Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 16-02-2011) 11-04-2011, n. 14395

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- La Corte di Appello di Genova con l’indicata sentenza del 16.10.2008 ha confermato la decisione, impugnata dall’imputato, pronunciata in data 11.5.2007 dal Tribunale di Sanremo, con la quale all’esito di giudizio ordinario F.A.G. è stato riconosciuto colpevole del reato di omessa corresponsione alla moglie divorziata P.M.N., costituitasi parte civile, dell’assegno divorzile in favore della figlia B., nata nel (OMISSIS) e affidata alla madre, invalida e inabile ad ogni attività lavorativa assistenza (portatrice dalla nascita di grave handicap neurologico), stabilito dal giudice civile in misura di L. 250.000 mensili rivalutabili annualmente del 12% (pari ad Euro 325,00 nel 2002). Reato ex L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies in cui il Tribunale ha diversamente qualificato, ai sensi dell’art. 521 c.p.p., comma 1, l’originaria accusa contestata al F. di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in favore della figlia ex art. 570 c.p., comma 2, n. 2 e per l’effetto lo ha condannato in concorso di generiche circostanze attenuanti alla pena sospesa di tre mesi di reclusione ed al risarcimento del danno in favore della parte civile (da liquidarsi in separato giudizio).

Conclusione cui il Tribunale è pervenuto alla luce delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, dalle quali sono emersi – da un lato – il sopravvenuto venir meno dello stato di bisogno della figlia destinataria dell’assegno divorzile, alla stessa essendo state riconosciute una pensione di invalidità e una indennità di accompagnamento per un complessivo importo di Euro 700,00 mensili (situazione idonea ad escludere il reato di cui all’art. 570 cpv. c.p.), e – da un altro lato – l’oggettivo inadempimento contributivo da parte dell’imputato (limitatosi a versare piccole somme con modalità affatto sporadiche), contegno sufficiente ad integrare la sussistenza del reato di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies, configurabile a fronte della semplice omissione del versamento della somma nella misura disposta dal giudice civile del divorzio.

La Corte di Appello di Genova, richiamandosi alla ricostruzione della dinamica dei comportamenti dell’imputato operata dalla sentenza di primo grado, ha disatteso le doglianze dell’appellante in punto di:

nullità del verbale di udienza e della successiva sentenza del Tribunale per essersi proceduto alla redazione del verbale in forma riassuntiva senza corrispondente fonoregistrazione in violazione dell’art. 134 c.p.p., comma 3; violazione del principio di correlazione, la diversa qualificazione giuridica conferita dal Tribunale al fatto reato contestato al F. avendone vulnerato il diritto di difesa, elaborato in funzione della diversa fattispecie di cui all’art. 570 cpv. c.p.; di difetto del dolo del ritenuto reato di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies, l’imputato avendo agito nell’incolpevole convinzione della cessazione del suo obbligo contributivo a seguito delle indennità pensionistiche e di accompagnamento attribuite dagli enti previdenziali alla figlia.

2.- Contro la sentenza di appello ha proposto, con il ministero del difensore, ricorso per cassazione l’imputato F.A.G., formulando rilievi di violazione di legge e di illogicità e contraddittorietà della motivazione, come di seguito sintetizzati per gli effetti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 1. Violazione degli artt. 134, 137 e 140 c.p.p..

La mancata fonoregistrazione della istruttoria dibattimentale di primo grado senza che il Tribunale abbia dichiarato la contingente indisponibilità di strumenti e/o ausiliari per procedere all’incombente, come prevede l’art. 140 c.p.p., determina la nullità del verbale di udienza, rifluente sulla invalidità della sentenza, essendosi redatto mero verbale riassuntivo, che – a prescindere dalla sua scarsa leggibilità grafica – non reca puntuale indicazione dell’evolversi del dibattimento. A ciò deve aggiungersi che il cancelliere o ausiliare del giudice non ha sottoscritto il verbale in ogni suo foglio ma lo ha siglato soltanto in calce. Dalla lettura del verbale non è dato comprendere l’ampiezza e i riferimenti delle domande effettuate ai testimoni. Da tutto ciò risulta compromessa, in violazione dell’art. 111 Cost., l’effettività del contraddittorio processuale.

2. La sentenza di secondo grado omette illogicamente ogni analisi sulle produzioni documentali dell’imputato e sulla loro sostanziale continuità temporale, esprimendo un apodittico giudizio di sussistenza del dolo del reato di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies, tralasciando di soffermarsi sul fatto che – essendo l’assegno divorzile determinato dalle esigenze di "mantenimento" della figlia B. – l’imputato ha fondatamente alimentato la personale convinzione del superamento di tali esigenze a seguito delle indennità previdenziali e assistenziali attribuite alla figlia. Pur riconoscendosi che la fattispecie criminosa ascritta all’imputato integra un reato di pericolo, per la sussistenza della stessa occorre pur sempre una concreta lesione dell’interesse protetto, che nel caso di specie non può ritenersi verificata.

3. La Corte di Appello ha eluso la tematica della violazione dell’art. 521 c.p.p. (principio di correlazione) sollevata con l’atto di impugnazione della sentenza del Tribunale, non offrendo risposta alla addotta compromissione del diritto di difesa del F. per effetto della mutata definizione giuridica del reato attribuitogli, diversa da quella per cui era stato tratto a giudizio (rispetto alla quale l’imputato avrebbe soltanto dovuto dimostrare che non erano mai mancati i mezzi di sussistenza alla figlia, avendo sempre versato in favore della stessa la somme equivalenti all’importo di L. 250.000 mensili, pari ad Euro 129,00 nel periodo precedente la querela proposta dalla moglie divorziata). I reati di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 e L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies rappresentano due ipotesi criminose con presupposti ed elementi strutturali diversi e non sovrapponibili. La riqualificazione del reato in origine attribuito al F., in assenza – per altro – di qualsiasi diversa contestazione del p.m. nel corso del giudizio di primo grado, ha vulnerato il diritto di difesa del ricorrente.

4. Nel confermare la sentenza del Tribunale e, quindi, l’assunto della stessa secondo cui l’imputato avrebbe sì versato delle somme in ottemperanza alla sentenza divorzile, ma di importo inferiore al dovuto, i giudici di appello hanno ribadito la colpevolezza dell’imputato, senza proporre una motivazione che la giustifichi oltre ogni ragionevole dubbio e oltre ogni discrasia probatoria.

3.- Il ricorso di F.A.G. non può trovare accoglimento per l’infondatezza dei delineati motivi di censura.

Motivi che, per vero, lambiscono i contorni della inammissibilità, sotto i congiunti aspetti della aspecificità (replicano acriticamente in gran parte i motivi di gravame già vagliati e disattesi dai giudici di appello) e della indeducibilità (per più versi enunciano critiche meramente fattuali, volte ad una reinterpretazione, non consentita nel giudizio di legittimità, dei dati probatori adeguatamente presi in esame – diversamente da quanto addotto nel ricorso – dalle due conformi sentenze di merito).

L’esame delle ragioni che sorreggono il ricorso, rapportato alla motivazione della sentenza impugnata, consente di rilevare che le stesse sono prive di pregio, allorchè censurano la presunta insufficienza ed illogicità del percorso decisorio confermativo della responsabilità dell’imputato. Giova ribadire che, ai fini del vaglio di legittimità di una decisione pronunciata in grado di appello, questa S.C. deve ancorare il proprio giudizio, oltre che ovviamente alla sentenza impugnata, anche alla sentenza di primo grado, soprattutto se confermata, atteso che i due provvedimenti formano un unitario ed inscindibile compendio probatorio e valutativo (cfr., ex plurimis: Cass. Sez. 4, 24.10.2005 n. 1149, Mirabilia, rv.

233187).

A. La rinnovata eccezione di nullità della sentenza del Tribunale per l’irregolare redazione del verbale di udienza, eseguita in forma riassuntiva e senza il supporto della fonoregistrazione, è infondata per i motivi già puntualizzati dalla Corte di Appello di Genova, poichè non produce alcuna nullità o inutilizzabilità – in assenza di specifica sanzione normativa – la verbalizzazione riassuntiva dell’attività dibattimentale (verbale di udienza) senza la riproduzione fonografica. Per la semplice ragione che una siffatta nullità è esclusa dal disposto dell’art. 142 c.p.p., non suscettibile di applicazione estensiva, che la prevede unicamente per i casi di assoluta incertezza sulle persone intervenute nel giudizio e di mancata sottoscrizione del pubblico ufficiale autore del verbale (cfr.: Cass. Sez. 3, 13.11.2003 n. 3348, Pacca, rv. 227492; Cass. Sez. 6, 10.12.2009 n. 1400/10, rv. 245851).

Parimenti non da luogo ad alcuna nullità la mancata sottoscrizione da parte del cancelliere redattore del verbale di ogni foglio che compone il medesimo verbale, essendo sufficiente -ai fini dell’attestazione di autenticità (e veridicità dei contenuti) dell’atto – la sottoscrizione finale del documento, cioè dell’ultimo foglio del verbale di udienza, dal momento che l’inosservanza di tutte le formalità dettate dall’art. 137 c.p.p. non è compresa tra le cause di nullità di cui all’art. 142 c.p.p. (Cass. Sez. 1, 16.2.2001 n. 15546, D’Onofrio, rv. 218835).

B. Infondati sono i rilievi espressi in punto di insufficiente disamina della documentazione prodotta dall’imputato e della ritenuta sussistenza nel suo protratto comportamento del dolo del reato di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies (motivi secondo e quarto del ricorso). Al contrario di quel che si sostiene nel ricorso la sentenza di primo grado, correttamente richiamata per relationem dall’impugnata sentenza di appello per la ricomposizione storica degli eventi fattuali sottesi alla regiudicanda, ha largamente vagliato la documentazione prodotta dalla difesa dell’imputato, considerando con congruo e logico giudizio inferenziale conclamato l’omesso puntuale adempimento dell’obbligazione contributiva integrata dall’assegno divorzile, non a caso ricordando come – alla luce della giurisprudenza di legittimità – anche un semplice inadempimento parziale della corresponsione dell’assegno sia idonea a realizzare il reato punito dalla L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies.

Giudizio che è in linea, del resto, proprio con la natura di reato di pericolo della fattispecie criminosa, natura impropriamente "riletta" in chiave riduttiva dall’odierno ricorso (v. Cass. Sez. 6, 5.11.2008 n. 3426/09, rv. 242680).

C. Affetta da infondatezza manifesta è la censura relativa alla pretesa lesione del diritto di difesa dell’imputato determinata dalla diversa definizione giuridica attribuita alla condotta illecita dell’imputato, siccome "riqualificata" ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies. Alla censura è stata già offerta ampia e ineccepibile risposta dai giudici di merito (sentenza del Tribunale) con il rilievo che la casistica oggetto del processo svoltosi nei confronti del F. è stata già specificamente presa in esame dalla giurisprudenza di legittimità, che ha escluso il profilarsi di qualsivoglia vulnus difensivo discendente dall’intervenuta ridefinizione del fatto reato operata dal giudice di merito ai sensi dell’art. 521 c.p.p., comma 1 (Cass. Sez. 6, 2.5.2000 n. 7824, Tucdtto, rv. 220572: "Non si ha violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e reato ritenuto in sentenza nella ipotesi in cui l’imputato sia condannato per il reato di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies, in luogo di quello di cui all’art. 570 c.p. che figura nell’atto di accusa, poichè, pur presentando le due ipotesi criminose presupposti ed elementi strutturali diversi, la condotta presa in considerazione dalla citata legge, art. 12 sexies rientra nel più ampio paradigma di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, essendo nella prima ipotesi sufficiente accertare il fatto della volontaria sottrazione all’obbligo di corresponsione dell’assegno determinato dal tribunale e non occorrendo, quindi – come riconosciuto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 472 del 1989 – che dall’inadempimento consegua anche il "far mancare i mezzi di sussistenza", elemento invece necessario ai fini della integrazione della seconda figura criminosa").

Al rigetto dell’impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente F. al pagamento delle spese del presente grado di giudizio e della rifusione delle spese nello stesso sostenute dalla parte civile P., liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a rifondere alla parte civile P.M.N. le spese sostenute in questo giudizio, liquidate in Euro 2.000,00 (duemila) oltre I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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