Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 16-02-2011) 11-04-2011, n. 14396 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- All’esito di giudizio ordinario il Tribunale di Roma con sentenza emessa il 15.5.2006: 1) ha assolto con la formula dell’insussistenza del fatto reato i tre imputati indicati in epigrafe dal delitto di associazione per delinquere dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, svolgendo il G. il ruolo di capo ed organizzatore del sodalizio, ritenendo non raggiunta idonea prova della effettiva operatività dell’organismo criminoso all’infuori di quella connessa all’unico accertato episodio di importazione di droga in territorio italiano; 2) ha riconosciuto i tre imputati colpevoli del delitto di concorso in acquisto in Ecuador, importazione in Europa (Barcellona) e successiva tentata introduzione in Italia di trenta chili di cocaina, quantità ingente di stupefacente occultata in due pistoni idraulici spediti dall’Ecuador e destinati a Roma ad un sedicente R.M., come da conclusivo accertamento del 24.2.1994.

Concesse a tutti e tre i prevenuti le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alla contestata aggravante ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2) e riconosciuta loro la diminuente per il giudizio abbreviato in origine richiesto dagli imputati ma non giustificatamente negato dal procedente g.u.p., il Tribunale ha condannato il G., il C. e il P.J. alla pena di sei anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa ciascuno oltre alle pene accessorie di legge.

L’accertamento dell’episodio criminoso per cui è intervenuta condanna è il risultato di articolate indagini preliminari svolte nei confronti di più persone (sono stati tratti a giudizio G.C. e altri undici coimputati), scandite da plurimi servizi di intercettazione telefonica susseguitisi dal febbraio 1993, da servizi di osservazione e controllo di p.g. con coeve acquisizioni documentali, da una operazione di consegna "controllata" di droga autorizzata dalla allora procedente autorità giudiziaria di Genova ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 98) in relazione all’emerso progetto degli indagati di importare in Italia una partita di cocaina acquistata in Colombia facendola giungere, occultata nel corpo cilindrico di due pistoni idraulici per uso industriale, in Spagna per poi introdurla in Italia da lì importando i pistoni idraulici.

Indagini culminate il (OMISSIS) con l’intervento degli operanti militari della Guardia di Finanza presso un capannone di (OMISSIS), destinazione finale dei pistoni spediti per via aerea dalla Spagna a (OMISSIS). Intervento che conduce, oltre al sequestro dei pistoni, all’arresto tra gli altri di C. B. e del cittadino (OMISSIS) P.J.C.A. nonchè a perquisizioni domiciliari nei confronti degli indagati (incluso il G.) ed al sequestro di documenti pertinenti all’organizzata importazione della cocaina.

Le sequenze delle indagini e dei suoi esiti probatori ripercorse nella sentenza del Tribunale possono come di seguito sintetizzarsi.

Gli imputati acquistano in Colombia un consistente quantitativo di cocaina, che viene occultata in due pistoni idraulici spediti da (OMISSIS) dalla società ecuadoregna Bustamante Enrique alla società spagnola Interseal s.a. di (OMISSIS). I pistoni giungono a Barcellona, dove avviene la "consegna controllata" nel corso della quale la polizia spagnola rinviene e sequestra trenta pani di cocaina nei pistoni, che vengono svuotati, richiusi e lasciati proseguire per (OMISSIS) a seguito delle operazioni di sdoganamento e di nuova spedizione verso l’Italia in apparenza da parte della società spagnola Interseal, ma con l’effettiva presenza sul posto (come rivelano le intercettazioni) degli imputati, coordinati dal G. (non recatosi in (OMISSIS)), P.J. e C..

Quest’ultimo si avvale di una fittizia delega al ritiro per conto della Interseal al nome di R.M., nominativo che risulta essere anche quello del destinatario italiano del macchinario celante la droga.

Il Tribunale ha considerato acquisiti univoci e concordanti elementi di prova della concorrente penale responsabilità dei tre imputati nell’acquisto, detenzione, trasporto e importazione illeciti dei trenta chili di cocaina, desunti:

– quanto a G.C., dai significativi contenuti delle intercettazioni telefoniche, che lo rappresentano nel guidare e coordinare l’attività criminosa e nel seguire – in costante contatto con i correi presenti sul posto – tutte le fasi dello sdoganamento del macchinario con la droga nel porto di Barcellona e della sua successiva "riesportazione in Italia" in uno alla formazione dei necessari documenti di viaggio (fatture, lettere di carico, ecc);

– quanto a C.B., dalla disponibilità di documenti (sequestrati nella sua abitazione) intestati al G. e dimostrativi del diretto collegamento tra i due coimputati, dalla sua presenza nel capannone in cui sono consegnati a Roma i pistoni idraulici che dovrebbero contenere la droga, dal riconoscimento effettuatone dal coimputato P.J. (da lui atteso in auto al suo arrivo a (OMISSIS)) come del " R.M." postosi in contatto con la società di spedizione Eurosped (che cura il trasporto dei macchinari dall’aeroporto di (OMISSIS) al capannone della (OMISSIS));

– quanto a P.J.C.A., dal possesso di un appunto in spagnolo contenente le istruzioni per l’apertura dei pistoni recanti la cocaina e dalla effettuata confessione di aver preso parte all’intera operazione criminosa.

2.- Giudicando sulle impugnazione- dei difensori dei tre imputati, la Corte di Appello di Roma con la sentenza in data 19.6.2009, ha condiviso, al termine di una autonoma disamina delle risultanze processuali correlate ai rilievi critici degli imputati, le conclusioni raggiunte dal Tribunale in punto di penale responsabilità concorsuale dei tre appellanti per la contestata ipotesi consumata – e non già unicamente tentata, come sostenuto dalle difese – della fattispecie criminosa loro contestata.

Responsabilità che, quindi, ha confermato, ritenendo tuttavia di ridurre, per il loro stato di incensuratezza, le pene inflitte al C. e al P.J. a cinque anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa ciascuno. Ribadita la solidità del quadro probatorio attestante la condotta criminosa concorsuale di tutti e tre gli imputati (segnatamente respinta dal G.), la Corte di Appello ha specificamente affrontato le tematiche, di carattere subordinato, sollevate dalle difese dei prevenuti sulla qualificazione giuridica conferibile alla complessiva attività criminosa ascritta ai tre imputati.

In tale ottica i giudici di secondo grado hanno, in primo luogo, evidenziato l’insostenibilità della tesi del reato impossibile ex art. 49 c.p. (appello G.) per l’addotta inesistenza dell’oggetto del reato di importazione della cocaina, i due pistoni idraulici essendo giunti a destinazione in Italia "vuoti", cioè senza la cocaina nascosta al loro interno già prelevata in Spagna dalla locale polizia attivata dalla A.G. e dagli organismi investigativi italiani. La Corte di Appello ha precisato che il reato impossibile è configurabile, nella seconda previsione di cui all’art. 49 c.p., comma 2, nel solo caso in cui l’inesistenza dell’oggetto del reato rivesta carattere assoluto ab origine e non quando detta inesistenza sia meramente accidentale perchè sopravvenuta in virtù dell’intervento interruttivo del fatto criminoso compiuto dalla polizia giudiziaria.

In secondo luogo la sentenza di appello ha escluso l’invocata riqualificazione in termini di tentativo del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestato dall’accusa come consumato.

Soltanto il segmento della condotta integrato dalla importazione della cocaina in Italia si rende sussumibile nella ipotesi del tentativo, ciò che non può dirsi delle concorrenti e coeve attività di acquisto, detenzione e trasporto della droga, compiutamente realizzate. La norma incriminatrice di cui alla D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, osserva la Corte territoriale, sanziona una serie di condotte tipiche equivalenti che si pongono in rapporto di alternatività formale. Quando alcune di tali condotte si susseguono senza soluzione di continuità temporale ed esecutiva e in un medesimo contesto di disponibilità della sostanza stupefacente, non si è in presenza di più fatti criminosi (singoli e autonomi reati), ma di una unitaria condotta articolata in più fasi (acquisto, detenzione, tentativo di importazione) che si fondono nell’assorbente fatto della illecita detenzione della droga. Nel caso dei tre imputati le condotte di acquisto, detenzione e trasporto della cocaina dalla Colombia (transitata in Ecuador) sino alla Spagna e, potenzialmente, dalla Spagna in Italia è materialmente attuata all’estero, ma è giuridicamente punibile in Italia ai sensi dell’art. 6 c.p., in Italia avendo avuto origine l’attuazione del progetto criminoso e la predisposizione delle sue fasi successive attraverso l’accordo raggiunto dai coimputati e l’acquisizione dei mezzi finanziari occorrenti per l’acquisto estero della cocaina e dei macchinari in cui occultarla per poterla trasportare in Europa e in Italia.

3.- La descritta sentenza di secondo grado è stata impugnata per cassazione, con l’ausilio dei rispettivi difensori, dai tre imputati che deducono vizi di violazione di legge e di insufficienza e illogicità della motivazione, riassumibili nei termini che seguono ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Ricorso G..

1. Carenza di motivazione in ordine alla confermata responsabilità dell’imputato, desunta da meri contatti telefonici con alcuni coimputati e dai contenuti di poche conversazioni intercettate, il cui oggetto solo induttivamente è riferibile a traffici di droga e alla importazione dei trenta chili di cocaina per cui è processo.

D’altra parte l’imputato non era presente nel magazzino della (OMISSIS) dove sono arrivati i pistoni idraulici provenienti dalla Spagna e dove è avvenuto l’intervento finale della p.g..

2. I fatti accertati avrebbero dovuto condurre i giudici di merito a ritenere integrata l’ipotesi del reato impossibile (i pistoni essendo "giunti in Italia privi della sostanza stupefacente previamente estratta dalla polizia in Spagna, pertanto privi dell’oggetto dell’azione criminosa"). In subordine gli stessi fatti non superano le connotazioni del tentativo criminoso, perchè le fasi iniziali del progetto di importazione della cocaina in Italia, non portata a buon fine (perchè in Italia non è arrivata la droga), rimangono incerte e nebulose e perchè comunque non può ritenersi integrare la detenzione di stupefacente la condizione di chi attenda il recapito o la consegna della sostanza stupefacente previamente acquistata.

3. Eccessività della pena inflitta all’imputato, determinata assumendo a base del calcolo sanzionatorio un pena troppo alta.

Con memoria depositata in cancelleria il 12.10.2010 il difensore del ricorrente, riprende e ribadisce il motivo di impugnazione concernente la configurabilità del reato tentato e non consumato di importazione di stupefacente, richiamando precedenti giurisprudenziali che avvalorerebbero tale tesi, e lamenta – prefigurando ulteriore profilo di doglianza, anch’esso subordinato- la ritenuta sussistenza della contestata aggravante della ingente quantità della droga destinata in Italia, dal momento che mancano dati tecnici sulla effettiva qualità e sul grado di purezza della cocaina sequestrata in Spagna.

Ricorso C..

1. Erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 56 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. La Corte di Appello ha confermato la sussistenza della ipotesi consumata del reato contestato agli imputati in base al rilievo che le condotte di costoro integrano una unica fattispecie articolata in più fasi assorbite dalla condotta di detenzione della droga consumata all’estero ma preordinata in Italia. Ma tale ricostruzione non è condivisibile. Se per il principio di territorialità ( art. 6 c.p.) il reato deve considerarsi commesso in Italia quando quivi si sia verificato anche solo un frammento della condotta che costituisce il reato, occorre pur sempre avere riguardo alla qualità e alle componenti della condotta (o frazione di essa) realmente posta in essere nel territorio italiano. In situazioni del tutto analoghe a quella oggetto del processo, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto configurabile la fattispecie tentata e non consumata di importazione di sostanze stupefacenti.

2. Difetto di motivazione in merito alla ritenuta configurabilità della aggravante della ingente quantità della droga ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2.

La sentenza impugnata ha omesso di accertare la sussistenza degli oggetti vi indici di riconoscibilità dell’aggravante in questione ed in particolare di quelli attinenti alla qualità della sostanza stupefacente oggetto di reato.

3. La Corte di Appello non ha fornito una risposta appagante, salvo il ricorso a formule di stile sulla gravità del reato, al subordinato motivo di appello invocante un giudizio di prevalenza delle pur concesse attenuanti generiche rispetto alla ridetta aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2.

Ricorso F.J..

1. Motivazione carente in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della ingente quantità della droga, fondata sulla rilevanza del solo non decisivo dato ponderale della sostanza stupefacente e non anche degli altri criteri (in primo luogo quello qualitativo) che concorrono a dare corpo alla aggravante.

2. Insufficiente motivazione in punto di mancato bilanciamento in termini di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche concesse al prevenuto. Prevalenza di cui questi deve ritenersi meritevole in ragione, oltre che del suo stato di incensuratezza, della sua personalità e del suo leale contegno processuale (confessione dell’addebito).

4.- Tutti e tre i ricorsi vanno respinti per l’infondatezza, per taluni versi manifesta, e per l’indeducibilità – in punto di trattamento sanzionatorio – degli illustrati motivi di impugnazione, in larga parte comuni, il solo imputato G. dolendosi anche della sua confermata responsabilità concorsuale.

A. Il primo motivo di ricorso di G., attinente alla sua ribadita colpevolezza per i fatti di causa, è generico e manifestamente infondato. Generico, sia per vaghezza di contenuti, sia per difetto di specificità, essendo costituito dalla pedissequa letterale riproduzione del medesimo motivo di gravame enunciato avverso la sentenza di primo grado, avulso da una qualsiasi reale lettura critica degli argomenti e dei dati probatori in base ai quali i giudici di appello hanno condiviso il giudizio di responsabilità del ricorrente in ordine alla sua sicura partecipazione alla complessa operazione di acquisto, detenzione, dissimulato trasporto ed importazione della individuata partita di trenta chili di cocaina.

Manifestamente infondato, perchè adeguatamente smentito dalle emergenze processuali passate in rassegna dalle due conformi decisioni di merito. Le conversazioni intercettate nelle quali interviene personalmente il G., richiamate dalla sentenza del Tribunale e riprese dall’impugnata sentenza di appello, non lasciano alcuna incertezza sulla univoca dimostrazione del ruolo di partecipe e di organizzatore dell’operazione illecita ricoperto dall’imputato, sì da rendere perfettamente irrilevante il contingente dato per cui il G. non è a sua volta presente nel capannone della (OMISSIS) in cui giungono a destinazione i pistoni idraulici che, secondo il programma criminoso, dovrebbero contenere la cocaina. Non sottacendosi poi che il diretto coinvolgimento del G. nella vicenda di narcotraffico, come non mancano di sottolineare – con pertinente logicità – entrambe le decisioni di merito, è riscontrato anche dalle dichiarazioni collaborative di F.L., che nel riferire dei suoi illeciti legami con il G. per traffici di droga ha rivelato di avere appreso dallo stesso della imminente importazione dalla Spagna di un carico di cocaina occultato in un macchinario di forma cilindrica.

B. Messa da canto – per sua totale inconferenza giuridica, alla stregua delle ragioni già esposte dalla sentenza impugnata con il conforto della giurisprudenza di legittimità – la generica prospettazione del reato impossibile per inesistenza dell’oggetto del reato (droga) formulata con il ricorso (secondo motivo, prima parte) del G. (Cass. Sez. 1, 6.3.2007 n. 22722, P.G. in proc. Grande Aracri, rv. 236764: "L’inesistenza dell’oggetto del reato da luogo a reato impossibile solo dove l’oggetto sia inesistente "in rerum natura" o si tratti di inesistenza originaria ed assoluta, non anche quando l’oggetto sia mancante in via temporanea o per cause accidentali"), infondata deve valutarsi la censura relativa alla mancata definizione del fatto criminoso come tentativo di importazione dello stupefacente e non come fattispecie consumata, secondo quanto riaffermato dalla Corte di Appello. Censura espressa, anche in questo caso richiamando l’omologo motivo di gravame contro la sentenza del Tribunale, dai ricorrenti G. (secondo motivo di ricorso, seconda parte) e C. (primo motivo di ricorso).

In proposito è indispensabile precisare – per gli effetti di cui all’art. 521 c.p.p. – che l’accusa contestata agli imputati è specificamente integrata, come da formulata imputazione, dalle concorrenti diacroniche condotte di "acquisto" in (OMISSIS) della cocaina (i trenta chili sequestrati, durante il percorso della droga, in Spagna), di sua "spedizione" – ovviamente presupponente una coeva detenzione illecita – dall’Ecuador in modo occulto, di sua "tentata introduzione" (importazione) nel territorio dello Stato. Tanto chiarito, è agevole rilevare la correttezza giuridica degli argomenti in virtù dei quali la Corte di Appello di Roma ha ritenuto di escludere la ravvisabilità nel fatto-reato, globalmente considerato nelle sue dinamiche sequenze esecutive, del tentativo di reato, in luogo del reato consumato di cui sono stati giudicati responsabili i tre ricorrenti.

L’esatta analisi al riguardo sviluppata dalla sentenza di appello è incardinata, per un verso, sulla esegesi strutturale della fattispecie criminosa prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, rimasta sostanzialmente immutata – quanto alle componenti della materialità del reato-dopo la novella normativa di cui alla L. 21 febbraio 2006, n. 49, e – per altro verso – sulla puntuale applicazione del principio di territorialità come disciplinato dall’art. 6 c.p., comma 2.

Come dedotto dalla sentenza impugnata, il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 deve considerarsi norma a più fattispecie alternative (condotte plurime), la cui eventuale congiunta realizzazione implica l’assorbimento delle diverse condotte in un unico reato. Allorchè siano attuate, in un medesimo contesto modale e temporale ovvero in sequenza cronologica senza soluzione di continuità, più condotte tra quelle sanzionate dalla L. n. 633 del 1941, art. 73 aventi per oggetto materiale uno stesso compendio di sostanza stupefacente non si determina un fenomeno di concorso formale di reati, ma un unitario fatto criminoso posto in essere nella dinamica esecutiva di un organico ed indivisibile progetto antigiuridico (cfr.: Cass. Sez. 4, 19.11.2008 n. 6203/09, Canu, rv. 244101; Cass. Sez. 3, 26.11.2009 n. 8163/10, Merano, rv. 246211; Cass. Sez. 6, 11.12.2009 n. 9477/10, Pintori, rv. 246404). E’ di tutta evidenza che in una siffatta situazione, in cui le singole condotte illecite afferenti alla stessa quantità di droga siano contestuali o cronologicamente contigue e siano riconducibili ad uno stesso soggetto agente o a più soggetti operanti in concorso e previo accordo tra loro, l’unitarietà e la medesimezza del fatto reato, cioè della condotta nel suo complesso e nei suoi segmenti formativi, producono la sussunzione (o assorbimento) del contegno illecito per dir così minore in quello più grave e, in senso lato, onnicomprensivo. Effetti che assumono una propria specifica significatività quando, come nel caso di specie, uno dei segmenti dell’unitario comportamento antigiuridico è costituito da una condotta di detenzione illecita dello stupefacente, cioè da una ipotesi criminosa di natura permanente, la cui consumazione si protrae per tutto il tempo in cui si esplica la relazione di disponibilità, materiale e/o giuridica, della droga facente capo ai soggetti agenti in concorso (v. Cass. Sez. 4, 3.6.2009 n. 34332, Baye, rv. 245200).

Nella descritta casistica ermeneutica, sul piano della territorialità della condotta delittuosa ( art. 6 c.p., commi 1 e 2), è agevole rilevare che ad istituirne la consumazione nello Stato è sufficiente che qui sia attuato uno dei frammenti della complessiva azione illecita, secondo il criterio di ubiquità accolto dal legislatore. Nel senso che a tal fine basta che nel territorio nazionale sia avvenuta anche una parte minima dell’azione esecutiva, ancorchè -in via di ipotesi- priva dei requisiti di idoneità ed inequivocità richiesti per integrare il tentativo del reato (Cass. Sez. 6, 6.5.2003 n. 26716, Viti, rv. 225966). Ora non è revocabile in dubbio, alla luce degli elementi di prova vagliati e valorizzati dalla sentenza di appello (sulla scia della condivisa sentenza del Tribunale), che -in piena simmetria con il principio di correlazione con l’accusa (come enunciata in imputazione)- gli imputati: in Italia hanno ideato e programmato l’acquisto della consistente partita di cocaina in Sud America; in Italia hanno acquisito e predisposto i mezzi finanziari, non certo irrisori in rapporto alla quantità e qualità della droga da acquistare, per poter perfezionare l’acquisto estero; in Italia e dall’Italia hanno organizzato le modalità di trasferimento dissimulato (importazione) dello stupefacente in Europa e in Italia, dopo l’acquisto e la raggiunta disponibilità dello stesso, da considerarsi – per ciò – in loro autonoma detenzione; in Italia hanno organizzato modi e tempi di spedizione della cocaina "detenuta" e giunta nella penisola iberica, dalla Spagna in Italia (v: Cass. Sez. 4, 22.5.1997 n. 7204, Franzoni, rv. 208534: "Per l’applicabilità del principio di territorialità di cui all’art. 6 c.p. è sufficiente che in Italia sia avvenuta una parte dell’azione anche piccola, purchè preordinata -secondo una valutazione "ex post" – al raggiungimento dell’obiettivo delittuoso. Ne consegue che, in tema di traffico internazionale di stupefacenti, se l’accordo tra i coimputati e la predisposizione dei mezzi occorrenti alla importazione e all’occultamento della droga, realizzati in Italia, appaiono preordinati all’acquisto e alla detenzione della stessa, poi effettivamente consumati all’estero, il reato deve ritenersi commesso in Italia"; Cass. Sez. 4,13.6.2007 n. 34116, Vilardell Bonadona, rv.

236943).

C. Destituito di fondamento è il motivo di ricorso prospettato dagli imputati C. (secondo motivo) e P.J. (primo motivo) in ordine alla ritenuta sussistenza della contestata aggravante della quantità ingente della cocaina oggetto del reato, che le due conformi decisioni di merito coniugano alla oggettiva rilevanza e pericolosità della quantità di cocaina detenuta dagli imputati.

Valutazione aderente allo stabile indirizzo interpretativo di questa Corte regolatrice, che ha sempre privilegiato, tra gli indici rivelatori della configurabilità dell’aggravante, l’idoneità della stessa a costituire un grave pericolo per la salute pubblica in ragione della sua attitudine quantitativa a soddisfare le esigenze di consumo di un numero elevato di tossicodipendenti, a prescindere dalla incidenza della situazione del mercato locale o della sua eventuale saturazione. Criteri anche di recente ulteriormente ribaditi e meglio definiti dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 6, 2.3.2010 n. 20119, Castrogiovanni, rv. 247374: "In tema di stupefacenti, ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, non possono di regola definirsi ingenti i quantitativi di droghe pesanti o leggere che, sulla base di una percentuale media di principio attivo per il tipo di sostanza, siano rispettivamente al di sotto dei limiti di due chilogrammi e cinquanta chilogrammi").

D. Indeducibili vanno qualificati i rilievi dei tre ricorrenti (terzo motivo ricorso G.; terzo motivo ricorso C.; secondo motivo ricorso P.J.) in merito alla addotta severità del trattamento sanzionatorio ad essi applicato. I rilievi investono un profilo della regiudicanda, appunto quello del trattamento sanzionatorio, che è rimesso all’esclusivo apprezzamento del giudice di merito e si sottrae a scrutinio di legittimità, quando – come deve constatarsi nel caso dell’impugnata sentenza di appello – si mostri sorretto da una congrua e logica motivazione. La Corte di Appello ha adeguatamente chiarito le ragioni della conferma della pena inflitta in primo grado al G. e delle cause ostative ad una ulteriore riduzione, per effetto di un eventuale bilanciamento di prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche rispetto all’aggravante ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, della diminuita pena inflitta al C. e al P.J..

Al rigetto delle impugnazioni segue per legge la condanna dei tre ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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