Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-02-2011) 11-04-2011, n. 14228

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 3/8/10 il Tribunale del riesame di Milano confermava le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse il 5/7 e il 6/7/10 dal Gip di quel Tribunale nei confronti di G.G. per i reati di associazione pluriaggravata di tipo mafioso e violazioni delle leggi sulle armi aggravate L. n. 203 del 1991, ex art. 7 (capi 1 e 3 occ. 5/7/10: in atto in (OMISSIS) e province limitrofe il primo e in (OMISSIS) il secondo) e di illegale detenzione di cocaina aggravata L. n. 203 del 1991, ex art. 7 (capo 138 occ 6/7/10:

in luogo non accertato, dal (OMISSIS)).

La posizione del G. si colloca nella più vasta indagine che, conclusasi con le ordinanze sopra ricordate, ha avuto ad oggetto la radicata ed articolata presenza in Lombardia, ormai da molti anni, della ‘ndrangheta calabrese. L’insediamento delle ‘ndrine era costituito da una ventina di "locali" (di cui 15 individuati), coordinato da un organismo, denominato appunto "la Lombardia", via via presieduto da personaggi come B.C. (fino al 15/8/07), N.C. (fino al suo assassinio, avvenuto il (OMISSIS)) e Z.P. (fino all’emissione dell’occ).

G., insieme al coindagato D.N.S. ed altri, risultava appartenere al locale di Giussano-Seregno (capo 1 Occ 5/7/10), al cui vertice, dopo l’assassinio di C.R. avvenuto il (OMISSIS), era assurto il luogotenente Be.

A., mentre capo della ‘ndrina distaccata di Seregno era S.A., imparentato con il defunto C., i due avendo sposato due sorelle G. dell’omonima famiglia mafiosa).

Da un’intercettazione ambientale in carcere tra il citato D.N. ed il padre risultava che le due pistole che erano state sequestrate al D.N. in occasione del suo arresto avvenuto il 23/6/08 (capo 3 Occ 5/7/10) appartenevano al G.. Dopo l’arresto di D.N.S. il G. si rendeva irreperibile ed infine si allontanava da Seregno. Tre intercettazioni del 16/7/08, 31/7/08 e 19/6/09 rivelavano come il soggetto fosse ben addentro alle "segrete cose" della cosca e ne condividesse scopi e metodi.

Quanto agli stupefacenti (capo 138 Occ 6/7/10), un’intercettazione ambientale del 19/6/08 rivela la sua disponibilità di 300 grammi di cocaina ed altre successive del 23 e 24/6/08 cessioni a tale P. e ad A.G., mentre 48 grammi sono trovati nella disponibilità del D.N. in occasione del suo arresto del 23/6/08. G. viene a sua volta tratto in arresto in Liguria in forza delle Occ in oggetto. Il provvedimento del riesame ravvisa sia i gravi indizi di colpevolezza che le esigenze cautelari (peraltro presunte, visti i titoli di reato) già ritenute dal Gip. Ricorreva per cassazione il G., deducendo vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari. Riportandosi alla memoria difensiva prodotta all’udienza del riesame, ricordava: 1) dalla stessa nota dei CC di Seregno 30/10/09 risultava che egli, subito dopo l’arresto del D.N., aveva deliberatamente interrotto ogni contatto con i soggetti che secondo l’accusa componevano il sodalizio criminoso e che per rendersi loro irreperibile aveva lasciato la sua famiglia, spostandosi di continuo e dismettendo infine anche la propria utenza cellulare; 2) dalle conversazioni intercettate con diversi interlocutori risultava la sua volontà di interrompere ogni rapporto e di allontanarsi anche fisicamente da quell’ambiente; 3) dal settembre del 2008 al giugno 2009 aveva vissuto in Piemonte e dal settembre 2009 si era stabilito in Liguria, fino all’arresto; 4) aveva cambiato i suoi recapiti telefonici per non essere rintracciato; 5) aveva svolto e, dove possibile, documentato molteplici attività lavorative; 6) si era definitivamente allontanato dalla Lombardia; 7) non aveva avuto più contatti per due anni coi soggetti ritenuti dall’accusa appartenenti alla ‘ndrangheta; 8) i fatti contestati erano ormai remoti e da allora non erano stati più commessi illeciti. Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

All’udienza camerale fissata per la discussione il PG, assente la parte ricorrente, chiedeva il rigetto del ricorso.

Il ricorso, manifestamente infondato, è inammissibile.

Per i reati contestati, come non è ignoto al ricorrente, la pericolosità è presunta: ciò vale sia per il reato associativo che per i due reati-fine, aggravati entrambi ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7. Per superare la detta presunzione vuole l’art. 275 c.p.p., comma 3 che "siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistano esigenze cautelari". Non è evidentemente il caso in esame, dove il G. si rende irreperibile dopo l’arresto del D.N., suo coindagato in tutti i reati contestati (associazione, armi e droga). Se ne può logicamente dedurre che il suo scopo non fosse quello di sottrarsi ai sodali bensì alle forze dell’ordine.

Che da alcune conversazioni intercettate risulti, come afferma il ricorrente, la sua intenzione di interrompere i rapporti con l’ambiente e di allontanarsene anche fisicamente non prova, all’evidenza, il venir meno delle esigenze cautelari: non decisive al proposito nè la conversazione con il padre del D.N. (28/7/08) dopo l’arresto dell’amico, dove afferma che egli era lì solo per lui, nè quella (1/8/08) da cui risulterebbero divergenze personali con il Be., il quale gli avrebbe mandato a dire di non salutarlo neppure quando si fossero visti (dal che si deduce la cessata fiducia reciproca tra i due).

Sul punto la giurisprudenza è netta: "In presenza di gravi indizi di colpevolezza per uno dei reati indicati dall’art. 275 c.p.p., comma 3, deve applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere senza la necessità di accertare le esigenze cautelari, la cui sussistenza è presunta per legge, incombendo al giudice di merito solo l’obbligo di constatare l’inesistenza di elementi che "ictu oculi" lascino ritenere superata tale presunzione" (Cass., sez. 6^, sent. n. 10318 del 22/1/08, rv. 239211, Licciardelli). Nel caso ricordato, relativo alla misura della custodia cautelare in carcere adottata a seguito di una sentenza di condanna per delitti di cui all’art. 416-bis c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 la S.C. ha affermato che l’imputato avrebbe dovuto fornire la prova della recisione di ogni suo legame con i contestati vincoli associativi.

Seguendo lo stesso ordine logico nel caso in esame, tali elementi non possono certo desumersi ("ictu oculi") dalle equivoche frasi pronunciate da soggetto in fuga non dai propri sodali ma dalle forze dell’ordine che ne avevano appena arrestato il complice. Nè il successivo allontanamento dalla Lombardia è garanzia sicura della recisione dei legami con gli ambienti malavitosi di origine.

Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo e di una congrua sanzione pecuniaria. Trattandosi di soggetto in custodia cautelare in carcere va disposto ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1- ter.
P.Q.M.

visto l’art. 606 c.p.p., comma 3 e art. 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di 1.000 Euro alla Cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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