Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-05-2010) 01-07-2010, n. 24777 CASSAZIONE PENALE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 25/11/2008, la Corte di Appello di Venezia confermava la sentenza pronunciata in data 23/05/2008 dal Tribunale della medesima città nella parte in cui aveva ritenuto L. M. responsabile del delitto di rapina aggravata ai danni di B.V. e porto senza giustificato motivo di un coltello a serramanico.

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per Cassazione deducendo illogicità della motivazione per non avere la Corte territoriale spiegato, in modo adeguato e logico, le "macroscopiche contraddizioni ed incongruenze" delle versioni rese dai testi e dalla stessa parte lesa che erano tali da inficiare totalmente l’attendibilità dei testimoni e, quindi, le conclusioni alle quali era pervenuta la Corte.

In particolare, la Corte non aveva spiegato la contraddizione fra quanto dichiarato dalla B. (secondo la quale era stata rapinata di due banconote di Euro dieci) e quanto accertato, nell’immediatezza dei fatti dalla Polizia che aveva rinvenuto addosso all’imputato una sola banconota di Euro 20: il che dimostrava che quel denaro non era quello asseritamente rapinato. In realtà, era successo che la B. "una volta spesi i soldi (non suoi ma prestati dal C.) per l’acquisto dello stupefacente, ha dovuto inventare la storia della rapina per giustificarsi con chi le aveva prestato il denaro" in ciò coadiuvata dall’amica V..

In ogni caso, al più, la rapina era stata solo tentata e non consumata.

Motivi della decisione

3. La tesi difensiva riproposta in questa sede, era già stata dedotta avanti alla Corte territoriale la quale, dopo averla presa in esame, l’ha disattesa osservando che:

– la richiesta d’intervento della Polizia era avvenuta immediatamente dopo la rapina, prima che la parte offesa avesse potuto concordare la sua condotta con i due ragazzi del gruppo;

– tutti i componenti dello stesso avevano, senza ombra di dubbio, riconosciuto l’aggressore nell’imputato;

– addosso allo stesso erano stati rinvenuti sia il coltello a serramanico che la banconota da venti euro (adeguatamente nascosti in una manica del giubbino ed in una calza);

– la differenza di taglio della banconota ben poteva trovare giustificazione nella modesta capacità mnemonica dei testi oltrechè nel loro superficiale approccio con i dati della realtà esterna.

Infatti, un eventuale accordo di carattere calunniatorio avrebbe comportato, da parte della B. e degli altri testi, un preventivo sforzo di omogeneizzazione delle rispettive versioni; – la tesi difensiva proposta dall’imputato era del tutto priva di credibilità, non avendo trovato conferma l’asserita perdita temporanea di coscienza, nel comportamento tenuto dal magrebino dopo l’arrivo della Polizia e dovendosi alla stessa attribuire valenza di ingenuo tentativo di non dar conto della condotta tenuta nei confronti della B..

In realtà, le censure, riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva. Pertanto, non avendo il ricorrente evidenziato incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile.

In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento": infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999 rv 215745;

Cass. 2436/1993 rv 196955. Sul punto va, infatti ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze: ex plurimis SS.UU. 24/1999. 4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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