul corpo della piccola, nelle due occasioni in cui è condotta al pronto soccorso ospedaliero, non possono essere attribuite ad episodi accidentali – alla stregua dei dati conoscitivi acquisiti (natura delle lesioni e loro dislocazione, verifica medico- legale) – sì da dover essere univocamente attribuite all’ambiente familiare e alla persona dell’imputato, che la piccola accusa esplicitamente già quando è ancora in ospedale, dopo aver vanamente sostenuto (in palese stato di paura) di essere caduta dalla bicicletta. In secondo luogo la sentenza evidenzia, sul piano logico, che prima che il S. entrasse nella vita dalla madre, nessuno aveva mai constatato la presenza di lesioni ed ecchimosi sul corpo della piccola (ciò che, in definitiva, ha contribuito a ritenere non provata la partecipazione criminosa della madre C.L.).

B. Manifestamente infondata, oltre che anch’essa generica (aspecifica), è la doglianza concernente l’inadeguata enucleazione degli elementi, materiale e soggettivo, costitutivi del reato di maltrattamenti.

La doverosa congiunta lettura delle due sentenze di merito offre contezza del pertinente apprezzamento delle componenti strutturali del reato. La materialità della condotta di cui all’art. 572 c.p. non è sminuita dalla brevità del rapporto di convivenza tra l’imputato e la vittima in un ambito che si assume non incarnare un vero e proprio tessuto familiare. Circostanza inconferente, dal momento che – come osserva la sentenza di appello – i sistematici maltrattamenti sono stati compiuti ai danni di un minore degli anni quattordici, soggetto rispetto al quale la preesistenza di un rapporto di natura familiare non costituisce presupposto necessario.

Nè la consapevole arbitrarietà del contegno lesivo adottato dal S. nei confronti della piccola figlia della propria convivente è vanificata o sminuita (come precisa la sentenza di primo grado) dalla convinzione, in ipotesi erronea, dell’imputato di offrire un utile modello educativo alla bambina, che avrebbe potuto ricondurre eventualmente la sua condotta nell’area della diversa e meno grave fattispecie dell’abuso dei mezzi di correzione ex art. 571 c.p. (v. Cass. Sez. 6,22.9.2005 n. 39927, Agugliaro, rv. 233478).

E’ appena il caso di aggiungere, del resto, che per la configurabilità del reato di maltrattamenti non occorre che lo stato di sofferenza e mortificazione inflitto alla persona offesa si colleghi in forma simmetrica a specifici contegni prepotenti e vessatori attuati nei suoi confronti dal soggetto agente, potendo quello stato derivare anche dal diffuso clima di afflizione, sofferenza e paura indotto nella vittima, soprattutto quando si tratti di un bambino in tenera età, dall’imputato per effetto di gesti sopraffattori e minacciosi indistintamente, ma perduranti nel tempo (abitualità), attuati verso la persona offesa (v. Cass. Sez. 6, 21.12.2009 n. 8592/10, rv. 246028).

La genetica inammissibilità dei dedotti motivi di ricorso, impedendo l’istaurarsi di un valido rapporto impugnatorio, preclude la rilevazione e declaratoria dell’attuale sopravvenuto spirare (successivo all’impugnata decisione di secondo grado) del termine di prescrizione per entrambi i reati ascritti al ricorrente.

A seguito dell’inammissibilità dell’impugnazione il ricorrente deve per legge essere condannato al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende dell’equa somma di Euro 1.000,00 (mille).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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